Francesco Ferretti
Università Roma Tre
Speculativo, troppo speculativo. Questa l’accusa dell’editto emanato nel 1866 dalla Société de Linguistique de Paris con cui si vietava ai soci di presentare relazioni sul tema dell’origine del linguaggio. Di primo acchito, l’accusa appare a tutt’oggi fondata. Come dar torto a chi sostiene che, non essendo possibile riavvolgere il nastro allo stato di partenza, la riflessione su tale tema possa alimentare soltanto ipotesi speculative senza alcun fondamento empirico?
A dispetto del carattere intuitivo di una critica del genere, la situazione appare oggi totalmente diversa: il tratto che più di ogni altro caratterizza la riflessione contemporanea sulle origini del linguaggio, infatti, è la progressiva inversione di rotta da modelli fortemente speculativi a paradigmi interpretativi strettamente connessi alla ricerca empirica. Ciò è dovuto in larga parte al fatto che The Hardest Problem in Science – come lo hanno definito Christiansen & Kirby (2003) – può contare oggi sui risultati di nuove discipline e nuove metodologie di ricerca.
Gli studi comparativi continuano ad avere un ruolo di primo piano, ma hanno esteso il loro campo d’indagine: se in passato il riferimento principale era riservato (contando su un criterio di omologia) alle grandi scimmie, oggi la comparazione (tenendo conto delle analogie funzionali) si estende ben oltre lo studio dei primati. Il canto degli uccelli, ad esempio, è al centro di numerose ricerche empiriche mosse dallo scopo di dirimere diverse questioni: dal tema del primato del gesto sulla parola (una questione sulla quale si era espresso lo stesso Darwin) a questioni più astratte quali la sintassi del linguaggio (per una rassegna su questi temi cfr. Adornetti 2016). Detto questo, il contributo oggi più consistente è quello che proviene da discipline in grado sia di portare dati sinora sconosciuti sia di rivitalizzare approcci classici al problema. Secondo Fitch (2017), uno dei settori di punta della riflessione odierna è rappresentato dalla genetica, in particolare dal contributo che la genetica ha fornito alla paleoantropologia. A suo avviso, in effetti, la paleogenetica rappresenta la macchina del tempo in grado di riavvolgere il nastro allo stato iniziale e quindi di far fronte alle accuse della Société e della nostra visione intuitiva del problema delle origini del linguaggio.
Oltre alla genetica, risultati di grande importanza vengono oggi dalle neuroscienze. Arbib con il suo libro How the brain got language (2012) ha dato avvio alla Language Ready Brain Hypothesis, un promettente campo di ricerca fondato sull’idea che per dar conto delle origini della facoltà linguistica sia importante indagare il tipo di cervello di cui i nostri predecessori dovevano disporre per poter dare avvio al processo. L’obiettivo principale di questo campo di ricerca è individuare i sistemi cognitivi e cerebrali che governano l’elaborazione (produzione e comprensione) del linguaggio e che possono essere legittimamente posti anche a fondamento della sua evoluzione.
Le opzioni possibili sono molteplici. Tra quelle che meritano di essere ricordate, un posto di primo piano spetta ai modelli che guardano all’origine del linguaggio in riferimento al sistema dei neuroni specchio (Rizzolatti & Arbib 1998). Al di là delle considerazioni di dettaglio su questa ipotesi, ciò che ci interessa sottolineare è che le ricerche sulle architetture cognitive alla base del linguaggio dipendono fortemente dall’idea di linguaggio (di cosa si debba considerare per ‘linguaggio’) cui si intende fare riferimento. La scelta di considerare il fondamento motorio delle nostre capacità comunicative, come fanno i fautori del modello del ‘cervello in azione’ (Caruana & Borghi 2016), è una scelta di carattere speculativo che tocca il tema della natura del linguaggio, oltre che la questione del suo funzionamento. Cosa analoga avviene quando si opta per scelte alternative. Fa differenza, in effetti, considerare il linguaggio chiamando in causa i sistemi di elaborazione alla base del cervello sociale (come fa Scott-Phillips 2017) o sostenere che alla base del linguaggio siano coinvolti sistemi cognitivi come la capacità di proiettarsi nello spazio e nel tempo (come fa Corballis 2020). Non è questa la sede per entrare nei particolari di queste proposte. Quello che vale la pena ribadire è che la ricerca empirica finalizzata allo studio dei correlati cognitivi e neuronali della competenza linguistica è fortemente connessa al modello di linguaggio a cui ci si ispira. Il risultato di tutto questo discorso è che la ricerca empirica appare strettamente connessa, se non in larga parte guidata, dalle indagini teoriche: un modo per riconoscere il ruolo della ricerca speculativa nelle ricerche sperimentali.
Che gli aspetti speculativi siano strettamente legati alle indagini empiriche è confermato dai vari modi in cui è possibile considerare il tema dell’evoluzione del linguaggio. Stabilire se il linguaggio sia o meno un adattamento biologico è una delle questioni che continuano ad agitare il dibattito contemporaneo; così come continua a rimanere controverso stabilire se il linguaggio sia il prodotto della selezione naturale oppure no. È di nuovo il tema della natura del linguaggio a delineare il quadro di riferimento delle indagini sperimentali. Uno dei casi più emblematici a questo riguardo è il caso di Chomsky (l’inventore della Grammatica Universale) che, con esplicito riferimento a Cartesio, rifiuta l’idea del carattere adattativo del linguaggio e, soprattutto, del linguaggio come prodotto della selezione naturale. Una presa di posizione di questo tipo ha profonde ricadute sul tema dell’origine del linguaggio: secondo Chomsky, in effetti, poiché l’avvento del linguaggio è un fatto totalmente nuovo in natura che non ammette confronti con forme più semplici di comunicazione, la ricerca sulle origini del linguaggio è un totale non senso. Mentre Corballis ha bollato come “miracolistica” la tesi chomskiana, altri autori hanno costruito modelli interpretativi in cui la Grammatica Universale appare compatibile con la prospettiva darwiniana. Altri ancora hanno scelta una strada diversa mostrando che il linguaggio è il prodotto dell’evoluzione culturale, più che di quella biologica (Everett 2012). L’idea della natura culturale del linguaggio ha trovato importanti riscontri nelle ricerche di studiosi che, utilizzando algoritmi genetici e robot sociali, hanno provato a ricostruire (attraverso la simulazione artificiale) il processo evolutivo che, a partire da poche espressioni semplici di partenza, ha dato vita alla grammatica delle lingue.
Detto questo, le tendenze attuali della ricerca guardano alla possibilità di costruire modelli sintetici in grado di dar conto dell’origine del linguaggio in termini di evoluzione biologica e culturale. È finito il tempo delle battaglie mosse dal tentativo di trovare un unico principio esplicativo capace di spiegare da solo un fenomeno complesso e articolato come il linguaggio. Per motivi analoghi appare inutile continuare a discutere se il problema delle origini debba riguardare la ricerca empirica o quella speculativa: le indagini attuali rappresentano una sintesi proficua tra i due approcci alla ricerca. Per quanto il tema delle origini del linguaggio rimanga questione aperta, i dubbi e le perplessità che animavano i membri della Société de Linguistique de Paris appaiono oggi del tutto superati: la possibile soluzione al The Hardest Problem in Science passa inevitabilmente per lo sforzo congiunto di empiria e speculazione.
Per approfondire
Adornetti, Ines. 2016. Il linguaggio: origine ed evoluzione. Roma: Carocci.
Arbib, Michael A. 2012. How the brain got language: The mirror system hypothesis. Oxford: Oxford University Press.
Caruana, Fausto & Anna Borghi. 2016. Il cervello in azione: introduzione alle nuove scienze della mente. Bologna: il Mulino.
Christiansen, Morten H. & Simon Kirby S. 2003. Language evolution: The hardest problem in science? In Morten H. Christiansen & Simon Kirby (a cura di), Language evolution, 1-15. Oxford: Oxford University Press.
Corballis, Michael. 2020. La verità sul linguaggio (per quel che ne so). Roma: Carocci.
Everett, Daniel. 2012. Language: The cultural tool. London: Profile Books.
Fitch, Tecumseh W. 2017. Empirical approaches to the study of language evolution. Psychonomic Bulletin & Review 24(1). 3-33.
Rizzolatti, Giacomo & Michael Arbib. 1998. Language within our grasp. Trends in Neurosciences 21(5). 188-194.
Scott-Phillips, Thom. 2017. Di’ quello che hai in mente. Roma: Carocci.
1 Commento
Virginia Volterra 03 Luglio, 2020
Complimenti per l’articolo. Si suggerisce per una visione più recente del programma di Arbib il numero speciale di Interaction Studies : Arbib, M.A. (ed.) 2018 How the Brain Got Language : Towards a new road map. Interaction Studies 19 (1/2),
Contiene punti di vista provenienti da varie discipline ed è il frutto di una serie di Workshops organizzati dallo stesso Arbib negli ultimi anni .
Lascia un commento