Elisa Bianchi
ICoN – Italian Culture on the Net
A un mese e mezzo di distanza dalla maratona di Sanremo 2022 (i più resistenti riescono a guardare tutte e cinque le serate), ripercorriamo questa edizione del Festival, che è già entrata nella storia per il record di ascolti e per il successo radiofonico e discografico di molte delle canzoni in gara.
Partiamo dalla cornice: una conduzione brillante (del non brillante Amadeus, ‘coso’, secondo Drusilla Foer), ritmi serrati, ospiti azzeccati (a parte il ‘golpista’ Cremonini, che si è indebitamente impadronito del palco dell’Ariston per somministrare all’ignaro e stremato pubblico il concertone per il ventennale della propria carriera); last but not least, il tormentone del Fantasanremo, che ha reso la visione del Festival un’attività di interpretazione e catalogazione di tutto che manco Umberto Eco: l’artista ha ringraziato il pubblico, 10 punti, ecco, ha fatto le flessioni, 20 punti. Incredibile, ha detto ‘Papalina’ e addirittura ‘Ciao zia Mara’ (di fronte all’ignara Mara Venier, che, povera, non si capacitava).
Tutto è segno, tutto è interpretato, anche il più piccolo gesto.
Dalla cornice passiamo alle canzoni, le vere protagoniste del Festival.
In generale, con questa edizione possiamo definitivamente considerare superata la tradizionale dialettica tra il Sanremo (inteso come ‘codice sanremese’, come stilema codificato) e l’Anti-Sanremo, rappresentato appunto dalla canzone ‘non convenzionale’.
Ma quali sono i tratti che definiscono il Sanremo e l’Anti-Sanremo?
Definiamo dunque il valore ‘+ Sanremo’, caratterizzato da:
- tema amoroso, di denuncia sociale o problema esistenziale (verosimilmente disgiunti!);
- melodia estremamente orecchiabile, con struttura classica ‘strofa – bridge – ritornello’;
- lessico aulico, rime facili, ma poca varietà: le parole vengono ripetute fino all’esaurimento o caduta in stato catatonico (dell’ascoltatore);
- arrangiamenti emozionali, con un bel tappeto di violini e fiati a tutto spiano;
- portamento vocale ‘a corde spiegate’ (che ricorda molto le ‘sirene spietate’ di bartezzaghiana memoria).
In caso di tema amoroso, la formula ‘duetto’ esprime al massimo grado il tratto ‘+ Sanremo’, raggiungendo la perfezione prototipica. Esempi del tratto ‘+ Sanremo’: Ti lascerò di Oxa Leali (1988), Grande amore di Il volo (2015), Colpo di fulmine di Giò di Tonno e Lola Ponce (2008), e via cantando.
Che cosa troviamo all’altro estremo? Ecco le caratteristiche dell’Anti-Sanremo:
- tema di vita quotidiana, filosofico, o dedicato a cose ‘piccole’;
- melodia e struttura della canzone non immediatamente ‘familiare’;
- lessico ricercato, ampia varietà di registri, bassa serialità lessicale.
La lista sarebbe lunga, ma citeremo solo alcuni esempi:
Esempi del tratto ‘- Sanremo’: Giovanni Truppi, Tuo padre, mia madre, Lucia (2022), Il paese è reale degli Afterhours (2012), L’amore è una dittatura di ZenCircus (2019).
Fino a una decina di anni fa, era possibile riconoscere molto bene questa dialettica tra Sanremo e Anti-Sanremo, che permetteva di collocare le canzoni lungo questo ideale continuum, e rendeva in qualche modo Sanremo un ecosistema musicale autoconsistente, nel bene e nel male totalmente autonomo rispetto al mercato discografico e ai trend radiofonici.
Negli ultimi anni, con l’entrata dei talent e l’avvento dei social, qualcosa è cambiato. Partiamo innanzitutto da un dato numerico: dal 2016 al 2022 il numero dei brani di Sanremo entrati nella top 10 delle canzoni più ascoltate è cresciuto costantemente, mostrando un evidentemente sconfinamento del ‘codice sanremese’ nella musica mainstream e nelle tendenze della discografia.
Nel 2021, ma anche nel 2022, Sanremo si conferma un grande contenitore che fagocita le tendenze discografiche mainstream, trasversale dal punto di vista generazionale, e in sostanza onnicomprensivo.
La prosopopea di questa tendenza è una surreale Orietta Berti che, una sera vestita da sirenetta con poltrona incorporata e un’altra sera da Coronavirus, canta in scandaloso playback con l’autotune, in esilio su una nave da crociera parcheggiata davanti a Sanremo.
Un’icona di Sanremo in chiave contemporanea e totalmente radiofonica (reduce dal successo di Mille con Achille Lauro e Fedez).
Analizziamo dunque nel dettaglio gli ingredienti (di successo) di questo grande pot-pourri.
Iniziamo con la canzone vincitrice, Brividi di Mahmood e Blanco: pezzo dal titolo importante, che riesuma un pezzo sanremese ormai caduto nel dimenticatoio, di grande stile, Brividi di Rossana Casale (solo per appassionati, Sanremo 1986). Ma mentre quest’ultima ci incantava con una lentezza e un’eleganza voluttuosa tutta jazz, Mahmood e Blanco ci stordiscono con una miscela esplosiva di cliché sanremesi («A volte non so esprimermi / e ti vorrei amare, ma sbaglio sempre») e acrobazie rap tutte metropolitane, affidate alla voce di Blanco («Per un “ti amo” ho mischiato droghe e lacrime / Questo veleno che ci sputiamo ogni giorno / Io non lo voglio più addosso»). Il tutto condito da una meravigliosa rivisitazione ‘gender fluid’ del duetto sanremese, in cui tutto si gioca intorno alla tensione amorosa tra i due cantanti, che emozionano con la loro ‘bici di diamanti’.
Anche Elisa punta a emozionarci, con O forse sei tu, una canzone che è stata giustamente paragonata a una canzone Disney, ma con un testo che cucendo insieme parole (rigorosamente tronche, nel pieno rispetto della tradizione metrica della canzone italiana) del Vocabolario di Base, ci regala immagini preziose: «Forse sei tu / Tra le luci di mille città / Tra la solita pubblicità / Quella scusa per farmi un po’ ridere / Forse sei tu / Quell’istante che mi porterà / Una piccola felicità / Quella stupida voglia di vivere / Sempre».
Ma passiamo alla categoria ‘tormentoni’, in cui rientra il vero vincitore intergenerazionale di questo Sanremo 2022: Ciao ciao dei La rappresentante di lista. Pezzo surreale, che fa l’occhiolino alle sonorità anni ‘80, tanto da risultare quasi vintage, in cui la ripetizione ossessiva di elementi («con le mani, con le mani, con le mani, ciao ciao») diventa strumento per trasmettere un messaggio inquietante: la fine del mondo si sta avvicinando, facciamo qualcosa: «Tocca a noi, non lo senti, come un’onda arriverà / Me lo sento esploderà, esploderà»!
Il futuro, che in questa canzone ci prospetta scenari apocalittici, si conferma in questo Sanremo come il tempo verbale che, anche per la già citata necessità di rispettare la metrica musicale, vince a mani basse su tutti gli altri tempi: partiamo dall’etereo Irama, che con il futuro ci proietta nell’invisibilità del mondo ultraterreno («Se sarai vento, canterai / Se sarai acqua, brillerai / Se sarai ciò che sarò / E se sarai tempo, ti aspetterò / Per sempre»), passiamo per Noemi («Forse mi calmerò come l’acqua del mare / Mi riconoscerò se cambierò parere / Ho sbagliato a parlarti, scusami perché / Sono quella stronza che non cambierà per te») per approdare a Virale di Matteo Romano, che ci stordisce con un freddo virtuosismo vocale che, francamente, richiama più che altro i vocalizzi di riscaldamento di un coro («Tu mi dici no no no no no / Di notte non ritornerò / Frasi scritte per metà, se vere non lo so / Anche tra i grattacieli volerò. / E lasciati anda-a-a-a-a-a-re»).
Sempre ricorrendo al tempo futuro, Highsnob e Hu ci portano in un mondo di immagini erudite, che dipingono la crisi di un rapporto giunto al capolinea: «Ti aspetterò dove ci siamo persi / Siamo un universo fatto di parole / Che non ci siamo detti, e per ricordarle me le tatuerò.»
Comunque, meglio il futuro polivalente di queste canzoni (apocalittico, ultraterreno, di speranza, di profezia) del presente assertivo di Voglio amarti di Iva Zanicchi: con una vocalità ai limiti dell’aggressivo, la plurivincitrice del Festival enuncia un desiderio («Voglio amarti») che nel potenziale amato, al massimo, può suscitare, come timida risposta, un «No grazie, come se avessi accettato…»
E con timida ritrosia ci allontaniamo anche dal lessico da terapia intensiva di Sei tu di Fabrizio Moro: «Sei tu che mi inietti nel sangue il destino / Sei tu che attraversi il mio ossigeno quando mi tocchi». Ma si sa, l’amore (e le correlate immagini, similitudini, metafore) è il tema più difficile del mondo.
Per concludere con una piccola notazione lessicale, questa edizione ha definitivamente sdoganato le parolacce, in ideale continuità con il «Vi conviene toccarvi i coglioni» dei Maneskin (Zitti e buoni, Sanremo 2021, censurato all’Eurovision Song Contest e sostituito da un più elegante «Vi conviene non fare più errori»): e allora via con «culo» (La rappresentante di lista), «Stronza» (Noemi), «Siamo sante o puttane» (Emma Marrone), «Fanculo è Rollin’ Stone» (Achille Lauro).
Che dire? Sicuramente, questo Sanremo è un posto Dove si balla (e l’Ariston ha ballato davvero, con Dargen D’Amico!): per non pensare, per non interrogarci troppo sui temi che contano davvero, per sorridere insieme alle inquadratissime coriste che esclamano «Ciao zio Pino!» all’unisono con lo stesso Dargen.
L’invito alla leggerezza (che non è superficialità!) arriva anche dall’intramontabile Gianni Morandi, che ci esorta ad aprire tutte le porte e a bruciare le scorte (con il senno di poi, si riferiva al gas?).
Continuiamo dunque a non pensare a nulla, e balliamo con l’anagrammatico Rkomi (Insuperabile) e con il roseo Sangiovanni (Farfalle), che ci ipnotizza con un ritornello-quasi-da-stadio.
Balliamo ma senza esagerare, altrimenti ci ritroviamo alla sagra di paese a subire Duecentomila ore insieme ad Ana Mena (duecentomila ore, per inciso, sono la durata percepita della canzone), e a chiederci perché Amadeus abbia accettato lei, mentre sono stati esclusi per la venticinquesima volta i poveri Jalisse.
Viva i tormentoni, abbasso i tormenti!
L’immagine di copertina è tratta dal sito www.rai.it/ufficiostampa.
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