Yahis Martari
Alma Mater Studiorum – Università di Bologna
- Parole (e musica)
Una questione che ha tiepidamente appassionato la stampa nei giorni precedenti l’uscita dei testi delle canzoni di Sanremo 2025 (4 febbraio) è la paternità delle canzoni stesse. Dice che un numero molto limitato di autori ha firmato la maggioranza dei brani (dice). Alcuni autori giovani ma ormai tradizionali delle cosiddette “major” (di una soprattutto) sono particolarmente presenti (dice); e di questo si è nutrita la modesta polemica mediatica: principali indagati, Davide Petrella (che ha cofirmato 4 testi), Jacopo Ettorre (4 pure lui), Davide Simonetta (3), Federica Abbate (3).
Visto che in questo articolo ci occupiamo delle parole delle canzoni, presentiamo il corpus che abbiamo analizzato a futura memoria e specifichiamo chi le ha scritte – ufficialmente – queste parole (Tab. 1), tralasciando invece la questione, che qui non ci interessa, di chi ha composto la musica; se non altro, visto che quest’anno l’argomento è un po’ à la page, per capire quanto è davvero responsabile l’interprete “X” quando parliamo del “testo della canzone di X”.
Quasi sempre l’interprete – solista o frontman del gruppo (no, non c’è nessun gruppo con una frontwoman in questo corpus) – firma insieme ad altri il testo, ma raramente lo fa da solo. Le parole insomma sono solo di chi le canta in 7 casi (meno di un terzo); in tutti gli altri 22 casi, invece, quando diciamo “hai sentito che bello/che schifo/che banale il testo di X” in realtà – dobbiamo ricordarcelo – non l’ha affatto scritto (se non forse in minima parte) X, ma un sacco di altre persone. Ciononostante, da qui in poi continueremo comunque a parlare della canzone di Fedez, della canzone di Tony Effe etc.: l’importante era sgombrare il campo sulla questione (e ovviamente partecipare alla polemica).
- La metrica dei testi (non in quel senso)
Gli spunti di analisi linguistica che presenteremo nei prossimi paragrafi sui testi scritti (anche un po’) dai e dalle cantanti di Sanremo sono ricavati dall’interrogazione di un corpus con lo strumento di analisi di SketchEngine e con lo strumento di analisi della leggibilità Read-It[1].
Le 7235 parole hanno un indice di leggibilità Gulpease pari a 102 e un Read-it di Base con un livello di difficoltà pari a 0,6% (basato sulla lunghezza media di periodi e parole): nel complesso si tratta quindi, tenuto conto dei parametri più tradizionali che informano queste metriche, di un materiale linguistico semplice e leggibile.
[1] I testi sono tratti dal sito di Tv Sorrisi e Canzoni.
Di contro, il rapporto tipo/unità (type/token cioè la presenza di una parola e il numero di volte che essa si ripete), calcolato sulle prime 100 parole del testo, e l’indice di densità lessicale (cioè il rapporto tra parole piene come amore e albero e parole grammaticali come di e il) determinano un profilo lessicale Read-it di difficile leggibilità (Tab. 3).
- Tu, amore (focalizzazione e temi)
Con l’eccezione di pochissimi testi (i cinque interpretati da Coma_Cose, Lucio Corsi, Rocco Hunt, Shablo, Guè, Joshua & Tormento e Willie Peyote), si tratta implacabilmente di canzoni (24 canzoni!) d’amore: compiaciutamente distruttivo l’amore di Irama, rimpianto quello di Giorgia, parentale quello di Brunori, filiale quello di Cristicchi, rancorosissimo quello di Fedez, raffaellacarraesco quello di The Kolors, equilibrato (dove andremo a finire, signora mia!) quello di Joan Thiele; ma comunque sempre amore. Delle 29 canzoni in gara, 28 canzoni sono allocuzioni (fa eccezione solo Lucio Corsi), ovvero i testi si riferiscono praticamente tutti, da subito (dal primo verso o dal titolo) oppure nel corso dell’esecuzione, a un interlocutore in seconda persona sempre singolare (chi in stile chat-epistolare come Rose Villain, chi con moderazione come Rocco Hunt). Raramente è un tu generico/impersonale (Peyote), praticamente sempre è un amato o un’amata o qualcuno cui tocca in sorte ascoltare le generalizzazioni su cosa bisogna fare con l’amato/a (Massimo Ranieri) – o nel caso di Shablo et al. (notare l’ironia stilistica) il solito tu immaginario a cui rimproverare di essere o troppo falso o troppo povero (nel più trito stereotipo della poetica rap). “Tu, amore” è insomma il grande denominatore comune delle canzoni (degli autori) di Sanremo 2025.
- Analisi linguistica
4.1. Note (parecchie) su lessico e intertestualità
Iniziamo con le parolacce. Da un punto di vista lessicale osserviamo innanzitutto una manciatina di disfemie: un solo cazzo, una merda, una puttana una stronza, mentre in ben sei testi compare l’ormai bolso e poco parlato fott* (fottuto/fottere) ed Effe, Rkomi, The Kolors, Giorgia e Gaia osano un dimesso stupid*. Si aggiunga una spruzzata di dialetto: in primo luogo quello di tradizione, ovvero il napoletano di Hunt, doppiato dal barese di Brancale. Sebbene queste incursioni dialettali rappresentino il tentativo di radicare la parola cantata in un universo autenticamente popolare, le scelte lessicali aderiscono spesso a un cliché culturale (forse il più comprensibile da fiorentini e milanesi) che poco ha di autentico: “‘o cafè”, “me vonno fottere l’anema”, “tutt’ appost” (Hunt); “sim na cosa sola”, “marioul”, “cummè p’ fa l’amore” (Brancale). E poi il romanesco, rappresentato però soltanto dai pochi realia di Tony Effe, anche questi segnati da una eco stornellante, affettata e convenzionale: “damme ‘na mano/che c’ho ner core/solo ‘na donna e ‘na canzone/nun conta niente/si crolla er monno/Io m’aricordo solo di te/damme ‘na mano/Sinno me moro”.
Con i forestierismi, non va meglio. La canzone di Shablo & co. (variatio), se ci si concede un giudizio impressionistico, sembra scritta dall’AI per la quantità di lessico stereotipato impiegato: “baby I love u”, “street song”, “amo ‘sti money” etc.; unica nota d’arguzia linguistica l’uso prima dell’inglese “block” e poi dell’adattamento morfologico “blocco”. Dal canto suo Marcella Bella propone una svolta internazionale con uno spaesato “star quality” (spaesato quanto il latino “carpe diem” nel testo di Brancale). E infine ci imbattiamo, nel testo di Toscano, in un pugno di francesismi fortemente ma (forse) volutamente standardizzati.
Qualche momento intertestuale e citazione qua e là. Ad esempio Tony Effe canta “Per le strade di Roma/E non fare la stupida stasera”); Toscano sostiene che “mi scioglierà le trecce di una vie en rose come Edith Piaf” (e del resto lo stesso brano si intitola “Amarcord”); ancora Brancale ripropone il titolo tradizionalmente muroliano ma per l’occasione pinodanieliano “Anema e Core”; inoltre, Rose Villain ci informa che “Ascolto Almeno Tu nell’Universo”. Poi: Kandinsky viene nominato dai Modà, Rorschach da Rkomi (che cita anche Piero Manzoni: “è il lato oscuro in piena vista/o è forse merda di un artista”), Peyote scherza dicendo “c’hai provato anche più volte dei Jalisse” e Effe si interroga “di noi cosa direbbe Califano”, mentre Brancale avverte che “Maria Callas canta”, e “Bonnie e Clyde” sono citati in Rose Villain. Brunori alza biblicamente l’asticella (della citazione) con “Perché conosco il sogno del faraone/Le vacche grasse e le vacche magre”.
I tecnicismi (perlopiù commerciali, ma anche medici e tecnologici) non sono molti. La “Visa” di The Kolors, l’“iphone” di Gaia, il trattato psicopatologico di Fedez (“fluoxetina”, “serotonina”, “battito accelerato”), il “glitch” nel cielo di Clara – la quale definisce anche gli occhi dell’amato/a “blu Klein”. È anche piuttosto raro il lessico ascrivibile a un repertorio gergale giovanile (Corsi canta di “uno spaccino in fuga da un cane lupo/Alla stazione di Bolo”, Shablo e i suoi dicono che sono “in sbatti sbatti per arrivare al top”, The Kolors sentenziano che “mi piaci un minimo”); saremmo tentati di ascrivere a questo gruppo anche i “Cuoricini” che titolano il brano di Coma_Cose.
Complessivamente un repertorio in apparenza non proprio d’avanguardia, ma con qualche guizzo, insomma. Come quasi sempre accade nei testi di canzonette (anche) italiane, la questione più significativa è la polarizzazione tra linguaggio quotidiano e realistico da un lato, e un tessuto poetico e aulico dall’altro lato. È impossibile elencare i due repertori perché sarebbe troppo vasto il catalogo di espressioni colloquiali così come l’elenco di fenomeni atmosferici con valenza metaforica, spessissimo compresenti nello stesso testo. Ad esempio: Lauro apostrofa “O… bambina, E ti ricordi o no” e poi spiega che “L’amore è come una pioggia sopra Villa Borghese/E noi stiamo annegando, naufragando”; Bresh osserva che “Se il mare si è salato/È perché un marinaio ci ha pianto sopra” e subito dopo ipotizza che “se han fatto il calendario/È perché ti vorrei fare santa ora”, e subito dopo torna al meteo con “senti che forte il vento/Vento che non si posa”, e subito dopo chiude con uno sconsolato, brutale (e fuori corso) “ho bisogno solo di riuscire a convincere te/ma lo sento non mi dai due lire”.
Neanche a dirlo, domina il lessico delle emozioni: parole come “amore” (29 attestazioni), “cuore” (14 attestazioni), riempiono i testi e segnano tuttavia i confini di relazioni complesse, sofferenza e rimpianto, spesso rendicontando un conflitto tra desideri, paure e riflessioni sulla vita – così sulla stessa linea parole pur meno frequenti come “triste(zza)” (4 occorrenze), “silenzio” (4 occorrenze) contribuiscono a esprimere sentimenti (tutt’altro che proattivi) di solitudine, nostalgia e ostinato ricordo.
Alcuni testi (vedi Achille Lauro) presentano un tessuto praticamente tutto costituito da figure (talora accumulate come “ti chiamerò da un autogrill tra cento vite o giù di lì” – metonimia e iperbole). In particolare il numero di costrutti metaforici (allegorie, paragoni, metafore e altre traslazioni di significato) è prevedibilmente rappresentato pressoché in ogni testo. Proseguissimo in ordine alfabetico, dopo Achille, troveremmo Bresh che dice che “nella tana del ragno c’è una canzone”, Brunori che si definisce “lo come sempre canguro fra il passato e il futuro”, Clara che descrive “un sentimento che si rompe e taglia come il vetro”, i Coma_Cose che oggi si sentono “come una pozzanghera” e così via.
4.2 Note (poche) sulla sintassi e sulla morfologia
Complessivamente la sintassi si sviluppa in costrutti brevi e spesso paratattici, con frasi spezzate e giustapposizioni (Lauro: “stiamo annegando, naufragando è un romanzo”; Coma_Cose: “se l’ansia mi afferra/con lo sguardo verso il cielo”; Fedez: “sei la carne è viva”; Olly: “vorrei / vorrei / vorrei”), domande retoriche (“cosa mi fai” chiede Elodie, “ma dove scappi senza cuoricini” i Coma_Cose, “ma non lo vedi?” Gabbani) e riportate (dicevi/stasera/dove vai amore”, sempre di Elodie) e indirette (“e chiedersi se credi davvero in qualche cosa”, scrive Checco dei Modà). Si contano tuttavia 29 costrutti temporali e 17 causali e non mancano i momenti ipotattici: Cristicchi propone periodi ipotetici, finali, causali, frasi relative, talora in periodi complessi come “è ancora un altro giorno insieme a te,/per restituirti tutto quell’amore che mi hai dato/e sorridere del tempo che non sembra mai passato”.
Raramente la sintassi riporta a una qualche dimensione di spontaneità con costrutti colloquiali (come il che relativo con ripresa nel clitico di Corsi “volevo essere un duro che non gli importa del futuro”), più spesso è tradizionalmente standard, con qualche caso di lodabile (tentativo di) controllo del sistema pronominale (“non so più come fare senza te/te che mi fai, vivere, e dimenticare/tu che mentre cucini ti metti a cantare” (Olly). E così la morfologia (si distingue Noemi che canta “dire siam diversi”).
Il meccanismo della ripetizione anaforica è ovviamente piuttosto presente nelle diverse forme, a contatto (“Cuoricini, cuoricini/Cuoricini, cuoricini” dei Coma_Cose) o no (Hunt: “mille vote ancora e ridere/mille vote ancora e chiagnere/mille vote ancora”; Lauro: “oh, bambina […] oh, bambina”). Peyote mette in anafora costrutti presentativi “C’è chi” per una lunga strofa strabordante di congiuntivi e condizionali.
Il tempo e il modo più rappresentato è, come sempre, l’indicativo presente (897 forme), cui segue l’imperfetto (84 forme); l’eccezione (quasi strutturale) di Cristicchi fa lievitare a 98 le forme del futuro complessivamente presenti nei testi, che esibiscono anche una buona rappresentanza di condizionali (34 in tutto ma otto sono ripetuti da Olly) e di congiuntivi (31); solo qualche traccia di passato remoto (per l’esattezza due: “sporcai” di Ranieri, “dicesti”, di nuovo di Checco).
Sul versante dei pronomi personali, infine, contiamo 33 volte “io”, 53 volte “tu”, 20 “noi”, contro 3 “lei” e 3 “lui”, a riprova dello stile costantemente allocutivo e della comunicazione io-tu dei testi.
- Un lustro di Sanremo su Linguisticamente
La novità del “Dialetto in salsa rap” del 2024 sembra essere riassorbita in un tessuto linguistico più tradizionale, anche se forse non più così peculiare: è stato infatti rilevato ormai più volte il superamento della dialettica tra non sanremese e sanremese (su Linguisticamente, già nel 2022 e nel 2021 da Coveri e il 2025 non fa eccezione – sebbene sulla carta l’impressione è che i testi dei più giovani sembrino anch’essi più appiattiti su di un denominatore comune, come si è detto, costantemente asservito al cliché.
L’elemento caratterizzante della ripetizione (rilevato qui da Elisa Bianchi nel 2023 e nel 2024) è invece sempre importante, come è ovvio che accada in una kermesse di canzonette caratterizzate da ritornelli che si ripetano e da ritmi che accolgono facilmente ripetizioni a contatto. Il bilancio di un lustro di Sanremo su Linguisticamente si chiude con un grafico oscillante, di cui il 2025 non rappresenta forse il punto più alto di creatività linguistica né tantomeno di ricchezza plurilinguistica. Ma tutto questo lo diciamo sulla base dei testi in anteprima, sperando di essere smentiti dalle esecuzioni, dai duetti e da quello che forse ascolteremo a partire da martedì 11 febbraio.
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