Franco Fanelli
Un errore, a cui possiamo essere facilmente indotti dal senso comune, è l’idea che la lettura sia un fenomeno essenzialmente visivo. Si dice in effetti che ‘leggiamo cogli occhi’. Il che oltretutto è innegabile, nel senso che attraverso gli occhi acquisiamo il dato percettivo su cui si basa la lettura.
Vedremo allora come il nostro approccio più normale e frequente ai testi scritti, cioè la lettura silenziosa, sia una pratica visiva solo in apparenza e come l’evoluzione delle tecnologie della scrittura l’abbia influenzata (Fanelli 2018: 115-126).
Premesso che ci stiamo riferendo alla lettura di testi scritti in caratteri alfabetici, facciamo innanzitutto alcune osservazioni di carattere storico. Le testimonianze delle epoche passate, l’età classica e quella alto-medievale, ci dicono che i nostri progenitori avevano l’abitudine di leggere ad alta voce e non in silenzio come facciamo noi di consueto e, dunque, che la lettura era un fenomeno essenzialmente orale (Svenbro 1997). In pratica il loro sguardo, pur osservando frasi in sequenza, non poteva precedere la loro enunciazione senza che si perdesse il filo del discorso. Bisognava, perciò, attendere i tempi della vocalizzazione per capire cosa si stesse leggendo. Questa curiosa costrizione derivava da un aspetto ben preciso del modo di scrivere praticato in quelle lontane epoche: la scriptio continua, cioè una scrittura senza interruzioni.
Insostanzaitestivenivanoscrittisenzachecifossealcunaseparazionetraleparoleesenzaperciòlapresenzadispazichedelimitasseroleparolestesse. La difficoltà che noi abbiamo nel leggere la sequenza che precede ci dà un’idea di cosa significhi ‘scriptio continua’. In realtà, nella scriptio continua non c’è nulla di strano. Essa è esattamente l’esito dello sviluppo di quel potente strumento tecnologico che è stato l’alfabeto, il quale ha permesso di tradurre sul piano grafico qualunque suono vocale e persino di separare il suono dal senso. L’archeologa Clarisse Herrenschmidt (1999: 40) esprime molto lucidamente questo concetto così:
Al contrario di quello che avviene con gli alfabeti consonantici, la lettura dell’alfabeto completo non necessita della lingua, quest’ultima è necessaria solo per la comprensione. Abbiamo fatto tutti, in effetti, l’esperienza di leggere una frase difficile senza comprenderla; leggiamo le parole, la frase, la pagina, e improvvisamente sentiamo di dover ricominciare per comprendere. L’alfabeto completo richiede un corpo […] e uno spirito che comprende, ma non necessita della loro congiunzione; con l’alfabeto completo, leggere non coincide con comprendere.
Le precedenti scritture prealfabetiche e consonantiche non potevano essere lette senza la comprensione contestuale del testo. Senza comprensione non ci poteva essere la vocalizzazione. L’alfabeto ci consente, invece, di leggere senza capire nulla: cosa che tutti possiamo fare leggendo parole di una lingua a noi sconosciuta. Se invece la lingua è conosciuta, il suono che enunciamo ci restituisce il senso di ciò che stiamo leggendo. La scriptio continua era appunto la rappresentazione di un flusso vocale. Ecco il punto. Dov’è finito il suono? Per i Greci e per i nostri antenati il rapporto intrinseco tra la scrittura alfabetica e la voce era inequivocabile. In molti manufatti greci la sequenza alfabetica delle parole è rappresentata come se fuoriuscisse dalla bocca del personaggio raffigurato. Il legame tra scrittura alfabetica e oralità, poi, si mantenne saldissimo per secoli. Nei conventi benedettini, dove vigeva ‘la regola del silenzio’, era ammesso l’uso della voce in un solo caso, cioè durante la scrittura amanuense.
La situazione cominciò a cambiare sensibilmente a partire dall’VIII secolo d.C. quando i religiosi cattolici irlandesi, che avevano una conoscenza del latino piuttosto limitata, sentirono il bisogno di separare le parole per facilitare la comprensione dei testi (Saenger 1990). Da quel momento la tecnica scrittoria della separazione delle parole cominciò a diffondersi e lentamente fu acquisita ovunque. Introdotta come aiuto alla lettura, la separazione delle parole ebbe un’immediata ricaduta sulla trascrizione dei testi che in quei secoli era un’attività decisiva nel processo di riproduzione sociale del sapere. Normalmente i copisti eseguivano la trascrizione attraverso una sorta di ‘auto-dettatura’ del testo originale da copiare; ora, grazie alla separazione delle parole, era possibile identificare visivamente le parti di testo da riprodurre senza doverle necessariamente enunciare.
La riproduzione visiva e silenziosa dei testi, più veloce e pratica di quella fonico-acustica, si diffuse dai monasteri irlandesi a quelli del continente e solo allora nelle comunità benedettine durante le attività di trascrizione fu possibile non violare la regola del silenzio che in precedenza non poteva non essere disattesa a causa della scriptio continua. Nelle biblioteche, poi, il brusio ininterrotto degli utenti che animava le sale si attenuò fino a scomparire del tutto e in quei luoghi divenne paradossalmente obbligatorio fare “Silenzio!”.
Insomma, la vocalizzazione durante la lettura privata dei libri si affievolì fino a scomparire del tutto. Successivamente, grazie anche alle facilitazioni prodotte dalle migliorate tecniche di scrittura e soprattutto dall’introduzione della tecnologia tipografica, la lettura silenziosa, che in epoche più remote era stata riservata solo a pochi studiosi di alto rango capaci di leggere anche la scriptio continua senza doverla vocalizzare, divenne una pratica possibile per tutti.
Il processo che nel corso del tempo conduce la pratica della lettura a passare da un fenomeno del tutto orale ad un fenomeno centrato sulla vista e privo di emissioni vocali, non deve, però, trarci in inganno e farci pensare che la vista sia l’unico strumento con cui noi pratichiamo questa attività.
La formidabile accelerazione dell’acquisizione del significato delle frasi prodotta dalla neutralizzazione della vocalizzazione e dalla facilitazione indotta da configurazioni visive standardizzate, come la separazione delle parole, l’uso di determinati caratteri etc., ci danno la sensazione che l’elemento vocale sia scomparso e sia stato sostituito dall’elemento visivo. In realtà, la lettura cogli occhi non è che un mezzo per richiamare nella nostra immaginazione riproduttiva le tracce sonore delle parole che leggiamo. L’aspetto fonico delle parole, infatti, non è affatto scomparso, è soltanto eccezionalmente contratto. E, d’altro canto, non potrebbe scomparire, in quanto i significati delle parole nella nostra coscienza sono stati impressi originariamente in forma orale. In sostanza, il nostro sistema di comunicazione primario è e rimane quello orale ed ogni successivo sistema di comunicazione che utilizzi il linguaggio orale è destinato ad innestarsi su di esso. Dunque, anche nella lettura silenziosa l’aspetto orale del linguaggio svolge un ruolo decisivo. In realtà, la lettura privata e silenziosa di un testo, che noi normalmente pratichiamo, è resa possibile dalla riproduzione della traccia grafica del testo attraverso un suono interiore (ovvero una vocalizzazione ‘endofonica’); quindi, si tratta ancora di un processo fonico-acustico, sia pure non udibile.
Il fatto che il nostro apparato fonatorio accompagni costantemente l’attività di lettura silenziosa è stato osservato con opportuni strumenti di rilevazione neurofisiologica nel corso di ricerche condotte a partire dagli anni Sessanta da neuroscienziati sovietici (Sokolov 1969) e più recentemente da studiosi italiani (Rizzolatti & Sinigaglia 2006). Si trattava soprattutto di studi volti a indagare i correlati neurofisiologici del ‘linguaggio interno’ attraverso verifiche sui riflessi neuromuscolari della lingua e delle labbra durante stimolazioni acustiche.
In questi esperimenti si usavano stimoli vocali esterni, ma anche e soprattutto ‘interni’. Ad esempio, si chiedeva al soggetto di pronunciare mentalmente frasi oppure sequenze numeriche. Anche la lettura silenziosa faceva parte delle attività mentali oggetto della sperimentazione. I tracciati elettromiografici prodotti nel corso degli esperimenti mostrano una precisa correlazione tra i movimenti articolatori della lingua e delle labbra e gli stimoli fonici ed endofonici somministrati di volta in volta. Nel caso specifico della lettura silenziosa, il neuroscienziato A.N. Sokolov aveva rilevato l’accentuarsi dei movimenti dei muscoli della lingua durante la lettura di frasi grammaticalmente complesse o di frasi in lingue meno note, così come movimenti tanto più deboli quanto maggiore era l’abilità del lettore (Sokolov 1969: 553). Dunque, anche durante la lettura visiva l’apparato fonatorio continua a lavorare senza sosta sia pure in modo contratto e rilevabile solo con opportuni strumenti.
Le osservazioni dei neuroscienziati ci confermano che la componente visiva della lettura silenziosa che noi pratichiamo è solo l’innesco di un processo in cui il linguaggio orale svolge ancora un ruolo dominante.
In conclusione, anche quando leggiamo silenziosamente stiamo in realtà adoperando la lingua, quella che è nella nostra bocca. Ovvero per leggere e capire adoperiamo parole non pronunciate e tuttavia vocali.
Per approfondire
Fanelli, Franco. 2018. Discorso interno e autocomunicazione. Cinque saggi sulle forme del discorso verbale. Roma: Alpes Italia.
Herrenschmidt, Clarisse. 1999. L’invenzione della scrittura visibile e invisibile in Iran, Israele e Grecia. Milano: Jaca Book.
Rizzolatti, Giacomo & Corrado Sinigaglia. 2006. So quel che fai. Il cervello che agisce e i neuroni specchio. Milano: Raffaello Cortina Editore.
Saenger, Paul. 1990. The separation of words and the order of words: the genesis of medieval reading. Scrittura e civiltà XIV. 49-74.
Sokolov, Aleksandr N. 1969. Studies of the speech mechanisms of thinking. In Michael Cole & Irving Maltzman (a cura di), Contemporary Soviet psychology, 531-573. New York/London: Basic Books.
Svenbro, Jesper. 1998. La Grecia arcaica e classica: l’invenzione della lettura silenziosa. In Guglielmo Cavallo & Roger Chartier (a cura di), Storia della lettura nel mondo occidentale, 3-36. Roma/Bari: Laterza.
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