Eugenio Goria
Università di Torino
Che il plurilinguismo sia una condizione normale nella società odierna non è più una novità. Buona parte degli abitanti del mondo sono bilingui o usano abitualmente più di una lingua nelle loro interazioni quotidiane; ancora di più sono coloro che vivono in società plurilingui. Allo stesso tempo, nel nostro immaginario le lingue si usano rigorosamente ‘una alla volta’ e invece, l’usare due lingue all’interno dello stesso discorso è un comportamento spesso stigmatizzato, con l’implicito che il modo più puro di usare una lingua sia quello che esclude la presenza di elementi esterni. Questo riflette però una visione piuttosto idealizzata della lingua, mentre il confronto con i dati reali ci racconta un’altra storia: molti linguisti hanno dimostrato come l’uso simultaneo di due (o più) lingue, o code-switching, sia un fenomeno estremamente diffuso, a cui sono associate sia funzioni comunicative, sia particolari valori sociologici e identitari.
Quindi, dove possiamo trovare il code-switching nella nostra esperienza quotidiana? Se pensiamo a una grande città italiana, probabilmente il primo esempio sono gli anziani: molti di loro hanno un dialetto come lingua nativa, e si esprimono al meglio proprio quando usano questo codice; così, quando parlano in italiano, frequentemente lo fanno alternando frasi in italiano e frasi in dialetto, come in questo esempio, tratto dal corpus ParlaTo, in cui la parlante mescola italiano e lucano. Per questo motivo, il code-switching è associato spesso a una mancata conoscenza delle regole dell’italiano, e dunque a un’estrazione sociale umile e a un basso livello socioculturale. Tuttavia, non è sempre così. Parlanti di ogni età ed estrazione sociale, ad esempio, usano un dialetto o una seconda lingua come risorsa espressiva aggiuntiva, per essere più convincenti, per risultare ironici o per citare le parole di altri. Molti cittadini di origine straniera usano quotidianamente il code-switching all’interno delle loro famiglie, soprattutto quando in casa i più giovani parlano correntemente l’italiano, mentre i genitori e i nonni, anche se residenti in Italia da molto tempo, sono decisamente più a loro agio nell’usare la lingua del proprio paese.
La linguistica ci mostra innanzitutto come l’uso del code-switching sia da pensare in primo luogo nei termini di una risorsa comunicativa che ci permette, citando Austin (1962), di “fare cose con le parole”. Il passaggio da un codice all’altro molto spesso è associato a specifiche azioni che vogliamo compiere nella conversazione: ad esempio, se all’interno di una conversazione di gruppo vogliamo dire qualcosa a uno solo dei presenti, uno dei modi che abbiamo per segnalarglielo è proprio quello di usare un codice che gli sia più familiare. Oppure, il code-switching è usato di frequente per segnalare che quello che stiamo dicendo sono parole riportate di qualcun altro, o ancora, per separare anche sul piano linguistico un commento a margine dall’argomento principale della conversazione. Che sia durante una riunione di lavoro, con amici conosciuti in vacanza o a casa dei nonni durante il pranzo di Natale, il code-switching amplifica le nostre possibilità espressive invece che limitarle e si colloca sullo stesso piano di altre risorse semiotiche come l’uso del gesto o del tono della voce: secondo il linguista americano John Gumperz sono tutte quante strategie comunicative che ci permettono di contestualizzare ciò che vogliamo dire, facilitandone la comprensione da parte degli ascoltatori.
Se osserviamo invece che tipo di elementi sono trasferiti da una lingua all’altra all’interno di un discorso bilingue, vediamo un’importante differenza fra l’alternarsi da un lato di frasi in lingue diverse, e, dall’altro, l’uso di singole parole provenienti da un’altra lingua (che alcuni distinguono dal primo chiamandolo code-mixing). È molto frequente ad esempio parlando con italiani che vivono in paesi di lingua inglese (ma non solo) sentire frasi come ho speso cinque pound, prendi la subway, devo fare la green card. In questo senso il code-mixing rispecchia la possibilità di inserire all’interno di una struttura grammaticale in una certa lingua, poniamo l’italiano, anche elementi di altre lingue. Da notare che in questo caso specifico, l’uso di parole inglesi in italiano non solo non è un comportamento stigmatizzato, ma in alcuni contesti rappresenta addirittura un tratto prestigioso. Questa è tra l’altro la strada attraverso la quale molti prestiti entrano nell’uso di una certa comunità: parole che usiamo quotidianamente come spread o bon ton sono in un certo senso degli episodi di code-mixing che hanno fatto carriera, entrando stabilmente nel lessico italiano.
Questo aspetto di convenzionalizzazione del code-switching e code-mixing è particolarmente centrale se consideriamo quelle società in cui vi è una situazione stabile di bilinguismo che si mantiene per molto tempo. Qui, l’uso del discorso bilingue si trasforma spesso in una pratica ricorrente e altamente convenzionale che caratterizza in maniera saliente una certa comunità e contribuisce all’espressione della sua identità. Questo accade per esempio a Gibilterra, dove da più di tre secoli si parlano inglese e spagnolo: l’uso alternato delle due lingue si è stabilito all’interno delle pratiche della comunità fino al punto che gli abitanti hanno dato un nome a questa pratica. Lo chiamano ‘yanito’ o ‘llanito’ e per alcuni è la terza lingua di Gibilterra. Il code-switching in casi come questo è dunque strettamente connesso con l’espressione dell’identità da parte di parlanti e comunità bilingui, soprattutto nel caso in cui queste siano frutto di un contatto anche culturale. Nel caso citato usare una forma di code-switching come strategia comunicativa è anche un modo per sottolineare la propria specificità, rifiutando un’identificazione esclusivamente con il Regno Unito o con la Spagna.
Lo stretto rapporto tra code-switching e negoziazione dell’identità traspare anche, e soprattutto, nelle sue molteplici manifestazioni artistiche e letterarie. Per fare un esempio, quando nel 2019 Mahmood si aggiudicò il primo posto a Sanremo, quello che a molti non andò giù non era soltanto il suo nome o le sue origini nordafricane. Molto si parlò all’epoca di quella frase in arabo contenuta nel testo della canzone, ovvero la presenza di code-switching, che in qualche modo rappresentava iconicamente i tratti identitari del suo autore, italiano di origine egiziana. Il discorso è analogo per molti dei testi di Ghali, che nelle sue canzoni accosta italiano, arabo tunisino e francese. Allo stesso modo, i testi di artisti della generazione passata come Davide Van De Sfroos in Lombardia, o anche alcuni artisti contemporanei della scena rap e trap come Clementino, fanno ampio uso del code-switching fra italiano e dialetti nei loro testi, tanto per esigenze stilistiche ed espressive, quanto per ragioni di natura identitaria.
In conclusione, uno sguardo più approfondito al code-switching ci aiuta a comprendere come questo comportamento sia più vicino a noi di quanto sembri. Il termine, nella sua accezione più ampia, indica semplicemente la possibilità di utilizzare più lingue contemporaneamente, ma è stato spesso associato, secondo un approccio spiccatamente prescrittivo, all’impossibilità di utilizzare correttamente una certa lingua. Tuttavia, diversi studi di linguistica hanno invece messo in luce come l’uso di due lingue rappresenti molto spesso un ampliamento delle nostre possibilità comunicative, e come questo in molti casi costituisca un importante strumento di autorappresentazione a disposizione di parlanti e comunità bilingui.
Per approfondire
Austin, John. 1962. How to do things with words: The William James lectures delivered at Harvard University in 1955. Oxford: Clarendon Press [ed. it. Come fare cose con le parole, Bologna, Marietti 1987].
Cristalli, Beatrice. 50 sfumature di lingue e dialetto. Di cosa parliamo quando parliamo di trap. Treccani Magazine, Lingua Italiana, 20 aprile 2020.
Gardner-Chloros, Penelope. 2009. Code-switching. Cambridge, Cambridge University Press.
Goria, Eugenio. 2018. Inglese e spagnolo a Gibilterra: le dinamiche del discorso bilingue. Bologna: Caissa Italia.
Gumperz, John. 1982. Discourse strategies. Cambridge: Cambridge University Press.
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