Ilaria Fiorentini
Università di Pavia
Come sappiamo, le lingue mutano, si evolvono, si diffondono; tuttavia, talvolta può accadere che questo processo si arresti e che le stesse vadano incontro a un lento declino, arrivando addirittura a estinguersi, a morire. Il rischio è particolarmente alto nel caso delle lingue minoritarie, ovvero lingue parlate da un numero ridotto di persone all’interno di un contesto in cui un’altra lingua risulta maggioritaria (come nel caso di lingue nazionali e ufficiali: italiano, francese, tedesco ecc.). L’esito estremo del contatto tra una lingua maggioritaria e una minoritaria può essere proprio la scomparsa di quest’ultima: a causa della pressione sociale e culturale esercitata dalla lingua più parlata, quella minoritaria sarà impiegata da meno persone e in misura sempre più ridotta, fino all’estinzione. Questo processo, conosciuto col nome di regressione (o obsolescenza) linguistica, comporta una minore volontà da parte dei parlanti di trasmettere la lingua ai propri figli: al suo posto, preferiranno insegnarne un’altra, che finirà col sostituire la prima (dinamica nota come sostituzione di lingua o language shift). Un altro esito riguarda la diminuzione non solo del numero di parlanti, ma anche della loro competenza nella lingua: i pochi rimasti tenderanno ad avere sempre più difficoltà nel padroneggiare la lingua in regressione, che diventerà via via strutturalmente più ‘povera’ (si parla in questo caso di decadenza linguistica o language decay).
Per contrastare tali processi ed evitarne gli esiti più estremi possono essere messe in atto iniziative di pianificazione linguistica. L’espressione si riferisce sia alle riflessioni teoriche e metodologiche di tipo linguistico, sia agli interventi (anche politici e legislativi) predisposti per permettere a una lingua di adempiere a più funzioni e di essere usata in più contesti. Le strategie adottate sono di vario tipo: per esempio, potranno essere incentivate attività che rafforzino la presenza della lingua nell’uso amministrativo e in quello scolastico, ma anche nel mondo del lavoro, in modo da portare i parlanti a percepire l’utilità e il valore della competenza in quella lingua. Detto altrimenti, se la conoscenza di una determinata lingua mi permetterà, tra le altre cose, di accedere a posti di lavoro migliori, sarò probabilmente più motivata a imparare (o a continuare) a parlarla.
Nelle parole del linguista americano Joshua Fishman, si tratta dunque di tentare di invertire il processo di perdita di una lingua (reversing language shift). Questo tentativo si traduce principalmente in due tipi di iniziative:
- da un lato, si può mirare a reintrodurre nell’uso una lingua che, di fatto, non è (quasi) più parlata e che non ha più parlanti nativi (ovvero persone che la apprendano come prima lingua): si parla in questo caso di language revival. Un caso molto noto è quello della lingua ebraica in Israele, che è passata dall’essere pressocché estinta negli impieghi quotidiani ad avere oggi milioni di parlanti;
- dall’altro, l’obiettivo può essere quello di migliorare lo status di una lingua minacciata, estendendone gli ambiti d’uso e le funzioni e incrementandone il numero di parlanti: si avrà in questo caso un’azione di rivitalizzazione di lingua (language revitalisation), come nel caso del ladino, che tratteremo a breve.
In Italia, le lingue minoritarie sono protette dall’articolo 6 della Costituzione, ovvero “La Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche”. Tale principio è stato effettivamente messo in atto a partire dal dicembre del 1999, con l’emissione del primo provvedimento a livello nazionale mirato alla protezione di tali lingue: si tratta della legge n. 482, Norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche. La legge, che ha suscitato alcune perplessità (in primo luogo per l’elenco piuttosto limitato delle lingue ammesse a tutela), rappresenta nondimeno un passo importante per il riconoscimento e la protezione giuridica di almeno una parte delle molte lingue parlate sul territorio italiano. In precedenza, le sole lingue minoritarie effettivamente riconosciute erano le cosiddette minoranze di confine, tutelate dai trattati internazionali successivi alla fine della Seconda guerra mondiale: la minoranza di lingua tedesca in Alto Adige, quella di lingua francese in Valle d’Aosta e quella di lingua slovena nelle province di Trieste e Gorizia. A queste, la legge aggiunge altre parlate, variamente collocate sul territorio nazionale: albanese, catalano, varietà greche, croato, franco-provenzale, friulano, occitano, sardo e ladino.
Prendiamo ora in considerazione un esempio riuscito di rivitalizzazione in contesto italiano, ovvero quello del ladino, lingua minoritaria che conta circa 30-40.000 parlanti tra Trentino-Alto Adige e Veneto (provincia di Belluno) e che si trova a stretto contatto con italiano e tedesco. Prima della legge n. 482, l’assenza di una legislazione specifica portava alla situazione paradossale per cui la lingua, parlata in tre province diverse, subiva una disparità di trattamento: molto tutelata in Alto Adige, parzialmente tutelata in provincia di Trento, non tutelata in provincia di Belluno. Oggi si nota nella comunità ladina una consapevolezza linguistica sempre crescente, che si sta formando anche grazie agli sforzi delle istituzioni presenti sul territorio e all’insegnamento scolastico della lingua. La prima associazione interladina, Union Generela di Ladins dla Dolomites, nata nel 1905, aveva tra i suoi scopi originari la creazione di una grafia unificata per tutte le varianti del ladino (poi realizzata negli anni Novanta a opera di Heinrich Schmid), che potesse fungere da simbolo di identità e unità della comunità ladina, proprio al fine di garantire la sopravvivenza e lo sviluppo della lingua. A partire dagli anni Settanta sono inoltre attivi i tre Istituti ladini (Majon di Fascegn in Val di Fassa, Micurà de Rü in Val Badia e Val Gardena, Cesa de Jan – fondato nel 2004 – in provincia di Belluno), che si occupano della salvaguardia del ladino attraverso la pubblicazione di dizionari, grammatiche e altri strumenti dedicati all’apprendimento e alla trasmissione della lingua. Ancora, il ladino è presente nelle scuole, in particolare nelle valli ladine del Trentino-Alto Adige, dove viene insegnato a partire dalla scuola dell’infanzia fino alla scuola secondaria di secondo grado per almeno due ore settimanali. La sua presenza è garantita anche sui media da un settimanale locale interamente in ladino, La Usc di Ladins, un giornale online, Noeles, un canale televisivo digitale, Tele Minoranze Linguistiche, e una sede RAI dedicata (RAI Ladinia).
Infine, non va dimenticato che la salvaguardia e, di conseguenza, il futuro di una lingua minoritaria sono collegati indissolubilmente ai parlanti di tale lingua: se questa è considerata un simbolo, e in quanto tale centrale per la propria identità, diventerà di vitale importanza conservarla, mantenerla viva e trasmetterla alle nuove generazioni. Un esempio di ciò è rappresentato dallo stralcio riportato di seguito, tratto da un’intervista a una studentessa ladina (più precisamente della Val di Fassa) di 19 anni:
Noi rejonon con muie influenze taliane de chio e de ló, però comunque l’important l’é magari ge rejonar ence un talian che ge somea al ladin ai nosc fies, però comunque l mantegnir perché alla fine l’é nosc esser. ‘Noi parliamo con molte influenze italiane di qua e di là, però comunque l’importante è magari parlare anche un italiano che somiglia al ladino ai nostri figli, però comunque mantenerlo, perché alla fine è il nostro essere.’
Pur ammettendo il rischio di regressione che la lingua corre (qui ricondotto all’influenza esercitata dalla lingua di maggioranza, l’italiano), prevale dunque la volontà di continuare a parlare ladino, soprattutto in virtù dell’attaccamento identitario provato per la lingua, vista come parte della propria essenza; un’importante testimonianza del ruolo fondamentale dei parlanti nella buona riuscita delle azioni di rivitalizzazione linguistica, e, in definitiva, nella salvezza delle lingue minoritarie.
Per approfondire
Fishman, Joshua A. 1991. Reversing language shift. Theoretical and empirical foundations of assistance to threatened languages. Clevedon: Multilingual Matters.
Fishman, Joshua A. (a cura di). 2001. Can threatened languages be saved? Clevedon: Multilingual Matters.
Iannàccaro, Gabriele & Vittorio Dell’Aquila. 2004. La pianificazione linguistica. Lingue, società e istituzioni. Roma: Carocci.
Iannàccaro, Gabriele, Vittorio Dell’Aquila & Nadia Chiocchetti. 2020. La tutela istituzionale del ladino. In Paul Videsott, Ruth Videsott & Jan Casalicchio (a cura di), Manuale di linguistica ladina, 378-393. Berlino: de Gruyter.
Toso, Fiorenzo. 2011. Minoranze linguistiche. In Enciclopedia dell’italiano. Roma: Istituto della Enciclopedia Italiana G. Treccani.
Toso, Fiorenzo. 2019. Alloglossie e minoranze linguistiche in Italia. Problemi terminologici e forme della tutela. Estudis Romànics 41. 401-422.
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