Sandro Caruana
Università di Malta
I mezzi di comunicazione odierni riportano spesso notizie e pubblicità in merito a possibilità di imparare le lingue, a volte seguendo corsi online o adoperando app ideate appositamente. A volte si dice che si può imparare una lingua straniera facilmente tramite questi mezzi, riportando testimonianze di persone che affermano di averne imparata una velocemente. Tuttavia, in molti casi ci si sofferma poco su questa ‘facilità’ di apprendimento, trascurando, per esempio, se la lingua che si dice di aver appreso sia simile alla propria lingua nativa (L1) o se, invece, sia molto diversa.
Quando sentiamo qualcuno parlare una lingua a noi sconosciuta, istintivamente cerchiamo di capire quello che il parlante sta dicendo o almeno di riconoscere qualche parola familiare. A volte si cerca di capire di quale lingua si tratti e, normalmente, ci è più facile riconoscere lingue che sono simili ad altre che conosciamo. Nel caso di lingue che appartengono alla stessa famiglia – come l’italiano e lo spagnolo, o il danese e lo svedese – c’è maggiore intelligibilità reciproca: i parlanti nativi dell’una o dell’altra riescono a capirsi meglio se sfruttano le somiglianze tra queste lingue, ancor più se gli interlocutori coinvolti nell’atto comunicativo collaborano tramite gesti, espressioni visive e altri mezzi non verbali o paraverbali, per esempio adattando il tono della voce e scandendo le parole in modo chiaro per farsi capire. Qualcosa di simile succede quando leggiamo un testo in una lingua straniera, scritto in caratteri che ci sono noti. In questo caso possiamo anche sfruttare il paratesto: i titoli, la suddivisione in paragrafi, le immagini che accompagnano il testo, eccetera.
Queste constatazioni sono pertinenti anche quando si impara una nuova lingua, ovvero una lingua straniera, anche denominata L2 (seconda lingua) per via del processo che, almeno in parte, è diverso rispetto a quello che si intraprende quando acquisiamo la lingua madre (L1). Generalmente l’apprendimento di una lingua straniera parte decodificandone il lessico inserito in un contesto comunicativo semplice, denominato input. La comprensione di questo input ci è più facile se ci sono ‘parole affini’ (cognates), ovvero quelle che comprendiamo perché le associamo a forme simili presenti nella nostra L1 o in altre lingue che conosciamo già (per esempio, parole affini a scuola in diverse lingue sarebbero: escuela, école, school, szkoła, schule ecc.). Il contesto in cui sono inserite ne agevola la comprensione. Lo stesso vale per le parole che sono diffuse globalmente (per esempio, gli italianismi pizza e opera). Anche in questi casi, tuttavia, ci possono essere dei malintesi, causati soprattutto dai ‘falsi amici’ (false friends), ovvero parole che hanno significati diversi in lingue diverse, pur essendo molto simili. Si pensi, per esempio, a pretendere, che può essere confuso con l’inglese to pretend ‘fingere’, o a fermare, con il francese fermer ‘chiudere’.
Imparare una nuova lingua è più agevole quando l’ordine delle parole, ovvero la sintassi, è uguale o simile a quello di un’altra lingua che conosciamo. In questi casi è possibile, anche quando mancano competenze metalinguistiche o grammaticali, intuire qual è il soggetto grammaticale della frase e gli altri costituenti che la compongono attribuendo loro funzioni comunicative per capire, per esempio, chi compie l’azione, chi la subisce, ecc. Un esempio semplice dal maltese, lingua semitica ma con forti influenze italiane è:
Samwel ikanta fil-kor tal-iskola
‘Samuele canta nel coro della scuola’
Anche chi non sa il maltese, ma conosce l’italiano o un’altra lingua romanza, non dovrebbe avere troppe difficoltà a comprendere la frase e ad attribuire informazione funzionale ai costituenti, capendo chi fa l’azione (Samuele), che cosa fa (canta) e in quale contesto si svolge (nel coro della scuola). Le parole grammaticali, che nell’esempio riportato sono le preposizioni articolate fil- ‘nel’ e tal- ‘della’, richiedono spesso un intervento più mirato, per esempio la traduzione da parte di un parlante nativo o la spiegazione di un insegnante, per essere decodificate.
Questi processi di comprensione, che interessano il riconoscimento (leggere e ascoltare) e la produzione (parlare e scrivere), si basano sulla nostra capacità di identificare alcuni tratti linguistici e portano all’intercomprensione, ovvero la capacità di identificare ciò che ci è familiare e di estenderlo, così da costruire un senso più ampio.
Apprendere una lingua molto diversa da quelle che già conosciamo comporta processi simili. In questi casi, però, nell’imparare il lessico possiamo fare meno affidamento sulle parole che già comprendiamo. E capire come si formano le parole (capire cioè la morfologia di quella lingua) potrebbe richiedere uno sforzo non indifferente. E, se l’ordine delle parole non ci è familiare, dovremo ‘reimpostare’ la sintassi a cui siamo abituati. Per leggere e scrivere potremmo anche dover imparare caratteri nuovi: leggere Pinocho o Pinóquio (‘Pinocchio’ rispettivamente in spagnolo e in portoghese) è diverso rispetto a leggere بينوكيو e Пинокио (‘Pinocchio’ rispettivamente in arabo e in russo), perché prima bisogna imparare a decodificare i caratteri. Ciononostante, una volta superato questo stadio, il processo che segue – per esempio, imparare il lessico, capire come funzionano la morfologia e la sintassi – è analogo a quello da intraprendere in qualsiasi altra lingua.
Infatti, simile o diversa da quella che conosciamo noi, apprendere una qualsiasi L2 comporta lo sviluppo dell’interlingua, una varietà d’apprendimento che emerge, dinamicamente, man mano che si imparano i componenti linguistici che ci permettono di comprendere e di comunicare. Magari all’inizio ci vuole uno sforzo notevole anche per le comunicazioni più facili, ma generalmente si acquista una sicurezza maggiore una volta che si comincia a progredire. L’interlingua si sviluppa in stadi che diventano più complessi, in un processo che presenta delle tappe simili per tutte le L2. Varia, tuttavia, la velocità con la quale l’apprendente si muove da uno stadio all’altro, con progressi che generalmente avvengono più velocemente se la L2 è simile a un’altra lingua già conosciuta.
L’esito di tale processo, inteso come il livello che si raggiunge e valutabile in base allo scopo dall’apprendimento (per esempio, se ci interessa solo parlare una certa lingua o anche saperla usare in forma scritta), dipende da molti fattori, come la motivazione, l’età e il contesto di studio. L’insegnante di lingua può facilitare l’apprendimento, specialmente se è consapevole dei meccanismi di acquisizione e se aiuta gli apprendenti a sviluppare l’intercomprensione.
Imparare una nuova lingua può dunque essere più facile quando in essa troviamo elementi a noi conosciuti. Tuttavia, anche nel caso di lingue a noi meno familiari, si ha il vantaggio di potersi affidare alle proprie competenze precedenti, perché imparare una L2 avviene spesso durante un periodo della vita in cui avremo già acquisito competenze cognitive, sociali e linguistiche che ci aiutano sia ad associare informazioni a quelle che già conosciamo, sia a costruire percorsi nuovi.
Concludiamo con un’analogia: imparare una nuova lingua simile a una che conosciamo è come comprare una casa già arredata che però richiede un bel po’ di lavoro per adattarla ai nostri bisogni e gusti. Imparare una lingua a noi completamente sconosciuta comporta costruire una casa nuova, che richiede tempo e fatica, ma che comunque può risultare altrettanto comoda e ospitale.
Per approfondire
Andorno, Cecilia, Ada Valentini & Roberta Grassi. 2015. Verso una nuova lingua. Capire l’acquisizione di L2. Torino: UTET.
Benucci, Antonella (a cura di). 2015. L’ intercomprensione. Il contributo italiano. Torino: UTET.
De Carlo, Maddalena, Mathilde Anquetil, Silvia Vecchi, Marie-Christine Jamet, Eric Martin & Encarnación Carrasco Perea. 2015. REFIC – Référentiel de compétences de communication plurilingue en intercompréhension [Framework of Plurilingual Communicative Competences in Intercomprehension]. Disponibile su https://www.miriadi.net/skills-framework
Lightbown, Patsy M. & Nina Spada. 2013. How languages are learned. Oxford: Oxford University Press.
Saville-Troike, Muriel & Karen Barto. 2017. Introducing Second Language Acquisition. Cambridge: Cambridge University Press.
2 Commenti
Laura 02 Settembre, 2023
Ciao,
ho scoperto oggi questo sito (complimenti!) e ho trovato questo articolo molto interessante perché spesso mi sono chiesta in che modo la somiglianza tra la L1 e la L2 aiuti nell’apprendimento di quest’ultima.
Mi sono sempre immedesimata nella difficoltà di chi ha una L1 come l’inglese, in cui non esiste maschile e femminile per i sostantivi come in italiano. Mi chiedo sempre: come fanno a comprendere e quindi ricordare, che una sedia è femminile e un tavolo maschile? (che poi il tavolo può diventare anche la tavola, con un significato diverso). Per questo ho sempre pensato che coloro che vengono da lingue che hanno caratteristiche simili alla nostra, come quella appena descritta, siano facilitati quantomeno nel “capire” le basi della lingua.
Non sono né una linguista né un’insegnante di italiano per stranieri, ma lavoro in una associazione che forma giovani adulti provenienti da paesi diversi e che nel loro percorso formativo hanno anche lo studio dell’italiano e quindi gli argomenti correlati all’apprendimento delle lingue straniere mi interessa molto.
E’ per questo che vorrei porvi una domanda: insegnare l’italiano ad un gruppo di persone omogenee dal punti di vista linguistico (immaginiamo un gruppo di arabi) dovrebbe essere fatto in modo diverso rispetto all’insegnare ad un gruppo molto eterogeneo (russi, arabi, nigeriani, maliani, armeni…) considerando quindi che non avrebbero tutti gli stessi punti di riferimento relativamente alle informazioni e competenze linguistiche di cui parlate.
Grazie, Laura
Sandro Caruana 18 Settembre, 2023
Gentile Laura,
grazie per l’interesse per il sito e per l’articolo.
I principi glottodidattici basici e gli approcci pedagogici che si usano nell’insegnamento delle lingue straniere non variano in base al gruppo di studenti che si insegna. Bisogna, per esempio, sempre adottare metodologie incentrate ai bisogni degli apprendenti, cercare di motivarli coinvolgendoli nelle lezioni ecc.
Tuttavia, talvolta ci sono gruppi di studenti che posseggono caratteristiche o competenze simili, come la stessa L1, come nell’esempio da lei citato. In tal caso, questa competenza che accomuna gli apprendenti diventa uno strumento da sfruttare ed e’ utile per l’insegnante familiarizzarsi con alcune caratteristiche fondamentali di questa lingua. C’e’ pero’ anche un pericolo – ovvero che gli studenti invece di interagire nella lingua straniera parlino tra loro usando la loro L1, cosa che invece non avverrebbe in una classe di studenti di diverse L1.
Come vede, questo e’ solo un esempio di come il lavoro degli insegnanti richiede che essi riescano ad adattarsi a situazioni diverse.
Mi sono occupato dell’argomento anche in una pubblicazione accessible online, dove troverà anche qualche riferimento bibliografico che potrebbe interessarla:
https://rivista-incontri.nl/article/view/12808
Lascia un commento