Valter Deon
Dirigente scolastico, GISCEL Veneto
Non so se la nostra è la più bella Costituzione del mondo. Sicuramente è stata scritta con cura, competenza, forte sensibilità linguistica e alto senso dello Stato da uomini integerrimi, sostenuti dalla chiara coscienza delle responsabilità civili, culturali, politiche che si erano assunti al momento dell’elezione; politici consapevoli soprattutto dei diritti linguistici e dei doveri che avrebbero dovuto assicurare e indicare ai cittadini della nuova Repubblica nell’alto testo che si accingevano a scrivere.
I primi diritti riferiti alla lingua cui i Costituenti hanno pensato sono stati quelli dei lettori-cittadini. Hanno pensato che chi avrebbe letto il testo della Carta Fondamentale avrebbe dovuto avere il diritto di leggere e capire.
Qualche anno fa avevo raccolto gli aggettivi ricorrenti che i Costituenti avevano usato pensando alle caratteristiche e alle qualità che doveva avere la lingua della Costituzione. Avevano fatto tale uso nel corso del dibattito preliminare sull’esame del testo dei 75, arrivato in aula nel marzo del 1947, che in aula doveva essere discusso e nel suo complesso e nei singoli articoli. La lingua alla quale pensavano era una lingua “comprensibile”, “bronzea”, “lapidaria”, “breve”, “disadorna”, “solenne”, “incisiva”, “semplice”, “cristallina”, “seria”, “leale”…
Le ‘qualità’ della lingua della Costituzione.
Visti da qui, questi aggettivi, insieme e singolarmente, coprono sul piano del significato tutte le aree di vita e di attività sulle quali le parole esercitano il potere che è loro proprio.
In particolare, investono i destinatari, qualificano le intrinseche caratteristiche delle parole di una Costituzione che deve durare nel tempo, riguardano l’estetica della lingua, il suo impatto sociale e pragmatico; e anche, e infine, la sfera etica e morale di ciascuno e di tutti; insomma, intervengono in ogni aspetto della vita individuale e sociale.
Quindi, “comprensibile” rimanda intuitivamente al lettore-cittadino al quale è dovuto massimo rispetto e i cui diritti esigono tutela; “bronzea e lapidaria” fanno riferimento al tempo delle parole di una Costituzione che si propone rigida; “incisiva e cristallina” rinviano ai tratti ‘estetici’, emotivi e stilistici che hanno il compito di caratterizzare la lingua del testo; “solenne e disadorna” rimandano agli effetti pragmatici che le parole devono produrre in chi legge o ascolta; “seria e leale” fanno pensare alla coerenza che testo e parole hanno il dovere di assicurare col referente cui rinviano: parole in sostanza che devono essere fedeli a loro stesse, e non tradire chi le fruisce con allusioni, imprecisioni, vaghezza.
Che i Costituenti siano riusciti nei loro intenti lo ha ben dimostrato Tullio De Mauro nel suo saggio Il linguaggio della Costituzione introduttivo al testo costituzionale vero e proprio:
Il testo della Costituzione italiana è lungo 9369 parole. Esse sono le repliche, le occorrenze di 1357 lemmi. Di questi, 1002 appartengono al vocabolario di base italiano […] Il vocabolario di base, in italiano come in ogni altra lingua, è il cuore della immensa massa lessicale: è il nucleo di maggior frequenza e familiarità, e quindi, sia detto subito, di massima trasparenza per la comunità dei parlanti. […] Nel lessico della Costituzione soltanto 355 lemmi su 1357 sono estranei al vocabolario di base. […] Le parole di base sono enormemente più frequenti. Di conseguenza il vocabolario di base non copre solo il 74% circa delle occorrenze, ma il 92,13 delle novemila e passa parole ricorrenti nel testo. Solo il 7,87% del testo della Costituzione è costruito con vocaboli non di base. […] Le 9396 parole si distribuiscono in 480 periodi, con una media, dunque, di 19,6 parole per frase.
Si può dire allora che il risultato è una notevole leggibilità del testo nel suo complesso.
Al diritto del lettore-cittadino di leggere e capire è corrisposto – di riflesso – il dovere degli autori di scrivere un testo chiaro ed essenziale: di ciò, come detto, i Costituenti hanno piena consapevolezza. Se ne fa interprete, in un esemplare e articolato intervento nella seduta dell’8 marzo, l’onorevole Ghidini il quale ricorda che
Gli uomini di legge hanno fra le mani una bilancia per pesare le parole, una bilancia la quale ha la sensibilità che è ancora maggiore della famosa bilancia dell’orafo.
Di assicurare chiarezza ed essenzialità al testo si sono fatti carico i singoli deputati, consapevoli della responsabilità che sentivano nei confronti dei futuri cittadini della nuova Repubblica, da poco usciti dalla guerra dopo vent’anni di fascismo. Non c’è intervento che non esprima più o meno diffusamente questa preoccupazione. Unita alla consapevolezza del potere di azione delle parole: le parole pesano e intervengono sulle persone e sui loro comportamenti.
Sicuramente hanno portato all’ottimo risultato la competenza, la cultura, la sensibilità dei tanti Costituenti: è sufficiente citare qualche nome – Calamandrei, Terracini, Moro, La Pira, Marchesi, e tanti altri meno noti – per avere ragione degli esiti felici dell’impresa. È anche vero che alcuni tra i più accorti studiosi attribuiscono tale risultato al clima dell’aula e del paese, alla diffusa tensione etica, alla dirittura morale dei 556 deputati Costituenti. Si può aggiungere che, dopo quel magico momento, nei testi pubblici non si sono più viste tanta chiarezza, concisione, onestà e coerenza.
C’è ancora un aspetto da sottolineare che riguarda la sensibilità e la lungimiranza dei Padri Costituenti. Lo segnala Tullio De Mauro nel saggio già citato. I deputati presenti erano ben consapevoli che una parte considerevole degli italiani non era in grado di ‘leggere’ la Carta Costituzionale; quel 60% di popolazione, senza nessun titolo, nemmeno la licenza elementare, sarebbe però stato in grado di capirla con una lettura ‘assistita’. Il restante 40% avrebbe sicuramente aiutato a capire chi non aveva gli strumenti per leggere. Per questo, sempre con Tullio De Mauro, si può dire che
la Costituzione, se non parla a loro (a quel 60%, nota mia), certo parla per loro, e anzi, e se si bada al comma secondo dell’art. 3, parla principalmente per loro: assume cioè le differenze di capacità linguistica come uno degli ostacoli che è «compito» della Repubblica rimuovere.
L’articolo 3. I diritti linguistici degli uomini e dei cittadini.
Nell’articolo 3 i Costituenti hanno posto le basi per l’affermazione dei fondamentali diritti linguistici dei cittadini. Tutti gli uomini sono uguali davanti alla legge e tutti lo sono indipendentemente dalla loro lingua. Stranamente nel testo costituzionale non viene affermata la supremazia della lingua italiana, e neppure si dice esplicitamente che l’italiano è la lingua della nazione. Di sicuro non è stata una dimenticanza né una svista: troppo forte nel pensiero dei deputati il peso delle diversità e della ricchezza linguistica dell’Italia, e troppo forte ancora il peso dei dialetti, vivi nei tanti luoghi del paese; troppo forte infine la presenza di tante comunità linguistiche con una secolare tradizione.
Quest’ultima consapevolezza è diventata uno dei primi articoli, il 6 precisamente, che con pochissime parole impegna la Repubblica a tutelare con apposite norme le minoranze linguistiche presenti del territorio nazionale, da Nord a Sud.
È interessante sottolineare l’articolazione in due commi del citato art. 3. Se nel primo i Costituenti hanno fatto una postulazione di principio, vuota proprio perché postulazione; nel secondo, con lo sguardo al paese sconvolto dalla guerra e vicino a una rivoluzione sociale, economica e culturale, essi si sono preoccupati di impegnare istituzioni e cittadini ad allontanare gli ostacoli che impediscono il dispiegarsi concreto di tale principio. Non è quindi diverso il cittadino la cui lingua nativa e d’uso è il dialetto o la cui lingua è quella di una minoranza linguistica; così, se la dialettofonia impedisce o rallenta i rapporti sociali, o ostacola la comunicazione e la partecipazione alla vita politica, lo Stato provvederà a facilitare l’uso e il possesso degli strumenti linguistici che promuovono la partecipazione e la comunicazione allargate. Non essere diversi per la lingua che si usa significa, in positivo, avere la consapevolezza e la volontà, oltre che i mezzi e le condizioni, di migliorare continuamente i propri strumenti di comunicazione.
È probabile che l’immagine che tanti costituenti avevano in mente fosse quella di chi si presentava sprovveduto in un ufficio pubblico o quella del contadino di una terra non sua, col cappello in mano davanti al padrone; o di chi con la parola aveva il potere di far tacere chi aveva un debole possesso di lingua. Pensavano sicuramente a quel 60% di deprivati sul piano linguistico, impossibilitati o in grande difficoltà a esprimere idee, opinioni, e a far valere le proprie ragioni; poveri dei mezzi con cui documentarsi, o impediti a partecipare a eventi pubblici, a manifestare per iscritto pensieri, sentimenti, aspirazioni.
E pensavano, anche e soprattutto, ai tanti bambini senza una scuola o impossibilitati per tante ragioni a frequentarla. Rimuovere gli ostacoli significava quindi per i Costituenti costruire scuole, di ogni ordine e grado, preparare insegnanti, aprire biblioteche, centri di incontro, occasioni di dibattito e di confronto. E promuovere l’insegnamento della lingua oltre che lo sviluppo della cultura affermato all’art. 9.
Esplicito in questo senso l’articolo 21 che recita al comma 1: “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”; l’articolo ricorda a tutti la libertà e quindi il diritto di esprimersi in ogni tipo di idioma.
I doveri linguistici di ogni cittadino. I doveri della scuola.
L’onorevole Bozzi, sempre nel primo giorno di discussione, interviene a ricordare che il “diritto è come una medaglia che ha nel suo rovescio il dovere”. Di questo rovescio i Costituenti non parlano in questa parte della Costituzione; e, intuitivamente, non scrivono in modo diffuso dei doveri linguistici dei cittadini (e non lo avrebbero potuto fare). Dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale da normare, scrivono nei modi dovuti; di più specifici doveri si esprimono in forme ampie e generali come si scrive di tendenze e di aspirazioni; se ne trova esempio nell’art. 4 a proposito del lavoro. Resta il fatto che la libertà di parola ha, come direbbe appunto l’onorevole Bozzi, il suo rovescio nel dovere di rispettare la parola degli altri; così come al diritto di espressione corrisponde il dovere dell’ascolto.
La parola-chiave che apre ai tanti impliciti nascosti nel retro della medaglia dei diritti linguistici è la parola solidarietà, presente appunto nell’art. 2. Il termine, su un piano etico e sociale, rimanda a un rapporto di reciproco aiuto e di rispetto tra i componenti di una collettività unita dal senso di appartenenza, nel caso specifico, a una comunità linguistica. Questo comporta ai suoi componenti coscienza del proprio patrimonio linguistico, e impegno a conservarlo, ad arricchirlo con la pratica, lo studio e l’applicazione, e a renderlo sempre più adeguato a ben comunicare, ad aiutare a ben esprimersi chi ne ha difficoltà, a ben farlo conoscere a chi non lo conosce.
Al punto 1 delle Dieci Tesi per una Educazione linguistica democratica il GISCEL ha ben declinato oltre che i diritti, i doveri linguistici personali, individuali e sociali. Vien da dire che la Carta Costituzionale, a distanza di anni, ha sollecitato ad approfondire il tema e a declinarlo nelle forme più ispirate. Si può ricordare quanto – sempre nella seduta citata – Calamandrei disse dell’onorevole Togliatti:
Togliatti – citando Dante – mi disse che noi preparatori della Costituzione dobbiamo fare «come quei che va di notte, – che porta il lume dietro e a sé non giova, – ma dopo sé fa le persone dotte». Mi pare questo un gran merito della nostra Costituzione.
Per approfondire
Atti dell’Assemblea Costituente: http://legislature.camera.it/frameset.asp?content=%2Faltre%5Fsezionism%2F304%2F8964%2Fdocumentotesto%2Easp%3F
Deon, Valter. 1998. Una lingua democratica: la lingua della Costituzione. In Gabriella Alfieri & Arnold Cassola (a cura di), La “Lingua d’Italia”. Usi pubblici e istituzionali. Atti del XXIX Congresso Internazionale di Studi – Malta, 195-211. Roma: Bulzoni.
Pasquino, Gianfranco. 2006. Costituzione della Repubblica Italiana (1947) con l’introduzione di Tullio De Mauro e una nota storica di Lucio Villari. Torino: UTET / Fondazione Maria e Goffredo Bellonci onlus.
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