Arianna Bienati, Chiara Vettori e Lorenzo Zanasi
Eurac Research
“Non posso dire solo stupide frasi
Anche se per caso mi piacessero i fiori
Non è detto che io debba fare il fiorista
Il questionario dei tre giorni è proprio fuori dal tempo
I professori sono quasi tutti fuori dal tempo”
Per chi si occupa di scienze sociali, il questionario è una risorsa di lavoro molto frequente e di grande utilità. È il classico strumento che funziona egregiamente senza bisogno di particolari innovazioni e che conserva intatta la sua essenza attraverso il tempo. Gli psicologi direbbero che ha un’ottima affordance, ovvero che suggerisce in maniera chiara l’uso per cui è stato concepito, un po’ come la forchetta o il cucchiaio, oggetti in circolazione da millenni e adoperabili in modo molto intuitivo. I linguisti hanno iniziato a servirsi dei questionari a fine Ottocento nel campo della dialettologia (celebri le indagini postali promosse da Georg Wenker nel 1870 per l’Atlante linguistico della Germania), adattandoli poi ad ambiti di indagine di volta in volta diversi e sfruttandone le capacità di cogliere il dato linguistico insieme a quello sociale e statistico. Tuttavia, per quanto versatile e longevo sia, anche uno strumento esplorativo come il questionario è esposto ai cambiamenti sociali e se non impiegato con determinate accortezze rischia di essere percepito ‘fuori dal tempo’, come cantano i Bluvertigo.
Attenzione quindi a non risultare involontariamente ridicoli o, peggio, offensivi. In questo contributo, segnaliamo alcuni casi in cui occorre riflettere bene su come impostare le domande dal punto di vista di contenuto e forma, in tempi di forte attenzione ai mutamenti sociali. Per farlo, portiamo l’esempio concreto di un questionario somministrato in Alto Adige, una realtà che conosciamo bene e che, a partire dalla sua particolare situazione sociolinguistica, pone il ricercatore davanti a questioni che richiedono una attenta riflessione. Qui, nel 2020, noi di Eurac Research abbiamo lanciato il progetto ITACA – Coerenza nell’ITAliano accademico, volto ad analizzare le competenze nell’italiano scritto degli studenti altoatesini italofoni. Rivolgendoci, attraverso il questionario, a questa platea di giovani, ci siamo imbattuti in alcune aree su cui è bene soffermarsi.
Dimmi che lingue parli e (non) ti dirò chi sei
Capita spesso che in un’indagine sociolinguistica si voglia risalire alla lingua madre dei partecipanti. In Alto Adige, in cui storicamente convivono tre gruppi linguistici (tedesco, italiano e ladino), la madrelingua è, però, un dato sensibile perché può rivelare l’appartenenza a un gruppo etnico e pertanto non è possibile chiedere in modo diretto di indicarla. Per ovviare a questo problema, nel questionario di ITACA abbiamo optato per una domanda meno diretta ma comunque utile allo scopo di individuare la prima lingua degli studenti partecipanti, ovvero “Qual è la lingua che ritieni di conoscere meglio?”.
Ma non basta: in generale, in un’epoca di scuola multiculturale e, in particolare, in un contesto così variegato e ormai da decenni meta di importanti movimenti migratori che ne hanno arricchito il panorama linguistico, non si può presupporre il monolinguismo di coloro che partecipano all’indagine. Per questo motivo tutte le domande utili a ricostruire il profilo e l’ambiente linguistico dei nostri rispondenti prevedono sempre la possibilità di dichiarare anche combinazioni di due o più lingue. Le risposte vengono poi incrociate con i dati sulle lingue parlate dai e con i genitori, fratelli e sorelle, parenti e il gruppo dei pari, per verificarne l’effettiva corrispondenza con quelle dichiarate.
In quest’ottica di valorizzazione del plurilinguismo, vorremmo sottolineare quanto sia importante rappresentare in modo equo sia le lingue locali sia quelle delle nuove minoranze. La risposta “due o più lingue” alla domanda circa la lingua meglio conosciuta è, infatti, esemplificata con “ad es. italiano/tedesco, inglese/tedesco/italiano, albanese/italiano, ecc.”, in modo tale che ogni lingua, qualsiasi essa sia, sia percepita come ugualmente legittima.
Gender o non gender? Non solo una questione di forma
Uno degli obiettivi del questionario è far sentire a casa quante più persone possibili, cercando di non discriminare alcuna identità di genere e di utilizzare un linguaggio libero da pregiudizi o stereotipi. Ma con quali strategie si può raggiungere questo scopo? Quali sono i pro e i contro? Nel caso dei questionari sociolinguistici ci si rivolge quasi sempre a gruppi eterogenei: non sappiamo se coloro che parteciperanno al questionario si definiscono ragazzi, ragazze o ragazzǝ. Per rispettare tutte le sensibilità, nel questionario di ITACA abbiamo posto le domande in modo diretto, usando la prima o la seconda persona singolare, cercando di rendere impersonali, dove possibile, le formulazioni in cui solo una delle identità (di solito quella maschile) fosse visibile.
Non abbiamo scritto, quindi, “Con i messaggi e l’e-mail mi sento libero di scrivere quello che voglio”, bensì “Con i messaggi e l’e-mail sento di poter scrivere quello che voglio”.
Questa strategia ci ha permesso di evitare l’impiego sistematico del maschile sovraesteso, senza fare ricorso a simboli ‘sperimentali’ (come lo schwa o l’asterisco), e ci ha consentito anche di schivare lo sdoppiamento in femminile e maschile dei sostantivi con il conseguente duplice accordo di articoli, aggettivi e participi. Quest’ultima strategia tende a provocare una proliferazione di forme alternate che, se usate in testi lunghi e complessi, rendono più difficile la comprensione. Peraltro, è una soluzione che esclude coloro che non si riconoscono in alcun genere.
Inoltre, quando abbiamo chiesto informazioni sulla cerchia di amicizie o sui parenti prossimi, abbiamo usato alcuni accorgimenti che ci hanno permesso di evitare rappresentazioni stereotipiche. Ad esempio, ci sono famiglie in cui entrambi i genitori si riconoscono nello stesso genere. Sarebbe quindi riduttivo contemplare unicamente la presenza di un padre e di una madre. Nel nostro questionario, abbiamo adottato la dicitura ‘genitore l’ e ‘genitore 2’ che, per quanto rimandi a polemiche si spera ormai superate, ci sembrava più rispondente alla realtà delle cose.
Detto questo, quando si entra in una classe è bene tenere a mente che questi accorgimenti possono risultare non trasparenti e vanno quindi spiegati: sia che si decida di optare per una formulazione neutra o per una che, al contrario, renda visibili le identità di genere sarà necessario chiarire le ragioni dell’utilizzo.
Non uno di meno
Un altro tema delicato nella costruzione del questionario è rappresentato dall’accessibilità dello strumento da parte degli studenti con disabilità. Sfruttando i vantaggi del formato online rispetto al cartaceo, siamo riusciti a rendere più inclusive le nostre indagini, garantendone l’accesso anche a “coloro che a causa di disabilità necessitano di tecnologie assistive o configurazioni particolari” (Agenzia per l’Italia digitale). L’interfaccia online, infatti, consente di approntare il questionario in modo che sia più leggibile per categorie di rispondenti altrimenti penalizzate.
Considerato che a livello nazionale il Trentino-Alto Adige registra, dopo la Liguria, la percentuale più alta di alunni con Disturbi Specifici dell’Apprendimento (DSA), nel nostro questionario abbiamo cercato di adottare delle strategie per renderlo accessibile in particolare a questi studenti. Come suggerito dall’Associazione Italiana Dislessia, abbiamo adottato un font sans-serif – o ‘senza grazie’, ovvero senza tratti aggiuntivi ma con le estremità delle lettere dritte e nette – con corpo 14 pt., evitando sottolineature e preferendo il grassetto per evidenziare concetti per noi importanti e usando un testo di colore scuro su uno sfondo color crema. Per agevolare ulteriormente la lettura, ci si può, inoltre, avvalere della sintesi vocale, installabile sui browser più usati tramite delle estensioni che leggono i quesiti ad alta voce e, in alcuni casi, permettono anche di aumentare le dimensioni del testo.
Che lezione trarre da tutto ciò? Certamente che il rispetto delle diversità passa anche attraverso questi dettagli. Il questionario è uno strumento di ricerca complesso che richiede la conoscenza del pubblico a cui si rivolge; mostrare sensibilità verso temi di identità e genere può renderlo più inclusivo e meno ‘fuori dal tempo’.
Per approfondire
Fiorentini, Ilaria, Chiara Gianollo & Nicola Grandi (a cura di). 2020. La classe plurilingue. Bologna: Bononia University Press.
Marradi, Alberto. 2019. Tutti redigono questionari. Ma è davvero così facile?. Milano: Franco Angeli.
Robustelli, Cecilia. 2018. Lingua italiana e questioni di genere. Riflessi linguistici di un mutamento socioculturale. Roma: Aracne.
Vassalli, Sebastiano. 2016. Il confine. I cento anni del Sudtirolo in Italia. Milano: BUR Rizzoli.
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