Federico Gobbo
Cattedra speciale di interlinguistica ed esperanto, Università di Amsterdam
Il 26 luglio 1887, nella tipografia Kelter di Varsavia, territorio dello zar, viene pubblicato un breve libro in russo che segnerà l’inizio di una rivoluzione linguistica: si tratta del primo libro in esperanto, una lingua inventata per permettere la comunicazione su un piano di parità, che prende il nome dallo pseudonimo dell’autore di quel libro. Partito allora come progetto linguistico, nel volgere di una generazione, con il primo Congresso Mondiale Esperanto in Francia nel 1905, l’esperanto prova concretamente il suo essere lingua parlata, viva e vitale. Nonostante sia sopravvissuto non a una ma a due guerre mondiali, e in particolare alle persecuzioni di Hitler e Stalin (Lins 1990), c’è ancora chi non si capacita che l’esperanto funzioni davvero, e che venga usato ancora oggi, con il ruolo di ‘lingua franca’ – qualsiasi cosa questa espressione significhi.
Ma chi lo parla, l’esperanto? E dove?
Storicamente, chi si interessa di esperanto ha spesso fatto parte di un’avanguardia sociale. La prima inchiesta sociologica sugli esperantisti è di un allievo di Edwin L. Clarke, l’americano Reuben A. Tanquist (Garvía 2015, in particolare il capitolo 12). Per dare un’idea, nei primi anni del Novecento, prima della grande guerra, l’alta presenza di pacifisti e donne tra le fila degli esperantisti gli aveva attirato l’accusa di essere una lingua effeminata, priva di valori virili. Nel corso del Congresso Mondiale Esperanto a Dresden, in Germania, nel 1908, fu fondata l’associazione internazionale degli esperantisti vegetariani, una delle più antiche del settore, tuttora attiva.
Da allora è passato più di un secolo. Tra le motivazioni dell’apprendimento dell’esperanto, oggi come allora, spiccano la voglia di viaggiare, di fare amicizie internazionali, il desiderio di vivere in un mondo più giusto. Un secolo fa tale desiderio veniva legato a religioni o ideologie particolari; oggi, con l’avvenuta secolarizzazione, l’aspetto ideologico è molto meno presente, mentre il desiderio di amicizia o addirittura di far parte della comunità esperantofona di per sé si è fatto più forte (Caligaris 2016).
Dove si parla esperanto? Non esiste un territorio esperantista, ma esiste una geografia. Quanti italiani sanno collocare sulla mappa Białystok? Si tratta della città natale di Zamenhof, il fondatore dell’esperanto, e si trova nella Polonia orientale. Nella geografia dell’esperanto Białystok è nota e importante quanto Varsavia.
Ci sono due esperimenti importanti di microstati che hanno usato l’esperanto per guadagnare l’indipendenza e il riconoscimento internazionale. L’esperimento più importante riguarda un fazzoletto di terra (3,4 km2) tra Francia, Germania, Belgio e Paesi Bassi chiamato Moresnet. Indipendente per caso a seguito del Congresso di Vienna del 1815, nei primi anni del Novecento adotta l’esperanto per dotarsi di un apparato statale e, paradossalmente, quell’atto porterà alla sua chiusura (Dröge 2020).
L’altro esperimento è una storia italiana. Nel Mare Adriatico alle porte di Rimini, l’ingegnere Giorgio Rosa nel 1967 costruisce una piattaforma in acque internazionali con l’intenzione di farne un’attrazione turistica, che chiama Isola delle Rose. Conoscitore dell’esperanto, usa la lingua per ricevere l’attenzione della stampa internazionale, ma proprio il suo relativo successo porterà alla fine dell’avventura pochi mesi dopo, nel 1968, aprendo un caso di diritto internazionale (Paone 1968).
La proclamata repubblica indipendente esperantista Insulo de la Rozoj è diventata di recente popolare grazie al fortunato film L’incredibile storia dell’Isola delle Rose (2020, regia di Sydney Sibilia) distribuito da Netflix. Il film ha acceso la curiosità di molti spettatori che hanno cercato sul web dei modi per imparare la lingua gratuitamente. È internet il luogo non-luogo dove l’esperanto è di casa. Adottato dalla controcultura del software libero di Richard Stallman, fiorisce la Esperanta Vikipedio, la versione in esperanto di Wikipedia, e vengono tradotti completamente programmi liberi popolari; per esempio, il pacchetto LibreOffice e le interfacce grafiche Gnome e KDE del sistema operativo Linux. In seguito, il mondo informatico in esperanto entra anche in alcune realtà mainstream, come Facebook, la cui interfaccia è tradotta quasi per intero.
Nel momento in cui la vita delle persone si è spostata online, l’esperanto era lì pronto. Non stupisce dunque che non manchino i corsi di base mediante app o i materiali audio e video, grazie a podcast e vlogger. Aneddoticamente, tra le motivazioni addotte per imparare l’esperanto durante il 2020, l’anno duro della pandemia, menzioniamo la voglia di mettersi alla prova con qualcosa di diverso, soprattutto per chi in precedenza ha avuto esperienze fallimentari nell’apprendere una lingua straniera, ma anche la voglia di conoscere persone nuove, per quanto solamente attraverso uno schermo. L’esperanto diventa un modo per abbattere la noia di giornate tutte uguali che tutti noi, a ogni latitudine e longitudine, abbiamo purtroppo sperimentato, soprattutto nei lockdown rigidi come quello italiano.
Paradossalmente la pandemia ha avuto un effetto positivo sull’esperanto, forse perché viene percepita comunemente come una lingua neutrale, ponte tra le nazioni, non etnica, che appartiene a tutti ma non è di nessuno in particolare. Nuovi volti e nuove voci popolano il paesaggio esperantista mondiale, come per esempio Chelsea Rae Moses, che ha imparato l’esperanto sul web ed è diventata una vlogger in esperanto piuttosto popolare.
Come tante altre realtà associative, il movimento esperantista sta passando un periodo di crisi che ha origine negli anni Novanta, con la caduta dell’Unione Sovietica e l’invenzione del World Wide Web al CERN di Ginevra. Le tecnologie informatiche – allora nuove, oggi date per scontate – hanno cambiato il nostro modo di vivere man mano che si sono diffuse e sono diventate a buon mercato. Che senso ha oggi investire in un bollettino informativo stampato e spedito per posta cartacea, per informare gli iscritti a un’associazione, in questo caso esperantista? Non è possibile dare una risposta univoca: dipende dalla strategia che si vuole adottare.
L’esperanto vive oggi un periodo di trasformazione sociolinguistica profonda, perché da un lato le forme tradizionali di associazionismo non riescono facilmente a trovare una via nuova per dare ai parlanti dei servizi che non trovano altrove, dall’altro l’incremento del numero dei parlanti apre nuove possibilità e prospettive.
Stanno già emergendo alcune novità. Fin dai pionieri, gli esperantisti si trovavano soprattutto nei club sorti nelle città di tutto il mondo, dove le persone di diverse nazionalità si incontrano per motivi di lavoro e mobilità. Fino a pochi anni fa, i club esperantisti sembravano spacciati. Adesso, con la pandemia, i club più attivi, come quelli di Londra, Parigi, o Anversa, si sono rivelati dei centri di aggregazione ibridi, proponendo conferenze online ai propri membri in sede, mettendo in contatto il locale con il globale. Questa formula funziona così bene che alcuni di questi incontri sono più popolari di congressi organizzati da realtà associative più grosse. Verso quale direzione di sviluppo porteranno queste novità è troppo presto per dirlo: quel che è certo, è che l’esperanto è una realtà sociale e linguistica sempre in movimento.
Per approfondire
Caligaris, Irene. 2016. Una lingua per tutti, una lingua di nessun Paese: una ricerca sul campo sulle identità esperantiste. Ariccia: Aracne.
Dröge, Philip. 2020. Terra di nessuno. Rovereto: Keller Editore.
Garvía, Roberto. 2015. Esperanto and its rivals: The struggle for an international language. Philadelphia: University of Pennsylvania Press.
Gobbo, Federico. 2009. Fondamenti di interlinguistica ed esperantologia: pianificazione linguistica e lingue pianificate. Milano: Cortina.
Lins, Ulrich. 1990. La lingua pericolosa: storia delle persecuzioni contro l’esperanto sotto Hitler e Stalin. Piombino: TraccEdizioni.
Paone, Pasquale. 1968. Il caso dell’Isola delle Rose. Rivista di diritto internazionale, 505-521. Milano: Giuffrè.
3 Commenti
Carlo Minnaja 27 Luglio, 2021
L’esperanto, oltre alle sue qualità comunicative e alla sua attrattiva di lingua egualitaria di promozione sociale, ha anche una vasta letteratura: vd. C. Minnaja, Introduzione alla letteratura esperanto, ed. Athenaeum, 2019.
Francesco 28 Luglio, 2021
Sì vero, io avevo letto e sentito la parola Esperanto anni fa, ma oltre che avere le informazioni nella mia enciclopedia non ho potuto fare nient’altro all’epoca.
Con internet, per caso mi è venuta in mente ed ho trovato dei corsi come il Kirek organizzato via email dalla federazione esperantista italiana (esperanto.it/kirek ) o un corso creato da un brasiliano tradotto in moltissime lingue (kurso.com.br).
All’epoca ho scaricato anche vario materiale in pdf, ed ho imparato anche da solo oltre che con i corsi citati.
Molto stimolante anche intellettualmente, lo consiglio a chi vuole spendere bene il proprio tempo, dai 6 ai 99 anni…
Enrico Gaetano Borrello 28 Luglio, 2021
Ringrazio il dott. Gobbo per questo articolo ricco di informazioni corrette.
Come esperantista “di base”, sono infatti stufo di commenti ed asserzioni sbagliate provenienti anche da linguisti e filosofi di vaglia, non solo da quelli prezzolati dalle lingue maggioritarie: basta un minimo di conoscenza del fenomeno esperanto per verificare che è una lingua che funziona, che mette in contatto persone provenienti dalle più disparate lingue etniche, che rende gli esperantisti una comunità dispersa in tutto il mondo, che aiuta ad imparare bene le altre lingue … ed anche la propria.
Perchè molti linguisti continuano a non accettare questa lingua?
Nessuno li obbliga ad usarla, ma almeno che la smettano di boicottarla: l’esperanto funziona da più di 130 anni, nonostante i detrattori.
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