Sabrina Machetti e Monica Barni
Università per Stranieri di Siena
La valutazione linguistica di tipo certificatorio consiste in un processo di verifica e misurazione della competenza linguistico-comunicativa in L2, finalizzato all’accertamento del possesso di determinati requisiti, in base a determinati standard. Gli standard possono essere di diverso tipo e variano al variare del contesto e degli obiettivi che la stessa valutazione si pone. Come noto, in contesto europeo lo standard di riferimento più diffuso è da quasi venti anni rappresentato dal Common European Framework of Reference for Languages: Learning, Teaching, Assessment (Council of Europe 2001), documento a cui si allineano le più importanti certificazioni linguistiche diffuse a livello internazionale, tra cui quelle dell’italiano L2 (Council of Europe 2009; Martyniuk 2010).
La valutazione linguistica di tipo certificatorio si realizza attraverso la somministrazione di batterie di prove (definite nel loro insieme ‘test’), la raccolta dei dati che ne derivano e la loro valutazione; si conclude con l’emissione, da parte di un ente certificatore, di un certificato di competenza in L2. Le prove, di tipo oggettivo e soggettivo, coprono le abilità linguistiche di base e servono a ‘fotografare’ tale competenza, cioè a mettere in luce se chi si sottopone al test abbia o meno raggiunto un livello di adeguatezza rispetto al possesso di certe conoscenze linguistiche e allo svolgimento di determinati compiti linguistici legati a determinati contesti della comunicazione. Pertanto, la valutazione certificatoria non dipende dal modo in cui si è sviluppata tale competenza – in contesto spontaneo, attraverso un percorso di apprendimento guidato, in autoapprendimento ecc. – ed è completamente indipendente da qualsivoglia modello ed approccio di insegnamento (Vedovelli 2005).
Per fotografare la competenza in L2, nella valutazione certificatoria si fa uso di test sia tarati su un determinato livello di competenza o un particolare contesto d’uso della lingua, sia di test che coprono porzioni ampie di tale competenza e i cui dati permettono, una volta valutati, di posizionare chi vi si sottopone ad un dato livello. Le certificazioni linguistiche di italiano L2 utilizzano test della prima tipologia e si servono di batterie di prove che verificano gradi, livelli diversi di competenza: da quella che precede la prima autonomia comunicativa (livelli A1 e A2) a quella che garantisce l’autonomia comunicativa in diversi contesti della comunicazione quotidiana (livello B1) fino a quella che attesta la piena autonomia comunicativa (livello B2) o la completa padronanza linguistica (livelli C1 e C2) in ambito accademico, lavorativo, professionale. Come già si diceva, chi riesce a superare tali prove ottiene un certificato che può essere utilizzato per vari scopi, come avviare le pratiche per la richiesta del permesso di lungo soggiorno in Italia e della cittadinanza italiana, per ottenere un lavoro, migliorare la propria posizione professionale, proseguire negli studi ecc.
La lingua italiana, sprovvista fino agli inizi degli anni ‘90 di una certificazione ufficiale di competenza, vede dal 1993 coesistere quattro diverse certificazioni, erogate da quattro diversi enti certificatori e riconosciute in base a una convenzione quadro stipulata dal Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale con i singoli enti certificatori: CELI dell’Università per Stranieri di Perugia, Cert.IT dell’Università Roma Tre, CILS dell’Università per Stranieri di Siena, PLIDA della Società Dante Alighieri. Dal 2013, i quattro enti certificatori sono riuniti nell’associazione CLIQ – Certificazione Lingua Italiana di Qualità – accomunati dall’obiettivo di promuovere una cultura della valutazione certificatoria per l’italiano a stranieri proprio attraverso un sistema di qualità basato sul rispetto degli standard scientifici fissati a livello internazionale.
La storia del sistema delle certificazioni di italiano è dunque recente se paragonata a quella di altre lingue ad ampia diffusione internazionale, ma nasce raccogliendo “l’esigenza di una politica organica, in grado di strappare l’italiano dal rischio di possibile arretratezza fra le lingue di apprendimento, e di ritagliargli uno spazio autonomo e dotato di una propria precisa identità rispetto alla tendenza massificante che vede l’assoluto predominio nel mondo” (De Mauro & Vedovelli 1998: 594). Si tratta di una storia recente, ma che nel tempo ha subito una rapida evoluzione, spinta e supportata dalla ricerca scientifica condotta a livello universitario e dall’impatto di tale ricerca nelle pratiche di valutazione.
Grazie a ciò e alla validazione ciclica e periodica dei propri test, le certificazioni hanno nel tempo mantenuto elevati i propri standard di validità ed affidabilità, ed hanno avuto anche la capacità di diversificare la propria offerta in relazione al variare dei bisogni linguistico-comunicativi dei diversi pubblici. A coloro che decidevano di sostenere un esame di certificazione per generici interessi culturali, negli ultimi venti anni si sono aggiunte fasce di pubblico rappresentate da chi fa della lingua italiana oggetto e strumento di lavoro, di studio, di integrazione, di promozione sociale. In relazione a ciò, l’elemento più interessante è costituto dai cittadini stranieri immigrati che dalla metà degli anni ’70 sono entrati in modo più o meno sistematico nel nostro Paese e dal pubblico degli studenti internazionali. I cittadini di origine straniera stabilitisi in Italia hanno rappresentato e rappresentano una novità perché hanno spostato il fulcro dello studio delle dinamiche di diffusione della lingua italiana dall’estero all’Italia; ed anche perché accedono alla certificazione di italiano come lingua straniera per motivazioni di tipo strumentale legate all’ottenimento di diritti, che la legge ha purtroppo trasformato in obblighi (Masillo 2019). Gli studenti internazionali hanno rappresentato e rappresentano una novità perché portatori di quella superdiversità linguistica e culturale che mette in crisi i modelli e i costrutti tradizionali della valutazione certificatoria e li obbliga ad un’attenzione più puntuale alle caratteristiche che il contesto in cui tali studenti si troveranno ad agire linguisticamente – quello della formazione accademica – pone loro di fronte.
La recente realizzazione di nuovi esami di certificazione dell’italiano L2 rientra in questo quadro: sono le caratteristiche della nuova realtà dell’italiano diffuso fra gli stranieri che hanno spinto a elaborare modelli teorici e applicativi più articolati, capaci di dare conto della complessità che lo caratterizza. La massiccia presenza di motivazioni strumentali legate alla vita nel nostro Paese, al lavoro e allo studio giustifica il bisogno e assicura la richiesta di una certificazione: chi studia la lingua per motivi strumentali ha anche bisogno di un titolo che garantisca le competenze acquisite, in modo valido, affidabile, trasparente ed il più possibile oggettivo, e che sia spendibile per fini professionali, di studio o personali.
La pluralità del sistema delle certificazioni di italiano a stranieri, con le loro differenti specificità e i rispettivi riferimenti in termini di modelli teorico-metodologici, rappresenta infine un elemento di forza e non di debolezza per la diffusione della lingua italiana, in Italia e nel mondo (Barni & Machetti 2019). Infatti, consente alla nostra lingua di collocarsi nel mercato globale delle lingue in una posizione forte perché attrae pubblici differenti per caratteristiche e motivazioni in maniera ben maggiore di quanto potrebbe accadere se esistesse una sola certificazione. La pluralità delle certificazioni è dunque una strategia valida per creare una banda larga di opportunità di contatto degli stranieri con la nostra lingua-cultura e può sostenere le scelte di una politica linguistica capace di adattarsi alle diverse realtà dove è presente la richiesta e l’offerta di lingua italiana.
Negli anni a venire, se le certificazioni di italiano come lingua straniera sapranno mantenersi salde su questa prospettiva, saranno anche in grado di salvaguardare il quadro teorico e metodologico che ha portato ogni singolo ente certificatore alla realizzazione della propria certificazione. Attualmente la scienza non ha raggiunto posizioni univoche e definitive sul concetto di ‘competenza linguistico-comunicativa’ e sui modelli per la sua misurazione, che possano consentire di sceglierne uno come il migliore, il più potente (Purpura 2017). La scienza è impegnata in un serrato e vivo dialogo sulla materia; una scelta indirizzata in modo univoco rischia di rallentare le applicazioni operative che possono derivare da tale dialogo. L’esistenza di una pluralità di certificazioni non deve quindi spaventare, ma deve al contrario rappresentare un indicatore di ricchezza di elaborazione scientifica, come anche della vitalità e dell’interesse nei confronti dell’italiano diffuso fra stranieri.
Per approfondire
Barni, Monica & Sabrina Machetti. 2019. Le certificazioni di italiano L2. In Pierangela Diadori (a cura di), Insegnare italiano L2, 122-130. Firenze: Le Monnier.
Council of Europe. 2001. Common European Framework of Reference for Languages: Learning, teaching, assessment. Cambridge: Cambridge University Press.
Council of Europe. 2009. Relating language examinations to the Common European Framework of Reference. Strasbourg: Language Policy Division.
De Mauro, Tullio & Massimo Vedovelli. 1998. La diffusione dell’italiano nel mondo e le vie dell’emigrazione: una prospettiva alla fine degli anni ’90. Studi Emigrazione 132. 582-605.
Martyniuk, Waldemar (a cura di). 2010. Aligning tests with the CEFR. Cambridge: Cambridge University Press.
Masillo, Paola. 2019. La valutazione linguistica in contesto migratorio: il Test A2. Pisa: Pacini.
Purpura, James Enos. 2017. Assessing meaning. In Elana Shohamy, Iair Or & Stephen May (a cura di), Encyclopedia of Language and Education, Vol. 7. Language Testing and Assessment, 33-61. New York: Springer.
Vedovelli, Massimo (a cura di). 2005. Manuale della certificazione dell’italiano L2. Roma: Carocci.
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