Eva-Maria Christina Charlotte Thüne
Alma Mater Studiorum – Università di Bologna
Il Kindertransport (trasporto dei/delle bambini/e) verso la Gran Bretagna e la migrazione verso la Palestina/Israele (Kinder- und Jugendalijah dal 1933) sono state le due grandi azioni per il salvataggio di ragazzi e ragazze ebrei/e dalla Germania nazista e dai paesi via via occupati. L’iniziativa fu avviata in seguito alle devastazioni del pogrom del 9 novembre 1938; in Gran Bretagna furono accolti ragazzi e ragazze soprattutto ebrei/e tra i 4 e i 16 anni senza visto d’ingresso, a condizione che arrivassero senza genitori e non pesassero sull’economia britannica (per una presentazione esaustiva si consiglia Baumel-Schwartz 2012).
Molte di queste persone (che ancora oggi si chiamano Kinder), specialmente quelle partite subito nel 1938, non ebbero modo di prepararsi al viaggio, né psicologicamente né linguisticamente – solo pochi avevano qualche competenza in inglese. Considerando poi le varie fasce d’età dei Kinder al momento della partenza, nemmeno le conoscenze del tedesco come prima lingua erano allo stesso livello per tutti: il gruppo in età prescolare (4-6 anni) non poteva che avere conoscenze limitate e meno consolidate, quindi più agevolmente sostituibili con un’altra lingua. Questo poteva valere, sia pure in misura minore, anche per il gruppo di età compresa tra i 7 e 9 anni (età della prima alfabetizzazione); i Kinder tra i 10 e i 16 anni, invece, avevano già acquisito conoscenze del tedesco più articolate, sia a livello cognitivo, sia nello sviluppo di competenze di scrittura e lettura di testi, nella letteratura e in ambito culturale in senso esteso (cfr. le esperienze raccontate in Gershon 1966).
Nel periodo tra il 2017 e il 2018, durante soggiorni di studio in Gran Bretagna, ho raccolto interviste narrative con persone lì migrate, molte delle quali con il Kindertransport. Il corpus è diviso in due subcorpora: il primo consiste in 24 conversazioni con Kinder propriamente del Kindertransport, il secondo comprende 16 interviste con persone con caratteristiche analoghe (fascia d’eta, retroterra linguistico-culturale), ma arrivate in Gran Bretagna non nell’ambito dell’azione del Kindertransport bensì con un visto, o da sole o accompagnate da altre persone. Al momento dell’intervista le persone avevano tra gli 81 e i 97 anni. Le interviste, la cui durata varia da 45 minuti a oltre due ore, sono state svolte quasi esclusivamente in tedesco (con fenomeni di commistione dei codici); solo cinque persone hanno preferito parlare in inglese.
Le registrazioni e le trascrizioni sono accessibili attraverso la Datenbank für Gesprochenes Deutsch (corpus Flucht und Emigration nach Großbritannien, FEGB), e svariati brani delle interviste sono stati pubblicati nel volume Gerettet. Berichte von Kindertransport und Auswanderung (Thüne 2019); sulla pagina web www.gerettet2019.wordpress.com si possono sentire clip audio e leggere notizie sul progetto.
I dati raccolti costituiscono un corpus di biografie linguistiche (Busch 2016 e 2021) con il quale, grazie alla prospettiva soggettiva degli intervistati, si è cercato di trovare risposte ad alcune domande guida, e cioè 1) come era avvenuto il processo di apprendimento dell’inglese; 2) se il tedesco fosse stato mantenuto e con quali modalità; 3) se le persone si percepissero come bi- o plurilingui; 4) se il tedesco fosse stato tramandato alla seconda generazione; 5) come si configurava – al momento dell’intervista – il rapporto con la cultura tedesca in senso più ampio.
Con questa impostazione il corpus si differenzia da altri raccolti in precedenza, sia per la lingua (il tedesco, mentre la maggior parte delle interviste raccolte altrove è in inglese), sia per la prospettiva prevalentemente linguistico-culturale. Infatti, la scelta delle persone intervistate è stata condizionata dalla loro possibilità e volontà di comunicare in tedesco. Senza dubbio si può affermare che coloro che hanno mantenuto o ri-acquisito la conoscenza del tedesco sono una minoranza rispetto al gruppo dei Kinder nella sua totalità; rappresentano tuttavia un esempio significativo per capire come delle persone, in seguito a una migrazione forzata e all’insegna del trauma, abbiano potuto mantenere la prima lingua anche in assenza di un contesto di sostegno allo sviluppo di un bilinguismo.
Considerando l’età delle persone intervistate (cfr. tabella 1, anno di nascita), in molte interviste si sono potuti constatare problemi di memoria o più in generale la scarsa pratica del tedesco. In molti casi, questo ha portato e anche a fenomeni di code-switching o code-mixing, sui quali non posso soffermarmi qui.
Le persone che sono state intervistate hanno quasi tutte appreso il tedesco come prima lingua; il tedesco, infatti, oltre a essere lingua nazionale in Germania e in Austria, era lingua di prestigio in molti dei paesi occupati dalle forze naziste, dove storicamente vivevano anche diverse minoranze tedescofone (per esempio in Cecoslovacchia, Polonia, Ungheria). Per queste persone il tedesco era anche la lingua principale in famiglia. Alcuni dei Kinder intervistati (soprattutto quelli austriaci) venivano da famiglie con un retroscena plurilingue in seguito alla migrazione di generazioni precedenti da paesi dell’Europa Orientale (Polonia, Cecoslovacchia, Ungheria ecc.). Malgrado ciò, le lingue di questi paesi erano state abbandonate generalmente già dai genitori; lo stesso vale anche per lo yiddish.
Una volta arrivati in Gran Bretagna, il tedesco è stata un’eredità difficile per i Kinder, poiché non era solo la lingua dei genitori, ma anche quella dei nazisti. Questo presupposto ha portato, nel corso delle loro vite, ad atteggiamenti diversi: rifiuto o dimenticanza della lingua, tentativi di nasconderla, non riconoscersi come bilingui.
Nella guida per profughi redatta nel 1938 a cura del German Jewish Aid Committee, Jewish Board of Deputies, London si trovano, per esempio,queste raccomandazioni: “1. Usi al più presto il tempo libero per imparare la lingua inglese e la sua corretta pronuncia. 2. Non parli tedesco per strada, nei mezzi pubblici, in generale in pubblico, p.es. al ristorante. È preferibile parlare un inglese stentato rispetto a un tedesco fluente – e soprattutto non parli mai a voce alta” (German Jewish Aid Committee, 1938: in grassetto nell’originale).
Con la crescente tensione politica e soprattutto dopo l’inizio della guerra il tedesco era diventato la lingua nemica tout court, quella che nessuno voleva sentire, e questo ha contribuito in modo decisivo sia all’apprendimento dell’inglese sia all’abbandono del tedesco.
Sebbene negli ultimi decenni i fatti storici del Kindertransport siano stati elaborati, le singole esperienze dei Kinder sono difficilmente generalizzabili; questo vale soprattutto per la situazione linguistica, dove a livello esperienziale si notano molte differenze, causate sia da fattori oggettivi (preconoscenze, contesti di apprendimento dell’inglese, possibilità di mantenere il contatto con il tedesco ecc.), che soggettivi (età, attaccamento alla lingua tedesca ecc.). Nel corso della vita per alcuni il tedesco è sparito completamente, per essere poi recuperato dopo molti anni, per esempio per il desiderio di leggere le lettere dei genitori scritte in tedesco. Per altri il tedesco è rimasto una lingua attiva durante tutto l’arco della vita, specie per i rapporti personali; altri ancora hanno attivamente collaborato alla ricostruzione della memoria della Shoah sia in Germania sia in Gran Bretagna e – dopo un lungo periodo conflittuale – hanno recuperato il rapporto con la lingua e con i suoi parlanti (cfr. David 2003). La competenza del tedesco rimane comunque parziale, infatti le autovalutazioni riportate nella tabella 2 (conoscenze del tedesco) privilegiano la comprensione ed espressione orale. Molti non si riconoscono come bilingui e l’impressione che prevale è che si tratti di una lingua ‘nascosta’.
Che cosa ci può insegnare una ricerca di questo tipo oggi, alla luce di processi di migrazione sempre più frequenti?
Si può diventare più consapevoli del pericolo di una stigmatizzazione di lingue e culture, e quindi dell’opportunità di una minore identificazione tra lingue e entità politica quando siamo di fronte a persone dislocate dai loro paesi. Questa accresciuta consapevolezza si costruisce meglio attraverso il dialogo, per esempio ascoltando le narrazioni di biografie linguistiche che parlano di traumi ma anche di resilienza e dello sviluppo di un plurilinguismo che oltrepassi i condizionamenti della politica.
Per approfondire
Baumel-Schwartz, J. T. 2012. Never look back. The Jewish Refugee Children in Great Britain 1938–1945. West Lafayette: Purdue University Press.
Busch, B. 2016. Methodology in biographical approaches in applied linguistics. Working Papers in Urban Langauge & Literacies, paper 18 http://heteroglossia.net/fileadmin/user_upload/publication/WP187_Busch_2016._Methodology_in_biograp.pdf
Busch, B. 2021. Mehrsprachigkeit. Wien: Facultas/UTB
German Jewish Aid Committee, Jewish Board of Deputies. 1938. While you are in England. Helpful Information and Guidance for every Refugee, London, 13.
Gershon, K. (a cura di). 1966. We came as Children. A collective Autobiography. London: Victor Gollancz Ltd.
Thüne, E.-M. 2019. Gerettet. Berichte von Kindertransport und Auswanderung. Berlin und Leipzig: Hentrich & Hentrich.
Thüne, E.-M. 2020. What the Kindertransportees tell us about the acquisition of English. Jewish Historical Studies: Transactions of the Jewish Historical Society of England, London (UCL Press), 165-182. DOI: https://doi.org/10.14324/111.444.jhs.2020v51.011.
Thüne, E.-M. 2021. Lingua e migrazione. Esperienze linguistiche dei Kinder del Kindertransport. in: MemWar. Memorie e oblii delle guerre e dei traumi del XX secolo, 156-173, Genova: GUP.
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