Cristina Cacciari
Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia
Il linguaggio è un’abilità specifica degli esseri umani, per qualcuno una facoltà innata. La mente e il cervello, infatti, ci permettono un comportamento riflessivo impossibile a specie assai vicine a noi. Alla metà degli anni ’50 del Novecento nasce la psicolinguistica, una disciplina che studia i processi sottostanti all’elaborazione del linguaggio sui due versanti della comprensione e produzione. Essa ha contribuito, grazie al lavoro interdisciplinare di psicologi, linguisti e studiosi di informatica, a segnare il punto più profondo di crisi delle teorie comportamentiste, grazie anche a un linguista, Noam Chomsky, che ha rigettato l’ipotesi che il linguaggio fosse un comportamento squisitamente imitativo. Negli ultimi decenni psicolinguistica, neuropsicologia e neuroscienze cognitive stanno ulteriormente innovando la scena degli studi sul linguaggio, indagando anche i complessi sistemi neurali necessari alla sua elaborazione.
Si suole far risalire la nascita della psicolinguistica al 1951, ma il nome di questa disciplina circolava già. All’epoca, il linguaggio non costituiva per gli psicologi un argomento a sé stante ma piuttosto un semplice ‘influsso’ sul pensiero e la memoria, il risultato dell’apprendimento, dell’associazione, dell’imitazione. Era solo un ‘comportamento verbale’, come sostenne da ultimo Skinner, contro le cui posizioni Chomsky scrisse una nota recensione che inaugurò un nuovo modo di pensare al linguaggio.
All’inizio, la psicolinguistica si caratterizzò per l’ipotesi che alle regole costitutive del sistema linguistico proposte dai linguisti potessero corrispondere altrettanti meccanismi psicologici, concentrandosi così sul compito di verificare la cosiddetta ‘realtà psicologica’ di costrutti linguistici come, ad esempio, le regole di generazione e trasformazione proposte da Chomsky (un approccio poi abbandonato a causa di inconsistenti risultati sperimentali). L’inizio di uno studio sistematico della comprensione e produzione del linguaggio ha dunque coinciso con uno spostamento dell’orientamento teorico della psicologia, soprattutto statunitense, dal comportamentismo a una prospettiva cognitivista centrata sulle strutture di conoscenza e i processi mentali. Lo sviluppo delle conoscenze sulle lingue parlate nel mondo fece anche sì che si scoprisse che i gruppi umani studiati dagli antropologi possedevano tutti una lingua formata almeno da un lessico (che andava ben oltre una raccolta accidentale di sequenze di suoni) e una grammatica.
Fra i molti studiosi del Novecento che hanno contribuito a rivoluzionare il modo in cui oggi concettualizziamo il linguaggio, Noam Chomsky è certamente la figura di maggiore rilievo. La pubblicazione della sua tesi di dottorato negli anni ’50 del Novecento produsse una storica rottura degli schemi teorici comportamentisti (già certamente in crisi) affermando la plausibilità e necessità di studiare il rapporto fra mente e linguaggio. Inoltre, prefigurò un tema centrale dell’approccio psicologico del linguaggio: la competenza linguistica dei parlanti. Chomsky propose infatti la fondamentale distinzione fra competenza ed esecuzione. Per ‘competenza’ linguistica si intende la conoscenza delle regole grammaticali che permettono a un parlante nativo di riconoscere e/o produrre frasi ben formate. La competenza non è determinata solo da fattori linguistici ma anche cognitivi, e non è sempre manifestata negli scambi linguistici: vi possono essere infatti elementi che potrebbero non essere mai attualizzati nel linguaggio inteso come ‘esecuzione’, cioè nelle prestazioni linguistiche effettive dei parlanti.
I debiti della psicolinguistica nei confronti delle grandi figure della linguistica moderna non si esauriscono ovviamente con Noam Chomsky. Dobbiamo a Ferdinand de Saussure, il padre della linguistica europea, l’idea dell’arbitrarietà del rapporto fra il segno e ciò che è significato attraverso esso. Quanto all’architettura del sistema linguistico, storicamente l’autore di maggiore impatto sulla psicolinguistica è stato certamente Jerry Fodor [1983] con la sua teoria della mente modulare, che ipotizza che la mente sia organizzata in moduli di elaborazioni specializzati e autonomi uno dall’altro, grossomodo corrispondenti alle funzioni cognitive. Questa teoria ha suscitato discussioni infinite ispirando svariate migliaia di esperimenti con risultati interpretati sia in favore sia contro la modularità, un dibattito legato anche all’emergere di importanti teorie interattive dell’elaborazione linguistica.
Per la psicolinguistica, studiare il modo in cui gli esseri umani elaborano il linguaggio richiede un approccio sperimentale analogo a quello utilizzato da scienze come la fisica o la biologia. Uno degli assunti della ricerca sperimentale è che sia possibile assegnare una misura, quanto più affidabile possibile, alle proprietà manipolate in un esperimento. Per misurazione si intende l’assegnazione di valori numerici a eventi o oggetti secondo regole che permettano di rappresentare proprietà degli eventi con proprietà del sistema numerico.
In generale, un esperimento richiede un’ipotesi da testare, un disegno sperimentale che specifichi le variabili indipendenti e dipendenti, la predisposizione dei materiali sperimentali, l’individuazione di un compito da assegnare ai partecipanti, la scelta di una metodica di indagine e delle analisi da condurre sui risultati. Ogni metodo ha caratteristiche specifiche e può essere adatto o inadatto a seconda di vari fattori, primo dei quali è l’oggetto da studiare. Un esperimento, qualunque ne sia l’oggetto, deve essere pubblico e accessibile, replicabile e rappresentativo del fenomeno che si intende studiare e condotto in modo etico. In genere si inizia da una domanda teorica o dalla definizione del fenomeno da studiare effettuando un’analisi della letteratura sull’argomento (lo state of the art). Formulata un’ipotesi sull’oggetto di ricerca, occorre tradurlo sul piano sperimentale decidendo il tipo di esperimento da condurre, quale disegno sperimentale adottare, ed esplicitando le previsioni su ciò che ci si aspetta di trovare e le analisi statistiche appropriate.
Uno strumento importante e utile per studiare l’elaborazione del linguaggio è rappresentato anche dai corpora di lingua parlata e scritta. Questi costituiscono una fonte preziosa di informazioni sulle lingue e sulle loro caratteristiche distribuzionali, e anche un possibile aiuto alla costruzione di materiali sperimentali (si vedano, ad esempio, per l’italiano, il portale Paisà, il corpus la Repubblica o ItWac). Sono stati condotti megastudies che hanno portato alla costruzione, per moltissime lingue, di database in cui è possibile trovare, per migliaia di parole (e non solo), i valori normativi, raccolti su un numero altissimo di partecipanti, relativi alle variabili che determinano la facilità di comprensione o produzione di stimoli linguistici (ad esempio, familiarità, immaginabilità, concretezza) e ai tempi di risposta a questi stimoli in svariati compiti sperimentali. Attraverso i risultati di questi megastudies è così possibile anche verificare ipotesi sperimentali in modo analogo a come verrebbe fatto in laboratorio ma utilizzando database che hanno una maggiore potenza esplicativa essendo basati su un numero altissimo di osservazioni. I risultati della psicolinguistica si sono così intrecciati (per certi versi di nuovo) con quelli della linguistica computazionale.
Accanto agli esperimenti comportamentali, in psicolinguistica vengono anche condotti studi che utilizzano metodiche provenienti dalle neuroscienze cognitive. Esse vanno dalla misurazione dei potenziali elettrici del cervello in risposta a stimoli linguistici (event-related brain potentials, ERP), all’analisi delle aree cerebrali maggiormente attivate quando si tratta di comprendere o produrre il linguaggio (fMRI, MEG e TMS). Infine, ai modelli tradizionali di simulazione dell’elaborazione linguistica di tipo connessionista, si sono affiancati recentemente nuovi sistemi simulativi resi possibili dall’avanzamento tecnologico che ha portato a nuovi hardware capaci di elaborare grandi moli di dati.
Per approfondire
Aglioti, Salvatore Maria & Franco Fabbro. 2006. Neuropsicologia del linguaggio. Bologna: Il Mulino.
Bambini, Valentina. 2017. Il cervello pragmatico. Roma: Carocci.
Brysbaert, Marc, Pawel Mandera & Emmanuel Keuleers. 2017. Corpus linguistics. In Annette de Groot e Peter Hagoort (a cura di). Research Methods in Psycholinguistics and the Neurobiology of Language: A Practical Guide, 230-246, London: Wiley.
Cacciari, Cristina. 2011. Psicologia del linguaggio, Bologna: Il Mulino (nuova edizione da parte di C. Cacciari e P. Canal nel 2023).
Crepaldi, Davide. 2020. Neuropsicologia della lettura. Roma: Carrocci.
De Vincenzi, Marica & Rosaria Di Matteo. 2004. Come il cervello comprende il linguaggio. Roma-Bari: Laterza.
Garraffa, Maria, Antonella Sorace & Maria Vender. 2020. Il cervello bilingue, Roma: Carrocci.
Guasti, Teresa. 2007. L’acquisizione del linguaggio. Milano: Cortina.
1 Commento
Mirella Albano 08 Dicembre, 2022
Molto interessante
Lascia un commento