Alice Suozzi e Gloria Gagliardi
Università Ca’ Foscari Venezia e Università di Napoli “L’Orientale”
Fino agli anni ’90 i problemi nello sviluppo del linguaggio in età pediatrica venivano spesso sottovalutati, soprattutto in ambito familiare: le difficoltà che alcuni bambini incontravano nell’acquisizione della loro lingua materna, infatti, erano percepite come momentanee e transitorie, e non come il sintomo di un disturbo vero e proprio. In ambito scolastico, alla sottovalutazione del disturbo si aggiungevano i rimproveri: chi ne era affetto veniva considerato ‘svogliato’, e quindi sgridato anziché aiutato.
Le traiettorie di crescita dei bambini sono estremamente variabili, e dunque effettivamente molti di essi, pur essendo in ritardo rispetto ai coetanei, riescono poi a recuperare in modo autonomo. Seppur ridotta, resta però una percentuale di bambini (che la letteratura scientifica stima intorno al 5-7%) che a cinque anni ancora non riesce a utilizzare il linguaggio verbale per comunicare in maniera efficace, e che per questo molto probabilmente andrà incontro a una serie di problemi di apprendimento in ambito scolastico (es. dislessia e disortografia) e, in età adulta, avrà ripercussioni sulla propria vita sociale ed emotiva.
Negli ultimi decenni l’interesse e la sensibilità verso questi temi sono notevolmente aumentati: è cresciuto il numero di studi dedicati all’acquisizione del linguaggio in condizioni di normalità cognitiva e, allo stesso modo, si sono moltiplicate le iniziative per la raccolta di dati e la messa a punto di strumenti di diagnosi e protocolli di trattamento in caso di Disturbo Primario del Linguaggio (DPL). Questa definizione identifica appunto bambini che manifestano una compromissione o un’evoluzione anomala del linguaggio non riconducibili a malattie o condizioni di disabilità (es. paralisi cerebrale, sordità); i deficit possono essere circoscritti ai meccanismi di produzione verbale, interessando quindi l’articolazione dei suoni e i processi di formazione di parole e frasi, oppure, nei casi più gravi, possono estendersi anche alla comprensione.
Il DPL è un disturbo tutto linguistico, ed è per questo motivo che, nonostante sia stata esclusa per lungo tempo da questo dominio di studi, la linguistica si è dimostrata indispensabile nella ricerca di metodi per individuarlo tempestivamente, riguadagnando solo di recente una posizione centrale.
Gli elementi che permettono una diagnosi precoce devono infatti essere ricercati all’interno delle lingue stesse: parole e segmenti di parole (o compiti linguistici) che vengono prodotti (o portati a termine) dai bambini senza il disturbo, ma non da quelli affetti da DPL, e che permettono perciò di distinguere gli uni dagli altri.
Tali elementi erano inizialmente ritenuti universali: i dati raccolti, tuttavia, hanno presto smentito la possibilità di trovare un insieme di parole o compiti uguali per tutte le lingue del mondo in grado di condurre alla diagnosi del disturbo. Nonostante siano specifici per ciascuna lingua, condividono però una caratteristica: tutti gli elementi linguistici che i bambini affetti da DPL non riescono a produrre (e che possono essere usati, dunque, come strumenti diagnostici) sono i più difficili da imparare anche per i bambini con sviluppo linguistico-cognitivo nella norma.
Per la lingua italiana, i più efficaci sono i pronomi clitici (atoni) oggetto di terza persona (lo / la), che sono peraltro obbligatori all’interno della frase:
- Hai chiamato Marco? No, ma domani lo chiamo
- Hai trovato la bambola? No, adesso la cerco.
Le ragioni che rendono particolarmente difficile imparare e produrre questi pronomi, tanto che anche i bambini senza DPL iniziano a farlo sistematicamente solo a partire dai 4 anni circa, sono diverse: in primis sono atoni, non possono portare accento; dunque, sono più deboli da percepire (e difficili da produrre) nel parlato.
Quando si usa un pronome clitico, inoltre, si cambia l’ordine più frequente delle parole nella frase:
- Bevo un caffè Verbo – Complemento oggetto
- Lo bevo Complemento oggetto – Verbo
Infine, i pronomi in italiano funzionano come anafore: riprendono, senza ripeterla direttamente, una parola che è già stata pronunciata nel testo. In comprensione occorre quindi capire quale parola viene richiamata dal clitico; in produzione, al contrario, decidere quale parola richiamare e dove posizionarlo. Per trovare un nuovo elemento che identifichi i bambini affetti da DPL, dunque, è necessario cercare tra quelli che, in linea teorica, presentano uguali o maggiori difficoltà dei clitici oggetto di terza persona. Un possibile candidato è il clitico ci in funzione strumentale e locativa.
- Str.: Cosa fanno i bambini con la palla? Ci (=con la palla) giocano.
- Loc.: Stasera andiamo al cinema? Ci (=al cinema) andiamo domani
Oltre alle già citate ragioni di difficoltà questo pronome ne presenta altre: innanzitutto, la sua presenza non è obbligatoria nella frase, a differenza di quella del clitico oggetto. Riprendendo i due esempi precedenti:
- Cosa fanno i bambini con la palla? Ci giocano / _ Giocano.
- Stasera andiamo al cinema? Ci andiamo domani /_ Andiamo domani.
Entrambe le risposte sono accettabili in italiano.
Inoltre, il ci è percepito come una forma ‘bassa’, da evitare in contesti formali: anche i parlanti adulti, per questa ragione, tendono ad ometterlo spesso. Questo fa sì che i bambini lo sentano pronunciare in meno occasioni e che siano, quindi, meno abituati a usarlo.
Il secondo passo, dopo avere individuato l’elemento che si vuole indagare, è verificare che esso sia realmente difficoltoso da produrre anche per i bambini con sviluppo tipico. A tal proposito, è stato creato un test che spingesse i bambini a produrre proprio il clitico ci nelle due funzioni interessate.
Figura 1. Il bambino prende le costruzioni per giocare in salotto e dice alla sorella: “Ho preso le costruzioni, così ____”. TARGET: ci giochiamo.
Per osservare se queste ultime siano (o no) più difficili da produrre, occorre confrontarle con altre funzioni della stessa forma. Quindi, nel test sono indagate cinque funzioni diverse:
- Ci accusativo prima persona plurale (Ci chiamano = chiamano noi)
- Ci dativo prima persona plurale (Ci dicono = dicono a noi)
- Ci strumentale
- Ci locativo
- Forme flesse del verbo esserci (C’è il sole)
La prova è stata proposta a un gruppo di 21 bambini di cinque anni circa; la funzione strumentale è stata quella meno prodotta. Analizzando anche alcuni esempi di parlato spontaneo di bambini della stessa età, si è visto che anche in contesti ‘naturali’ è la funzione della forma ci meno prodotta. Inoltre, anche le persone che imparano l’italiano come lingua seconda apprendono questa funzione solo dopo tutte le altre (secondo la sequenza: 5, 4, 1, 2, 3).
Il clitico ci in funzione strumentale sembra, dunque, un ottimo candidato a nuovo elemento diagnostico di DPL in italiano, dal momento che, in linea teorica, è più difficile del clitico oggetto di terza persona ed è prodotto con meno frequenza dai bambini con sviluppo tipico sia spontaneamente, sia in contesto sperimentale.
L’ultimo passo, ed è qui che la ricerca resta ancora aperta, consisterà nell’ampliare il campione di studio per aumentare la significatività delle osservazioni, e nel creare un test che spinga i bambini a produrre solo il ci strumentale, al fine di indagarne in dettaglio i pattern di acquisizione in presenza e in assenza di disturbo. Se le ipotesi saranno confermate, questo nuovo elemento diagnostico potrà aggiungersi a quelli già noti e utilizzati in ambito clinico, come i già citati pronomi clitici oggetto di terza persona oppure i verbi flessi alla terza persona plurale del presente (sostituiti nelle primissime fasi dell’acquisizione dalle corrispondenti forme singolari: es. dorme tutti; dov’è i giochi?), permettendo di operare diagnosi di DPL sempre più accurate e precoci.
Per approfondire
Arosio, Fabrizio, Chiara Branchini, Lina Barbieri & Maria Teresa Guasti. 2014. Failure to produce direct object clitic pronouns as a clinical marker of SLI in school-aged Italian speaking children. Clinical Linguistics & Phonetics 28(9). 639-663.
Cipriani, Paola, Anna Maria Chilosi, Lucia Pfanner, Silvia Villani & Piero Bottari. 2002. Il ritardo del linguaggio in età precoce: profili evolutivi ed indici di rischio. In Maria Cristina Caselli & Olga Capirci (a cura di), Indici di rischio nel primo sviluppo del linguaggio. Ricerca, clinica, educazione, 377-393. Milano: FrancoAngeli.
Leonard, Laurence B. 2014. Specific Language Impairment across languages. Child Development Perspective 8(1). 1-5.
Marotta, Luigi & Maria Cristina Caselli (a cura di). 2014. I disturbi del linguaggio. Caratteristiche, valutazione, trattamento. Trento: Erikson.
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