Yahis Martari
Alma Mater Studiorum – Università di Bologna
Nell’articolo uno, comma due del Regolamento concernente la disciplina dell’accordo di integrazione tra lo straniero e lo Stato del Ministero dell’Interno italiano, si fa riferimento allo straniero di “età superiore ai sedici anni che fa ingresso per la prima volta nel territorio nazionale”. Si tratta di soggetti con caratteristiche linguistiche, culturali e personali estremamente diversificate, ma accomunati da una condizione di fragilità. Darina, Fatou, Kamir: adolescenti, spesso non accompagnati, con storie ed esigenze diversissime, che necessitano di percorsi individualizzati di cura, sostegno e integrazione.
Lo Stato italiano ha il dovere di farsi carico di loro, non solo dal punto di vista sanitario e sociale, ma anche dal punto di vista educativo e linguistico-educativo. Nel più recente aggiornamento del Manuale Operativo per la Presa in carico di minori non accompagnati (ottobre 2021), si legge infatti che una delle professionalità necessarie all’accoglienza dei minori è proprio quella dell’insegnante di italiano L2 (ovviamente in sinergia con operatori legali, psicologi trans-culturali etc.), centrale nel PEI (Piano Educativo Individualizzato) a cui ognuno di questi soggetti ha diritto.
Non esiste un percorso unico e definito per affrontare l’emergenza linguistica di questi migranti che arrivano (o transitano) sul territorio italiano. Esistono però sillabi che predispongono programmi e contenuti per i diversi livelli linguistici di italiano L2 in contesti migratori (soprattutto per i livelli iniziali: Borri et al. 2014). Ed esistono organizzazioni piccole e grandi che operano in contatto con le istituzioni e sulla base di enormi e assai diversificate risorse di volontariato, nel contesto di perenne e inevitabile difficoltà dei centri di accoglienza straordinaria (CAS), dei Centri di Prima Accoglienza (CPA) e nel Sistema di accoglienza e integrazione (SAI). Inoltre, anche le strutture sanitarie individuano talora la formazione linguistica come cruciale, non solo per l’integrazione ma anche per il buon esito del percorso medico (qui, ad esempio, l’iniziativa dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù).
La letteratura scientifica sull’argomento (prodotta da studiose come Benucci, D’Agostino, Cognigni, Minuz, Favaro tra le altre e gli altri) fornisce per l’Italia uno spaccato di quali siano le caratteristiche linguistiche di questi soggetti e di alcune proposte didattiche.
Occorre ricordare innanzitutto l’apporto delle linee guida per produrre un “piano nazionale di formazione linguistica integrato” (Favaro 2016). Infatti è necessario per prima cosa identificare un vero ‘italiano che include’ in base alle diverse necessità degli apprendenti. E la definizione generale di ‘italiano L2’, rispetto ai nuovi contesti migratori, deve specificarsi in quella di ‘italiano di sopravvivenza’, nelle diverse accezioni relative alle reali esigenze del soggetto. Come a dire che il primo passo è sempre individuare il livello di formazione linguistica davvero adeguata ai bisogni e alle caratteristiche del migrante. Può infatti essere sufficiente e indispensabile un livello anche solo passivo: ovvero l’acquisizione di alcune parole della L2, integrate nel sistema della lingua d’origine, ma utili a una prima decodificazione delle richieste e all’espressione delle necessità. Esistono poi un livello ‘funzionale’, utile per svolgere le principali attività comunicative nella L2, un livello ‘proattivo’, orientato al perfezionamento delle attività comunicative e alla piena accettabilità del parlante nella società di accoglienza, e infine, certamente, anche un livello ‘identitario’ in cui la lingua della società di accoglienza si integra pienamente nel repertorio del migrante (Beacco et al. 2014: 12).
La prima focalizzazione, in ogni caso, nei contesti cui pensiamo, sarà sull’oralità, per accogliere soggetti con livelli di scolarizzazione bassa o analfabeti. In generale, occorre favorire quello che si definisce correttamente “italiano di prossimità”, ovvero funzionale al contatto con il contesto sociale da parte dei soggetti, anche quelli linguisticamente più svantaggiati. Ciò riguarda ovviamente altresì l’inserimento dei minori nel contesto scolastico: è necessario infatti abbandonare definitivamente il modello sink or swim (nuota o annega), in funzione del quale gli alunni neo arrivati vengono inseriti in classi scolastiche senza un adeguato supporto linguistico, e la formazione in lingua italiana fondamentale per la loro integrazione viene delegata perlopiù (anche se non esclusivamente) alle loro forze. E, nondimeno, riguarda la dimensione dell’integrazione professionale – per i minori non sempre è previsto un percorso scolastico – in cui occorre adottare politiche di reale integrazione linguistica sulla base di strumenti specifici (ad esempio Lifop 2001).
In secondo luogo, è importante fare affidamento sulla naturale propensione del soggetto a comunicare attraverso tutto il proprio repertorio linguistico. E il repertorio dei soggetti migranti, molto spesso, ha il vantaggio di essere plurilingue, per quanto talora realizzato solo attraverso il canale dell’oralità (Beacco et al. 2014, Cognigni 2019). Tutte le lingue sono benvenute, purché si realizzi il primo e più importante obiettivo di mettere i soggetti in comunicazione tra loro e con l’intero contesto di accoglienza. Inoltre partire da una ‘lingua ponte’ – anche se diversa dalla lingua target – innesca potenzialmente meccanismi di intercomprensione e significa poi, come sappiamo dai dati raccolti nei CPIA, anche favorire l’apprendimento di quella stessa lingua target (Cognigni 2019).
Ed ecco il terzo punto: non solo lingue, ma tutti i codici, linguistici e non. Nel primo contatto, infatti, anche il non verbale ricopre un ruolo molto importante. Come osserva Benucci (Benucci et al. 2021: 46) la comprensione corretta di un messaggio trasmesso oralmente dipende – persino più che dalle parole impiegate – dalle caratteristiche ritmiche, intonative e dinamiche della vocalità, oltre che dall’aspetto cinesico e gestuale. E così insegnare lingua significa sempre agire anche su componenti paraverbali e non verbali, tanto più in situazioni di emergenza.
Riassumendo: l’individuazione dell’esigenza comunicativa del soggetto, l’orientamento sull’oralità, la valorizzazione del repertorio linguistico e la focalizzazione (anche) su intercomprensione e paraverbalità. Se tutto ciò è indispensabile, il quarto importante punto metodologico è l’esigenza di adottare strategie interculturali, che abbiano come obiettivo la costruzione di una base plurilinguistica di comunicazione. Su tale base il repertorio di partenza dell’apprendente e la lingua target si pongono sullo stesso piano – e cioè non in una gerarchia in cui la lingua target sia collocata al di sopra delle altre. Nel caso dei contesti migratori diventa dunque tanto più rilevante che l’insegnamento linguistico sia sempre collocato nel contesto più ampio di una educazione linguistica realmente interculturale (Benucci et al. 2021) e biunivoca, mediata e assistita lungo tutto il processo di integrazione del soggetto nel gruppo e nella società di arrivo: la motivazione all’apprendimento in questi casi spesso si costruisce a partire dalla percezione di sé – da parte del migrante – non solo come colui che riceve ma anche come colui che offre ricchezza culturale.
Infine, il quinto punto. Per chi insegna una lingua seconda in una dimensione emergenziale, il livello di primario interesse, anche se non certo l’unico, è quello del lessico. E, in proposito, La Grassa (2014) osserva quanto sia cruciale proporre attività che valorizzino le differenze linguistiche e culturali a partire dallo studio dalle parole, e il potenziamento anche qualitativo delle competenze lessicali: ovvero un’attenzione per i significati e i contesti d’uso e non solo per il numero di parole apprese. Nella prospettiva dell’integrazione a livello professionale, poi, è utile proporre (persino per i principianti) focalizzazioni anche su parole esterne al Vocabolario di Base, ma significative nei diversi contesti lavorativi.
Concludiamo tornando alle prime considerazioni di questo articolo. In uno dei tanti lavori dedicati da Mari D’Agostino all’italiano dei migranti, si rileva che “il volto dell’italiano lingua della burocrazia […] è il primo con cui il migrante ha a che fare” (D’Agostino 2017: 143). Un volto odioso, e lontanissimo dalle esigenze dei migranti e dalle forme di quell’italiano di prossimità a cui abbiamo accennato. Prima di chiamarsi Darina, Fatou, Kamir, ognuno di loro è solo “lo straniero di cui all’articolo uno, comma due”. Dunque, forse il primo compito di ogni insegnante di italiano L2 è proprio contribuire a riportare, attraverso la lingua, i soggetti alla loro dimensione di persona, restituendo immediatamente a ciascuno di loro un nome, e con esso il peso di una complessità e di una irripetibilità esistenziale, esperienziale e linguistica.
Per approfondire
Beacco, Jean-Claude, David Little & Chris Hedges. 2014. Consiglio d’Europa L’integrazione linguistica dei migranti adulti, Italiano LinguaDue, 1, https://riviste.unimi.it/index.php/promoitals/article/view/4688/4797
Benucci, Antonella, Giulia Grosso & Viola Monaci. 2021. Linguistica educativa e contesti migratori. Ca’ Foscari, Venezia. https://edizionicafoscari.unive.it/media/pdf/books/978-88-6969-571-1/978-88-6969-571-1_OtxKnzQ.pdf
Borri, Alessandro, Fernanda Minuz, Lorenzo Rocca & Chiara Sola. 2014. Italiano L2 in contesti migratori. Sillabo e descrittori dall’alfabetizzazione all’A1, Torino: Loescher.
Maria D’Agostino. 2017. L’Italiano e l’alfabeto per i nuovi arrivati. In S. Lubello (a cura di) L’Italiano migrante, “Testi e linguaggi” (numero monografico). 141-156.
Cognigni, Edith. 2019. Plurilinguismo e intercomprensione nella classe di italiano L2 a migranti adulti. Dalla lingua veicolare alla lingua-ponte. EL.LE vol. 8 n. 1. 121-137.
Favaro, Graziella. 2016. L’italiano che include. La lingua per non essere stranieri. In Italiano LinguaDue, 1, 2016. https://riviste.unimi.it/index.php/promoitals/article/view/7560/7333
La Grassa, Matteo. 2014. Verso l’elaborazione di un sillabo lessicale nei manuali di italiano L2 per adulti immigrati, «Rassegna di linguistica applicata», vol. 1-2. 225-244.
Lifop. 2001. Lifop: Lingua Italiana per la Formazione Professionale, Quaderni di Formazione 80 (numero monografico).
Vedovelli, Massimo, Stefania Massara & Anna Giacalone Ramat (a cura di). 2001. Lingue e culture in contatto, Milano: Franco Angeli.
0 Commenti
Lascia un commento