Chiara Gianollo
Università di Bologna
I ricordi scolastici ci portano a pensare alla sintassi come a quell’ambito della linguistica che si occupa di descrivere e spiegare la struttura delle frasi. In realtà, la sintassi si occupa di tutto ciò che coinvolge la combinazione di parole in unità complesse, anche più piccole della frase. Del resto, il termine veniva usato dai grammatici greci ancora prima che si definisse in senso moderno il concetto di frase, e veniva applicato a tutto ciò che fosse combinazione (syn ‘insieme’ + táksis ‘ordine, disposizione’) di elementi linguistici, per esempio anche alle regole che governano la combinazione dei suoni nelle sillabe.
Oggi chi si occupa di sintassi studia il modo in cui, nelle varie lingue, si creano combinazioni di parole per formare unità di senso e struttura più complessi, chiamate costituenti, e il modo in cui questi costituenti si uniscono, a loro volta, in combinazioni ancora più complesse. Non si tratta di un compito facile. Da una parte, infatti, un modello sintattico dovrà spiegare perché, in italiano, si abbia una sequenza come questi due cani bianchi e non sia possibile, invece, la sequenza *cani bianchi due questi (l’asterisco si usa proprio per indicare l’impossibilità di una sequenza). D’altra parte, però, un modello adeguato dovrà anche essere in grado di spiegare perché, in una lingua come il gungbe, parlata in Benin e Nigeria da più di un milione di persone, esattamente questa sequenza sia possibile, e sia, anzi, l’ordine normale per combinare gli elementi corrispondenti alle parole italiane usate sopra:
Àvún wéwé àwè éhè lέ
cane bianco due questo plurale
‘Questi due cani bianchi’
(l’esempio è tratto da qui)
In altre parole, la sintassi è allo stesso tempo alla ricerca dell’universale e del variabile. Uno degli scopi della disciplina è, infatti, svelare i principi universali su cui si fonda la capacità combinatoria che gli esseri umani mostrano nell’unire tra loro parole per creare messaggi sempre nuovi e potenzialmente infiniti (una capacità che appare contraddistinguerli da tutti gli altri animali). Necessariamente accompagnata a questa ricerca è quella sulle dimensioni di variazione che caratterizzano, in questo dominio, le lingue umane e che danno origine, per esempio, alla sintassi del gungbe accanto a quella dell’italiano.
Un’intuizione persistente, e ormai corroborata da un notevole numero di studi comparativi, è che questa variazione non sia arbitraria: anche ciò che, nella sintassi delle lingue, è variabile è sottoposto a restrizioni, che permettono certi tipi di combinazione ma non altri, o che ne rendono alcuni molto più frequenti di altri. Per tornare all’esempio visto sopra, sia l’ordine dell’italiano Dimostrativo-Numerale-Nome-Aggettivo, sia quello del gungbe Nome-Aggettivo-Numerale-Dimostrativo sono molto frequenti nelle lingue del mondo. D’altro canto, l’ordine Dimostrativo-Nome-Numerale-Aggettivo è molto raro, e quello Numerale-Dimostrativo-Aggettivo-Nome è addirittura non attestato (pertanto, si suppone, impossibile nelle lingue umane).
Anche sulla variazione, quindi, agiscono limiti universalmente validi, tanto che il linguista Joseph Greenberg parla di universali linguistici a proposito di fatti come quelli appena visti, che lui stesso ha contribuito in modo decisivo a scoprire (su Linguisticamente si è parlato di universali qui). Secondo uno dei modelli della grammatica generativa (su cui si può leggere un approfondimento qui), la capacità combinatoria delle lingue sarebbe regolata da un insieme di principi e di parametri: i principi sono intesi come i pilastri su cui si fonda il sistema computazionale alla base della capacità combinatoria, mentre i parametri rappresentano delle scelte che ogni lingua opera e i cui valori vengono appresi dalle nuove generazioni durante l’acquisizione della lingua. Nel nostro esempio, un principio impedirebbe al numerale di precedere il dimostrativo se entrambi gli elementi si trovano prima del nome, mentre un parametro lascerebbe libertà riguardo alla scelta se posizionare il nome prima o dopo il dimostrativo e il numerale.
Chiaramente lo scopo di qualunque modello della sintassi è quello di capire il perché: perché certe combinazioni sintattiche (e quindi certe lingue) sono impossibili? Perché alcune sono più frequenti? Perché la sintassi di una certa lingua muta nel tempo, e quali sono le direzioni che può prendere?
Nel tentativo di dare risposte a questi e ad altri interrogativi, sono molti i metodi e i modelli che sono stati sviluppati negli ultimi decenni (a partire dagli anni Cinquanta si è verificata una vera e propria esplosione di interesse verso questo livello di analisi). Questi modelli si differenziano da vari punti di vista, che ci fanno capire la complessità dell’oggetto di analisi. Alcuni modelli si concentrano sull’estrazione di dati da corpora testuali, scritti o orali, mentre altri utilizzano metodi introspettivi, andando alla ricerca delle intuizioni dei parlanti attraverso giudizi di accettabilità. Si utilizzano anche i metodi della psico- e della neurolinguistica, per esempio per valutare la complessità di certe strutture attraverso i tempi di elaborazione dell’informazione o per monitorare le aree del cervello maggiormente coinvolte nella produzione e nella decodifica delle strutture sintattiche.
Alcuni approcci privilegiano un’interpretazione della sintassi come puro meccanismo di combinazione e vanno alla ricerca dei principi strutturali che regolano le unioni tra elementi e la gerarchia tra di essi. Si tratta di approcci che ci concentrano sulla cosiddetta ‘sintassi stretta’ (narrow syntax) e che sono guidati da domande che trascendono la linguistica, perché coinvolgono considerazioni evoluzionistiche più ampie: perché solo noi? cosa contraddistingue la capacità combinatoria della sintassi umana da altri sistemi complessi nella comunicazione animale? e possiamo ricondurre a questa capacità aspetti cognitivi extra-linguistici, come quelli alla base della musica o della matematica?
Altri approcci, invece, hanno una concezione estesa della sintassi e spingono la loro indagine alle cosiddette interfacce, cioè ai giunti che connettono il livello della sintassi con gli altri, dalla prosodia, alla morfologia, alla semantica, alla strutturazione pragmatica dell’informazione nell’enunciato. È chiaro, infatti, che, come si è già visto per i suoni delle lingue qui, i vari moduli del linguaggio sono interconnessi.
Certamente la sintassi ha una sua autonomia: riprendendo un esempio famoso di Noam Chomsky, la combinazione colorless green ideas sleep furiously è sintatticamente perfetta in inglese, così come la sua controparte italiana idee verdi incolori dormono furiosamente, anche se dal punto di vista del significato presenta una serie di incompatibilità che la rendono semanticamente inappropriata (e costringono ad affidarsi a fantasiose interpretazioni metaforiche per cercare di estrarne un senso, cosa che tutti gli esseri umani sottoposti a questo esempio regolarmente tentano!).
Tuttavia, nella normalità dell’uso della lingua, la sintassi è al servizio dell’espressione di un messaggio, che si costruisce a partire dagli elementi lessicali coinvolti e si modella anche in considerazione del punto del discorso in cui viene inserito. L’uso di un verbo come arrivare in una frase si baserà sulla consapevolezza che semanticamente l’evento di arrivare coinvolge un unico partecipante (o gruppo di partecipanti) e una meta che si raggiunge. Chi usa la lingua saprà, inoltre, che il verbo arrivare richiede di esprimere la meta introducendola con una preposizione (a, in), mentre un verbo come raggiungere esprimerà la meta senza bisogno di una preposizione che la introduca. Inoltre, a partire dalla descrizione della stessa situazione, per esempio quella che coinvolge Gianni nell’evento di arrivare, utilizzerò la sequenza È arrivato Gianni se questo enunciato servirà a rispondere alla domanda Cos’è successo?, mentre utilizzerò la sequenza Gianni è arrivato se l’enunciato si inserisce in un discorso in cui qualcuno prima ha detto Mi chiedo quanto tarderà ancora Gianni. La chimica tra le parole, la loro capacità combinatoria, dipende quindi anche da una serie di condizioni lessicali e contestuali che vanno ad aggiungersi alle regole della ‘sintassi stretta’.
C’è un fattore che, oggi, accomuna tutti gli approcci alla sintassi: lo studio delle dimensioni di variabilità. Non è possibile, infatti, comprendere appieno il sistema di funzionamento di una lingua e fornirne un modello teorico accurato senza prendere in considerazione un panorama più ampio che ci dica cos’è possibile e cosa non è possibile nelle lingue del mondo. Spesso non serve andare troppo lontano: anche lo studio della micro-variazione, come quella che si riscontra tra i vari dialetti italiani per molti fenomeni, può essere estremamente istruttivo!
Per approfondire
Chomsky, Noam & Robert C. Berwick. 2016. Perché solo noi. Torino: Bollati Boringhieri.
Grandi, Nicola. 2014. Fondamenti di tipologia linguistica. Nuova edizione. Roma: Carocci.
Moro, Andrea. 2017. Le lingue impossibili. Milano: Raffaello Cortina Editore.
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