Anna Riccio
Università di Foggia
Un gran numero di lingue parlate in diverse aree nel mondo è noto per la presenza di un fenomeno linguistico denominato dagli studiosi “costruzione a verbi seriali” (CVS) o “verbi seriali” (VS). In queste lingue, due o più verbi si combinano in serie all’interno di una stessa proposizione per esprimere un unico evento. Vediamo immediatamente un esempio tratto dal kalam, una lingua trans-Nuova Guinea parlata in Papua Nuova Guinea:
L’evento del “gettare un oggetto in un luogo” in kalam è linguisticamente concettualizzato in una sequenza predeterminata e necessaria di quattro VS corrispondenti a sottoeventi che la comunità di parlanti riconosce culturalmente come un unico evento:
- d ‘tenere’ = l’uomo tiene il bastone
- yokek ‘3SG:spostare:SD’ = il bastone viene lanciato (lett. il bastone si sposta)
- amb ‘3SG:andare’ = (il bastone) vola sopra il recinto
- yowp ‘3SG:cadere’ = (il bastone) cade nel giardino
Diversamente, la traduzione italiana codifica l’evento con il solo verbo “gettare” intorno al quale si organizzano i sintagmi “uomo”, “bastone”, “recinzione” e “giardino”. In questo caso, il predicato traduce un determinato momento – l’azione del gettare – di un’intera situazione che inizia con la presa dell’oggetto e si conclude probabilmente con la caduta a terra dello stesso oltre la recinzione, ma questi ultimi sottoeventi non sono linguisticamente codificati da verbi. Va precisato, tuttavia, che una loro codifica è possibile in italiano, ma essa non realizza una CVS. Prendiamo ad esempio la frase in (2):
I tre predicati “afferrare”, “lanciare” e “toccare terra” non denotano un unico evento, come avviene nella CVS in (1), ma costituiscono tre eventi distinti e separati in successione nel tempo. In italiano, come in altre lingue indoeuropee moderne (francese, spagnolo, ecc.), i verbi non possono trovarsi in costruzioni a verbi seriali.
Prima di addentrarci nell’argomento, ripercorriamo brevemente un po’ di storia. La scoperta delle CVS non è recente. Le prime testimonianze di lingue con VS si leggono nella premessa di un dizionario figiano-inglese del Rev. australiano David Hazlewood risalente al 1850. Pochi anni dopo vengono pubblicati i primi studi sulle lingue africane occidentali del Ghana (twi, gă, ewe, fante). In questo primo periodo, che va dagli anni ’50 dell’Ottocento e inizio anni ’60 del Novecento, gli studiosi riflettono, in maniera particolare, sulle possibili scelte traduttive di tali costruzioni multiverbali in altre lingue, giungendo alla conclusione che esse corrispondono quasi sempre a due o più verbi legati da una preposizione o congiunzione, o a un solo verbo modificato da un avverbio. In questo stesso periodo, viene introdotta l’espressione “serial verbs”, che verrà ripresa e accolta dalla comunità scientifica solo successivamente dagli anni ’60 del Novecento in poi. La letteratura sulla serializzazione, sviluppata in un secondo momento tra fine anni ’60 e fine anni ’80, rivolge una maggiore attenzione all’analisi sintattica delle CVS. Nel terzo e ultimo periodo, dagli anni ’90 ad oggi, la ricerca si focalizza principalmente sulla semantica delle CVS, sulla distinzione tra queste ultime e altre costruzioni multiverbali, sulla comparazione e ricerca tipologica in prospettiva interlinguistica.
Le aree geografiche nelle quali sono state accertate le CVS sono – nell’ordine di scoperta del fenomeno – Africa, Asia, Oceania e Americhe. Nello specifico, esse sono state identificate nelle lingue niger-congo (es. akan, ewe, igbo, yoruba), afro-asiatiche (es. goemai, mupun), nilo-sahariane (es. dazada, arabo del Darfur) e in altre varietà dialettali dell’arabo parlate in Africa settentrionale; nelle lingue afro-asiatiche parlate in Asia occidentale (es. siriaco e altre varietà dialettali dell’arabo), nelle lingue sino-tibetane (es. cantonese; spesso confrontate con le costruzioni coverbali) e in quelle indoeuropee antiche (es. persiano, ittita, vedico; tutte con particolari restrizioni che mettono in discussione lo statuto di CVS); nelle lingue parlate in Papua Nuova Guinea (es. lingue trans-Nuova-Guinea), nelle lingue austronesiane e australiane, e in diverse famiglie linguistiche del continente americano settentrionale (es. lakota, pame), centrale (es. sumu), meridionale (tariana, tupi-guaraní); infine, nei creoli africani e americani (es. creoli atlantici a base inglese nell’Africa occidentale e nelle Americhe). Il database online Atlas of Pidgin and Creole Language Structures (https://apics-online.info/) propone tre contribuiti sulle CVS nei creoli, ricchi di esempi corredati di mappe geografiche interattive.
Nonostante la ricerca sulla serializzazione fornisca informazioni sempre più sistematiche e significative negli anni, l’individuazione e la validazione di criteri definitori intralinguistici e interlinguistici, che tentano di uniformare il quadro piuttosto variegato della classe dei VS, permangono due operazioni alquanto complesse. Queste hanno portato chiaramente a diverse definizioni di CVS. Di fronte a tale situazione, si riporta di seguito la definizione di Aikhenvald (2006), una tra le più citate e anche discusse negli studi di questi ultimi anni:
A serial verb construction is a sequence of verbs which act together as a single predicate, without any overt marker of coordination, subordination, or syntactic dependency of any other sort. Serial verbs describe what can be conceptualized as a single event. They are monoclausal; their intonational properties are those of a monoverbal clause, and they have just one tense, aspect, and polarity value. Serial verbs may also share arguments and obliques. Each component of an SVC must be able to occur on its own.
Secondo la studiosa, i VS agiscono come un unico predicato (“single predicate”) senza l’ausilio di connettivi di subordinazione, coordinazione o complementazione (“without any overt marker of coordination, subordination, or syntactic dependency of any other sort”). La sequenza di verbi (“a sequence of verbs”) concettualizza l’evento come unico (“single event”). Le proprietà prosodiche, tra le quali l’assenza di pausa tra i costituenti e la presenza di un andamento intonativo continuo (“intonational properties”), assegnano alla CVS un profilo sintattico monoclausale (“monoclausal”), tipico di una singola proposizione (“monoverbal clause”). In tal caso, i VS presentano un’unica portata semantica di tempo e di aspetto (e modo) (TAM) sull’intero evento. Il valore di polarità (positivo/negativo) è lo stesso per ciascun sottoevento verbale (“one tense, aspect, and polarity value”). Un altro fenomeno rilevato nelle lingue con CVS sin dai primi studi sulla serializzazione è la condivisione degli argomenti dei VS con funzione sintattica di soggetto e oggetto (“share arguments and obliques”). Infine, i VS sono parole contenuto con un significato autonomo atte a comparire da sole nel discorso (“able to occur on its own”).
Come accede spesso per tanti altri fenomeni linguistici non descrivibili con una visione eurocentrica, i criteri definitori morfosintattici e semantici, come quelli sopra riportati, sono da tempo oggetto di discussioni, in quanto più volte descritti come necessari ma non sufficienti o, al contrario, sufficienti ma non necessari per spiegare le CVS e, inoltre, distinguerle da altre costruzioni multiverbali. Per esempio, la portata semantica della negazione e delle marche TAM sull’intero evento e la condivisione degli argomenti sono considerate dalla maggioranza degli studiosi condizioni sufficienti per definire una CVS ma non necessari. In alcune lingue, una costruzione multiverbale è classificata come CVS anche in assenza della portata semantica della negazione e delle marche TAM. Diversamente, la concettualizzazione di un singolo evento è (forse) una condizione necessaria, ma non sufficiente. Si prenda ad esempio la costruzione coordinativa per asindeto (in cui le proposizioni coordinate sono giustapposte nella frase senza congiunzioni) che, in alcune lingue, presenta una semantica simile a una CVS, come la facoltà di esprimere un unico evento, senza tuttavia essere considerata tale.
Da queste semplici considerazioni si evince, quindi, che formulare generalizzazioni su particolari costruzioni a partire da una serie di criteri definitori che possono variare interlinguisticamente è un’operazione complessa, soggetta a numerose controversie. Per far fronte a tale inconveniente, la stessa Aikhenvald (2006) suggerisce un approccio “scalare” per definire le CVS, in base al quale una costruzione multiverbale è una CVS se possiede la maggior parte delle proprietà stabilite da criteri definitori. Questo approccio è vantaggioso per le lingue seriali nelle quali non tutte le proprietà tipiche di una CVS sono rilevabili.
Questa breve panoramica sulle CVS si conclude con una loro classificazione in base ad alcune principali funzioni che esse svolgono nelle lingue. Partiamo dall’esempio in (1). Si tratta di una CVS di tipo sequenziale formata da verbi con significati lessicali propri indicanti azioni consecutive, spesso in rapporto di causa-effetto. In funzione del rapporto sintattico e semantico tra i VS, si distinguono due categorie di CVS: da un lato, le CVS simmetriche, e dall’altro, le CVS asimmetriche (Aikhenvald 2006). La CVS in (1), ad esempio, appartiene al primo tipo. I VS di una costruzione asimmetrica assumono funzioni sintattiche e semantiche diverse. Diversamente dalla CVS simmetriche, nelle quali la scelta dei VS non è soggetta a restrizioni semantiche, i VS di una CVS asimmetrica appartengono a classi specifiche, quali i verbi di moto (per es., andare, venire, ecc.), di postura (per es., stare, rimanere, ecc.), di percezione (per es., sentire, vedere, ecc.), e svolgono particolari funzioni grammaticali, come l’aggiunta di valori aspettuali (per es., continuativo, progressivo, ingressivo/terminativo, ecc.), il cambiamento della valenza sintattica e semantica, ecc. Prendiamo ad esempio quest’ultima funzione. Nella CVS in (3) del dazaga, una lingua parlata in Africa centrale nella Repubblica del Ciad, il secondo verbo (V2) -jɛ́n ‘dare.IMPER.2SG’ modifica la valenza della predicazione in quanto introduce il beneficiario t- ‘1SG.OGG’ che riceve profitto dall’azione espressa dal primo verbo (V1) -ìsʊ́ ‘fare.IMPER.2SG’:
Nella CVS, il V2 non designa l’atto del trasferire inteso come un’azione, ma svolge, quindi, la funzione grammaticale di incrementatore della valenza.
Questa sintesi vuole solo fornire un quadro di insieme di un argomento complesso come le CVS, il cui intento è quello di consentire al lettore di acquisire alcune nozioni di base che gli saranno utili qualora decida di approfondire l’argomento.
Abbreviazioni
IMPER = imperativo
OGG = oggetto
SD = soggetto diverso
SG = singolare
V1 = primo verbo
V2 = secondo verbo
2 = seconda persona
3 = terza persona
Per approfondire
Aikhenvald, Y. Alexandra. 2006. Evidentiality. Oxford: Oxford University Press.
Aikhenvald, Y. Alexandra. 2018. Serial verb constructions. Oxford: Oxford University Press. Disponibile online: https://www.oxfordbibliographies.com/view/document/obo-9780199772810/obo-9780199772810-0222.xml
Riccio, Anna. 2020. Costruzioni a verbi seriali: tipi, funzioni e quadro teorico. Collana di linguistica e linguistiche. Vol. 10. Bologna: Pàtron Editore.
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