Luisa Corona
Università dell’Aquila
Chi ha sperimentato, nei lunghi pomeriggi delle scuole superiori, la ripetizione di quel mantra che recitava rosa rosae rosae rosam rosa rosā, difficilmente dimentica la sensazione di noia che spesso accompagnava quella fatica. Già alle scuole superiori si è di solito consapevoli del fatto che quella noia e quella fatica sono assolutamente necessarie: per poter comprendere lingue come il latino, il greco antico o il tedesco (pensando solo a quelle che si possono incontrare facilmente alle superiori), saper riconoscere forme e funzioni dei casi e imparare regolarità ed eccezioni nella flessione dei nomi è l’unico modo per non perdersi come naufraghi fra i testi. Quello che però non sempre sappiamo, quando affrontiamo lo studio di lingue che presentano una flessione per caso, è che usiamo già forme flesse per caso in italiano, che il caso è una delle categorie grammaticali più diffusamente espresse nelle lingue del mondo, che i sistemi di caso nelle lingue sono ricchi e molto diversificati…
In questo breve articolo proverò quindi a descrivere tutti gli aspetti che mi appaiono più significativi della categoria del caso. Spero che questo possa aiutare chi legge Linguisticamente a dare un senso, anche solo retroattivamente, a tutte le desinenze per caso, le regolarità e le eccezioni che, nel tempo, ha dovuto imparare.
Come spiega Blake (2001), il caso è una categoria grammaticale che si esprime principalmente attraverso la flessione delle parti nominali del discorso, cioè nomi, pronomi e spesso anche aggettivi, articoli e altri modificatori dei nomi. Attraverso il caso, le lingue esprimono informazioni di tipo sintattico o semantico: da un punto di vista sintattico, il caso segnala la funzione che un nome ricopre all’interno di una frase, ad es. soggetto, oggetto, oggetto indiretto (detto anche, nell’insegnamento scolastico, complemento di termine); da un punto di vista semantico, invece, il caso può dare informazioni sul ruolo che il referente di un nome ricopre nella situazione descritta da una frase, ad es. il comitativo è il caso con cui in alcune lingue si esprimono relazioni di compagnia o di unione, lo strumentale è il caso con cui si esprime il mezzo o lo strumento attraverso il quale si compie un’azione.
I valori sintattici del caso possono essere organizzati in due sistemi principali, detti nominativo-accusativo ed ergativo-assolutivo. Questi sistemi sono denominati così a partire dal nome dei valori di caso con cui si marcano, nelle lingue che presentano l’uno o l’altro, i sintagmi nominali che rivestono le funzioni di soggetto di un verbo transitivo, soggetto di un verbo intransitivo e oggetto diretto (cf. su questo Comrie 1983).
Di seguito, si possono osservare alcuni esempi da lingue che mostrano questi due diversi sistemi di allineamento per caso. Gli esempi da 1 a 3 sono tratti da due opere di Cicerone (le Epistulae ad Familiares e le Epistulae ad Atticum) e mostrano come, nel sistema nominativo-accusativo presente in latino, al soggetto è attribuito sistematicamente un valore di caso detto nominativo. Il nominativo marca infatti sia il soggetto agente di verbi transitivi (come Crassus nell’esempio 1) sia il soggetto di verbi intransitivi (come Scaptius o Pompeius negli esempi 2 e 3). L’oggetto diretto dei verbi transitivi presenta invece un valore di caso detto accusativo (marcato con le desinenze -os di legatos, plurale, e -um di Pompeium, singolare).
Gli esempi da 4 a 6 sono invece tratti da un lavoro di Harms (1994) che descrive l’Epena, lingua Chocoan parlata in Colombia e in Ecuador (detta anche Epena pedee o Eperã pedee), con un sistema di tipo ergativo-assolutivo. In Epena, ad essere marcato con il morfema -pa che esprime il caso ergativo è solo il soggetto agente del verbo transitivo, come mostrano gli esempi 5 e 6 (con i nomi čonáapa ‘vecchio’ e úsapa ‘cane’). L’oggetto diretto dei verbi transitivi (ancora il nome che indica il cane, úsa, nell’esempio 5, e ethérre ‘pollo’ nell’esempio 6) e il soggetto di verbi intransitivi (come čonáa ‘vecchio’ nell’esempio 4) presentano invece lo stesso caso, detto assolutivo, che in Epena non è segnalato da alcun elemento all’interno delle parole che hanno il ruolo in questione. Quando una categoria o un significato espresso non è apertamente rappresentato da un elemento linguistico, nel sistema di glosse che uso qui per presentare i dati si utilizza il simbolo Ø (cf. le glosse di Lipsia, https://www.eva.mpg.de/lingua/resources/glossing-rules.php, Rule 6: Non-overt elements).
L’inventario dei valori di caso nelle lingue che lo esprimono è estremamente variabile: abbiamo sistemi di caso molto semplici, con due soli valori di caso, come quelli presentati dal francese antico o dall’amarico, lingua semitica parlata in Etiopia; abbiamo poi sistemi di caso molto elaborati, come quelli presentati dal basco, dalle lingue ugro-finniche (con più di dieci valori di caso) o dal tabasaran, lingua caucasica parlata in Daghestan, con un sistema ricco e diversificato sul quale si è molto scritto e spesso anche “fantasticato”, come spiegano Comrie e Polinsky (1998) in un articolo dall’emblematico titolo The great Daghestanian case hoax.
In alcune lingue, come l’italiano o l’inglese, non esiste una flessione per caso che interessa tutte le parti del discorso nominali ma i pronomi personali presentano, nel proprio paradigma, forme che esprimono la funzione sintattica da questi ricoperta. In italiano, ad esempio, i pronomi di prima e di seconda persona singolare presentano le forme io e tu nella funzione di soggetto, le forme me e te per esprimere una funzione sintattica diversa dal soggetto, ad es. ho sempre cercato te (complemento oggetto), te l’ho detto (oggetto indiretto o complemento di termine). Questi pronomi presentano anche le forme mi per la prima persona singolare e ti per la seconda che esprimono funzioni diverse dal soggetto quando il pronome è clitico. I clitici sono elementi linguistici non dotati di accento autonomo (quindi atoni) che si “appoggiano” nella pronuncia a un’altra parola (il nome clitico viene da un verbo del greco antico, klíno, che indica proprio l’azione dell’appoggiarsi). I pronomi personali clitici dell’italiano quando sono anteposti al verbo restano staccati nella grafia (mi chiami?), quando invece sono posposti al verbo si uniscono nella grafia (chiamami domani). Per i pronomi di terza persona singolare, l’italiano presenta un sistema più complesso. Innanzitutto, esistono forme diverse per esprimere il genere del referente (maschile o femminile): nelle funzioni di soggetto, le grammatiche segnalano le forme egli ed ella ormai poco frequenti e spesso sostituite, in registri diversi dallo scritto formale, dalle forme lui e lei che, in origine, si usavano soltanto come forme toniche del pronome di terza persona singolare nella funzione di oggetto, come nell’esempio 7. Inoltre, per le funzioni di oggetto diretto e oggetto indiretto (o complemento di termine), i pronomi clitici di terza persona presentano forme diverse, ovvero gli ‘oggetto indiretto’ e lo ‘oggetto diretto’ per il pronome clitico di terza persona singolare maschile (vedi esempio 8), le forme le ‘oggetto indiretto’ e la ‘oggetto diretto’ per il pronome clitico di terza persona femminile (vedi esempio 9).
In italiano, quindi, usiamo la flessione per caso più di quanto, probabilmente, siamo consapevoli di fare.
Per approfondire
Blake, Barry J. 2001. Case. Cambridge / New York: Cambridge University Press.
Comrie, Bernard. 1983. Universali del linguaggio e tipologia linguistica. Sintassi e morfologia. Bologna: il Mulino (ed. or. Language Universals and Linguistic Typology. Syntax and Morphology, Oxford, Blackwell, 1981).
Comrie, Bernard & Polinsky, Maria. 1998. The great Daghestanian case hoax. In Anna Siewierska & Jae Jung Song (eds.), Case, Typology and Grammar, 95-114. Amsterdam / Philadelphia: John Benjamins Publishing Company.
Harms, Philip L. 1994. Epena Pedee Syntax (Studies in the Languages of Colombia 4). Dallas / Arlington: Summer Institute of Linguistics and University of Texas.
Haspelmath, Martin. 2009. Terminology of case. In Andrej Malchukov & Andrew Spencer (eds.), The Oxford handbook of case, 505-517. Oxford: Oxford University Press.
Kelly, David H. 1993. Case: Grammar and Terminology. The Classical World 87(1): 35-39.
Kulikov, Leonid. 2009. Evolution of case systems. In Andrej Malchukov & Andrew Spencer (eds.), The Oxford handbook of case, 439-457. Oxford: Oxford University Press.
Lepäsmaa, Anna-Liisa & Silfverberg, Leena. 2001. Suomen kielen alkeisoppikirja. Helsinki: Finn Lectura.
2 Commenti
Francesca 06 Luglio, 2024
L’argomento è interessante, però l’articolo presuppone che tutti conoscano già il significato di “ergativo” ed “assolutivo”. La spiegazione “questi sistemi sono denominati così a partire dal nome dei valori di caso con cui si marcano, nelle lingue che presentano l’uno o l’altro, i sintagmi nominali che rivestono le funzioni di soggetto di un verbo transitivo, soggetto di un verbo intransitivo e oggetto diretto” è comprensibile solo se si conosce già la differenza.
Luisa Corona 03 Settembre, 2024
Cara Francesca,
in realtà, la spiegazione che citi puntualmente prevede la conoscenza pregressa di altre nozioni, cioè quelle di soggetto, oggetto, transitività e intransitività. Ho pensato di poterle dare per scontate, in effetti, considerando che sono nozioni di base della nostra grammatica. Per provare poi a rendere più esplicito l’allineamento per caso (nominativo – accusativo e ergativo – assolutivo) nella codifica di soggetto e oggetto di verbi transitivi e di soggetto di verbi intransitivi ho fatto qualche esempio dai due sistemi, cioè dal latino e dall’Epena, hai avuto modo di guardarli?
Ciao.
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