Valter Deon
Dirigente scolastico, GISCEL Veneto
1. Una antica diatriba. Un libro e tre manuali.
Dove trovare la storia (anche quella che qualcuno scriverebbe con la S maiuscola) se non nelle parole, nella lingua, nei segni, che si conservano nel nostro dialogare, nel nostro scrivere, nel nostro vedere, adesso, ogni giorno?
Mi facevo queste domande in tempi così animati – quelli presenti – mentre sentivo discutere di scuola, di memoria, di Storia, di riforme, di logica, di formazione, di disciplina, in una babele di parole confuse usate per confondere. E tutto a causa del latino, e del suo andare e tornare nella scuola.
Il primo pensiero che mi è venuto all’accendersi del dibattito è stato quello di rivivere giorni lontani, molto lontani. La questione del latino sì/latino no è una vecchia questione. Negli anni che vanno dal 1963 al 1979 il tema aveva inquietato molti insegnanti, il mondo della cultura, l’Accademia, e anche la società civile. Già prima del 1962, anno della Legge 1959 istitutiva della scuola media unificata, il dibattito aveva acceso gli animi di chi, da un lato, guardava indietro e di chi, dall’altro, pensava non tanto al futuro, ma al proprio presente scolastico, culturale, sociale, civile. Alla fine la soluzione era stata frutto di un compromesso.
Un rapido sguardo alla scuola di quegli anni aiuta a capire meglio l’oggi e a riconoscere la stanchezza, la ripetitività, il non senso delle recenti proposte e del discorrere odierno. Proverò a guardare passando per un libro e tre manuali scolastici di quegli anni.
Il libro è quello di Monica Berretta Linguistica ed educazione linguistica del 1977, edito da Einaudi, piccola bibbia per gli insegnanti più sensibili di allora. Oggi il testo fa capire lo stato dell’arte nella scuola di quel tempo; e aiuta a fare onesti confronti. Allora dava un quadro quanto mai chiaro e completo sullo stato degli studi linguistici in Italia e sui bisogni di comunicazione avvertiti dalla scuola, e non solo. Lo faceva con sintesi ammirevoli e con una ricca documentazione. Denunciava, tra le molte cose, l’assenza di una buona grammatica di riferimento mentre presentava i tanti nuovi modelli grammaticali che il mondo scientifico costruiva; e ne valutava al tempo stesso le difficoltà ad adattarli al mondo della scuola. Poche parole sul latino, confinato nella realtà scolastica di tutti i giorni in una delle tre classi medie, destinato ad alcuni e alternativo per altri alle applicazioni tecniche; la sua provvisorietà stava a significare che non era pane per tutti. Uno dei tanti meriti del libro era rappresentato dal forte richiamo, nell’ampio capitolo sulla comunicazione, a quel che gli insegnanti avrebbero potuto fare, ma anche e soprattutto a quel che non avrebbero dovuto fare: ad esempio, evitare di umiliare gli studenti, specie se deboli, con le parole dell’interazione in classe.
I segnali di un disagio circa contenuti, modi e tecniche dell’insegnamento dell’italiano erano stati mandati qualche anno prima da Raffaele Simone nel Libro di italiano edito dalla gloriosa Nuova Italia nel 1974; il libro – rivisto e riscritto – era poi diventato nel 1979 Fare Italiano. Era un denso manuale pensato per gli studenti della scuola media (ma utile non solo a loro) che dava un forte scossone alle certezze, non solo grammaticali, degli insegnanti di allora e rispondeva ad alcune fondamentali domande che venivano da studenti, genitori, e da ogni parlante. Dava spazio alla comunicazione, alle abilità linguistiche, e della grammatica privilegiava la sintassi superiore, non della frase. Quel che i docenti, in particolare, si chiedevano era semplice: quali priorità dare ai propri insegnamenti di lingua, come riempire i buchi che il vecchio insegnamento grammaticale e prevalentemente letterario lasciava? Il libro era vissuto dai più come un’antigrammatica. Che la vecchia grammatica desse segni di stanchezza era sensazione diffusa; e che l’analisi logica propedeutica al latino apparisse sempre meno logica era discussione frequente in tante sale-insegnanti.
Il secondo libro per gli studenti che mi piace segnalare è una grammatica. Nei dieci anni che vanno dal ’70 all’80 erano arrivate tante grammatiche scolastiche che offrivano alla scuola adattamenti più o meno riusciti dei nuovi modelli che l’Accademia realizzava; o proposte, anche parziali, che gli studiosi facevano nel campo dell’educazione linguistica. Non si deve dimenticare che quegli anni sono stati quanto mai ricchi di innovazioni e di forte collaborazione scuola-Università. Una di queste proposte è appunto Il libro di Grammatica di G. Berruto, M. Berretta, D. Calleri, S. Canobbio Sernagiotto, per i tipi di Marietti;¹ è del 1976. Era un intelligente tentativo di grammatica sincretica che nell’insegnamento esaltava, in particolare, il ruolo della semantica, e quindi della parola con i suoi risvolti storici, sociali, formali. Avendo il faro sulla semantica, non poteva non avere continui riferimenti alla storia delle parole, alla loro formazione, al loro uso. In questo disegno, di rendere consapevoli gli studenti delle parole che usavano, il latino entrava per una porta non proprio secondaria.
Il terzo manuale (libro di sostegno agli insegnanti di italiano) è il primo impegno di Francesco Sabatini per la scuola ed era intitolato La lingua e il nostro mondo, edito da Loescher nel 1978.² Nel testo il latino trovava finalmente all’interno della storia della lingua la sua naturale collocazione. Da subito, e fino ai nostri giorni, era sembrata la proposta più realistica e convincente, e pareva chiudere definitivamente la diatriba latino sì/latino no per gli studenti della scuola media dell’obbligo di allora. Ma se all’inizio la scelta era parsa definitiva, con gli anni non riusciva a prendere le ali nella pratica didattica; la storia della lingua nei suoi tratti elementari sbiadiva progressivamente nei manuali per la scuola media fino a scomparire quasi del tutto. Nel tempo aveva invece ripreso fiato la vecchia grammatica e il suo insegnamento, soprattutto per quel che rappresentava: nell’immaginario di tanti insegnanti era un sapere che rassicurava per le certezze che offriva.
2. Dopo il 1979. Nuovi orizzonti o antichi ritorni?
I libri che ho citato sembravano aver messo alcuni punti fermi. L’insegnamento grammaticale doveva essere inquadrato in uno nuovo progetto che indicava il sincretismo come soluzione per la scuola: abbandonava quindi vecchi arnesi, allargava il campo alla riflessione sulla lingua e suggeriva una grammatica a servizio dell’intelligenza e dei parlanti; il latino negli anni dell’obbligo più universale – era scuola di tutti – doveva trovare la sua porta di ingresso nella storia della lingua.
Se dunque il lungo dibattito sul latino pareva essersi esaurito con un esito che sembrava definitivo, sotto la cenere la vecchia grammatica, che apparentemente dava regole certe e risposte sicure, faceva sentire antichi richiami. Ma forse tale vecchia cosa non era mai sparita dalle menti di tanti docenti. Così oggi quella grammatica, che nella sostanza era funzionale allo studio del latino, e lo stesso latino vengono resuscitati non tanto per il loro valore e la loro funzione ai fini di un sempre più efficace insegnamento della lingua quanto per un loro presunto valore formativo generale.
Se si dice ad esempio che la pratica delle regole, attraverso e con la lingua (il latino e la dura grammatica sarebbero campioni nell’infondere tale atteggiamento), potenzia l’educazione al rispetto delle norme, i dubbi si confermano. Sarebbe come dire, rovesciando discorso e argomento, che la rigida disciplina in una Accademia militare, che potenzia l’abitudine al rispetto delle regole, favorisce il tradurre, specie dalle lingue classiche.
Così oggi, a distanza di quasi 50 anni, si ridiscute la questione in altro clima, in altro contesto, e con implicazioni e risvolti completamente diversi. Sono tempi questi in cui la popolazione scolastica italiana è profondamente cambiata; sono anni in cui figli e genitori hanno scoperto i social, e sono giorni in cui la mediasfera avvolge vita e pensieri di ognuno. Da aggiungere che da tempo la scuola ha perso il proprio prestigio e si muove ormai con fatica e sofferenza.
3. Che fare?
La prima cosa è riportare la questione alle sue giuste dimensioni, cominciando a ridare alle parole il loro proprio significato. E senza attribuire al latino le funzioni taumaturgiche che gli si mettono addosso: si dice che il latino è necessario perché forma le teste, abitua alla logica, e prepara alla vita; che educa al rigore, insegna a guardare al nostro passato, e aiuta a conservare le nostre tradizioni. La sostanza sarebbe che attraverso lo studio della grammatica e lo studio sistematico del latino si raggiungerebbero fini che vanno ben oltre gli scopi che l’insegnamento della lingua si propone. ³
Nell’acceso dibattito poche e molto discrete le motivazioni di ordine più squisitamente linguistico e culturale che si sono sentite; ma forse la ragione risiede nel fatto che esiste un certo ritegno a ribadire concetti di senso comune. Riflettere sulla lingua che si usa e sulla sua storia giova al suo più sicuro possesso: dal latino e dal greco indubbiamente derivano la maggior parte delle parole del lessico intellettuale che apre ai diversi ambiti di conoscenza. Perciò ritengo che sia bene ripartire da dove Francesco Sabatini ci aveva lasciato.
E quindi. Da premettere che si sta ancora parlando dei tre anni che rappresentano lo zoccolo duro della scuola dell’obbligo; sono gli anni in cui tutti gli studenti dovrebbero godere delle stesse opportunità di apprendimento. Non a caso il problema era nato quando si discuteva di scuola media, in mezzo tra la scuola elementare e la scuola superiore. È pur vero che nel frattempo la vecchia scuola media ha cambiato nome ed è entrata, con i dubbi di molti, nella area della secondarietà. Tant’è; anche in questo caso i nomi dicono le cose.
Ma forse è il caso di ricordare che per entrare nel latino, che rappresenta le ‘nostre radici’, e nella Storia, che forma le personalità, tante sono le porte: quelle dell’italiano che si usa e si conosce. Ma anche per arrivare alla grande Storia (quella che permetterebbe di acquisire – tra l’altro – l’identità nazionale) si deve passare per la storia delle parole e della lingua, che è l’oggetto più vicino allo studente che parla e pensa.
Allora viene da chiedersi: ma davvero un’ora di latino (facoltativa?) per gli studenti dell’ex scuola media può risolvere tutti i problemi: quelli della formazione di anime forti e disciplinate, del più sicuro possesso della lingua madre, del superamento dell’analfabetismo di ritorno o funzionale; in una parola, dei gravi problemi di un paese? Quanto alla grammatica alla quale si pensa di ritornare (quella delle forme che si allarga alla logica) potrebbe essa avere – come si pretende – anche la funzione miracolosa di insegnare con disciplina le regole del buon parlare e scrivere?
Alla fine il dubbio è che col latino si vogliano riaprire porte più larghe alla vecchia grammatica e a tutto ciò che implica: avere pochi dubbi, essere forti delle proprie e delle altrui certezze.
Confesso di aver ripreso in mano il libro di Francesco Sabatini del 1978. Mi sono detto che per i cittadini europei, presenti e futuri, uno sguardo alle tante cartine geostorico-linguistiche sarebbe non solo motivo di interesse, ma esperienza necessaria; che la rappresentazione del Mediterraneo come centro del nostro mondo sarebbe solo da meditare; che correre dentro le parole e pensarle attentamente sarebbe un grande beneficio per tutti. Tutto questo col sostegno di una grammatica ragionevole e dubbiosa che aiuti l’intelligenza e contribuisca a formare quella competenza interrogativa che Harald Weinrich ha fortemente raccomandato. La lingua, il bene più nostro che abbiamo, è il luogo e l’oggetto che pone più domande a tutti e a ciascuno; e la grammatica che le provoca lo strumento più efficace per avere risposte che chiamino altre domande. Un insegnamento che porti a riflettere in anni cruciali per lo sviluppo della personalità, svolto in modi episodici e intuitivi ma in forme rigorose e non lasciate al caso, attento alle parole e alle domande che facciamo e che i nostri studenti rivolgono a noi, sarebbe auspicabile e di beneficio per tutti.
¹ Il decennio di cui sto scrivendo è stato quanto mai generoso di strumenti per un rinnovato insegnamento grammaticale (ma non solo grammaticale nel senso stretto del termine), segno di una grande attenzione del mondo universitario per la scuola; attenzione che negli anni si è venuta affievolendo. Ricordo, fra i tanti e in particolare, la grammatica per la scuola media di M.L. Altieri Biagi e L. Heilmann del 1974 e la grammatica di M. Corti, E. Manzotti, F Ravazzoli del 1979.
² La storia del libro è stata raccontata dallo stesso Sabatini; e aiuta a capire le motivazioni di una scelta che da subito era apparsa come la più naturale e ragionevole. Viene presentata nel libro Un italiano accogliente di Franceso Sabatini, il Mulino, Bo, 2024. Si vedano le belle pagine del dialogo con Cristiana De Santis; in particolare, le pp. 54-55. Nelle due pagine vengono riportate le lontane opinioni di Germano Proverbio e di Scevola Mariotti.
³ Penso a quelli che si propone il GISCEL nelle Dieci Tesi Per una educazione linguistica democratica.
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