Giorgio Francesco Arcodia (马振国)
Università Ca’ Foscari Venezia
La maggior parte di noi, probabilmente, non avrebbe alcun dubbio nel rispondere alla domanda posta nel titolo di questo contributo: certamente! Per un parlante dell’italiano, così come anche dell’inglese, del francese o di qualunque altra lingua d’Europa (e non solo), il cinese può apparire come un sistema lontanissimo e molto complesso. Senza sforzo, ci vengono in mente diversi ‘ostacoli’ nell’apprendimento del cinese, come:
- i suoni, indubbiamente ‘esotici’ per le nostre orecchie;
- il lessico, composto di parole che, nella quasi totalità dei casi, non hanno niente in comune con quelle dell’italiano e delle altre lingue per noi più familiari (come l’inglese);
- la scrittura, che fa uso esclusivo di ‘segni’ dall’aspetto complesso, anche questi senza alcun collegamento con i sistemi di scrittura a noi noti.
Dunque, per un italofono, il cinese è una lingua difficile da apprendere? Non è falso dire che, per raggiungere un livello analogo, ad esempio, di spagnolo e di cinese, i tempi saranno molto diversi: intuitivamente, tutti immaginiamo che la prima impresa sia decisamente più rapida della seconda. Questo però è dovuto non tanto alla ‘difficoltà’ del cinese in sé, ma piuttosto alla vicinanza tra l’italiano e lo spagnolo, che ci semplifica moltissimo il compito: per una parlante del vietnamita, lingua vicina per molte caratteristiche al cinese, la situazione sarebbe quella opposta.
Vediamo dunque come ‘funziona’ effettivamente la lingua cinese (inteso qui nella sua varietà standard moderna), concentrandoci sui tre livelli evidenziati sopra.
I suoni del cinese
Innanzitutto, il cinese fa uso di una serie di suoni che non fanno parte dell’inventario fonologico dell’italiano, almeno nella sua variante standard. Ad esempio, le cosiddette consonanti ‘retroflesse’, che sono articolate ‘arrotolando’ la lingua e avvicinando il lato inferiore della punta della lingua nella zona immediatamente dietro agli alveoli, come la [tʂ] di 住 zhù ‘abitare’, o la [ʂ] di 树 shù ‘albero’. Tuttavia, non tutti i parlanti del cinese realizzano abitualmente questi suoni: proprio come i parlanti italiani delle varie regioni hanno differenze nella realizzazione dei suoni (si pensi, ad esempio, alla ‘gorgia’ toscana), così anche in alcune varietà (accenti) locali di cinese le retroflesse sono sostituite da dei suoni per noi più familiari (come la [ʦ] di mazza, o la [s] di sale).
Inoltre, uno dei nodi più problematici per gli apprendenti italiani è quello dei toni. In cinese standard, ogni sillaba può essere letta con quattro toni diversi, ovvero con quattro modulazioni diverse dell’altezza musicale: ad esempio, se 妈 mā (1° tono) vuol dire ‘mamma’, 麻 má (2° tono) significa ‘canapa’, 马 mǎ (3° tono) significa ‘cavallo’ e 骂 mà (4° tono) significa ‘insultare’. Tuttavia, l’uso dell’altezza musicale per distinguere significati non è estraneo all’italiano:
Il negozio è chiuso.
Il negozio è chiuso?
Il negozio è chiuso!
La differenza tra queste tre frasi è data appunto dall’intonazione, ovvero dalla modulazione dell’altezza nell’articolazione dei suoni. La differenza è che, in italiano, questo viene applicato a frasi intere, mentre in cinese alle singole sillabe.
Le parole del cinese
Il lessico del cinese, come accennato sopra, ci fornisce davvero pochi ‘appigli’. Con l’eccezione di un piccolo numero di termini che riproducono, in qualche modo, la forma di parole di lingue europee (prestiti), come 麦克风 màikèfēng ‘microfono’ (dall’inglese microphone) o 咖啡 kāfēi ‘caffè’ (dal francese café?), il resto del lessico è interamente da apprendere: non abbiamo modo di prevedere che, ad esempio, 电脑 diànnǎo vuol dire ‘computer’. Tuttavia, le parole del cinese moderno hanno una caratteristica importante: sono in maggioranza costituite di altre parole (o, comunque, di elementi con un significato analogo alle parole), proprio come i composti italiani capotreno o asciugacapelli. Così, 电脑 diànnǎo è composto dagli elementi 电 diàn ‘elettricità’ e 脑 nǎo ‘cervello’: il computer, quindi, è un ‘cervello elettronico’. Vediamo qualche altro esempio, in cui indichiamo i confini tra le unità dotate di significato con un trattino (-):
葡萄酒 pútao-jiǔ uva-bevanda alcolica ‘vino’ | 长颈鹿 cháng-jǐng-lù lungo-collo-cervo ‘giraffa’ | 食堂 shí-táng mangiare-sala ‘mensa’ |
La prevalenza di questo modello rende la struttura delle parole spesso più trasparente che in italiano o in inglese: ad esempio, generalmente le bevande alcoliche hanno 酒 jiǔ come ultimo costituente (ad esempio 高粱酒 gāoliangjiǔ ‘grappa di sorgo’), e i nomi dei veicoli con ruote generalmente hanno 车 chē ‘carro, veicolo’ alla fine (come 三轮车 sānlúnchē ‘triciclo’, letteralmente ‘tre-ruote-veicolo’). Tuttavia, non mancano neppure i casi in cui il significato di una parola non è facilmente desumibile da quello dei suoi costituenti: 自行车 zìxíngchē ‘bicicletta’ letteralmente significa ‘veicolo che va da solo’, e potrebbe facilmente essere frainteso.
La scrittura del cinese
Il particolare sistema di scrittura del cinese è l’aspetto che, probabilmente, più affascina, ma anche più spaventa gli apprendenti (e non). La scrittura cinese è di natura logografica: (quasi) ogni carattere (unità di base della scrittura cinese) corrisponde a una sillaba e a un significato. Tornando agli esempi di parole complesse visti sopra, è facile notare come ogni carattere è associato ad una sillaba, ed ogni sillaba (con qualche eccezione, come il caso di 葡萄 pútao ‘uva’) è associata ad un significato. Il numero totale dei caratteri cinesi è forse impossibile da conoscere con esattezza, dato l’accumulo di forme nella storia plurimillenaria di questo sistema grafematico: uno degli elenchi più completi supera addirittura le 100.000 unità. Tuttavia, questo dato, di interesse storico e filologico, non ha particolare rilevanza per l’utente medio della lingua: non più di 7.000 caratteri diversi sono di uso corrente per la scrittura del cinese, e di questi la metà circa è effettivamente comune. La frequenza d’uso dei caratteri è poi molto variabile: secondo una stima di Abbiati (2012), i 28 caratteri più comuni, da soli, coprono circa il 20% di un testo cinese medio; con 243 caratteri si raggiunge una copertura del 70%, che arriva al 90% con i 1.000 caratteri più frequenti. Appare dunque evidente che la maggior parte dei caratteri esistenti ha uso infrequente, mentre solo una piccola parte di essi sono effettivamente molto comuni. Già la conoscenza di 1.000-2.000 caratteri ci permette già una buona copertura testuale.
Inoltre, i caratteri non sono un sistema di simboli del tutto scollegati tra di loro. Innanzitutto, sono costituiti da tratti, che costituiscono un inventario chiuso e vanno tracciati con modalità fisse e in un ordine fisso: per scrivere la parola 王 wáng ‘re’, ad esempio, dovremo tracciare prima i due tratti orizzontali più in alto, poi il tratto verticale discendente, e da ultimo il tratto orizzontale più in basso. Poi, la maggior parte dei caratteri sono costituiti da un elemento che indica la categoria semantica a cui appartiene la parola rappresentata, e un altro che ne suggerisce il suono. Così, ad esempio, troveremo l’elemento semantico (anche ‘radicale’) 木 mù ‘albero, legno’ in caratteri come 枝 zhī ‘ramo’ o 枫 fēng ‘acero’; questi stessi caratteri contengono gli elementi ‘fonoforici’ 支 zhī ‘sostenere’ e 风 fēng ‘vento’, che servono a suggerirne la lettura. Purtroppo, questo principio non sempre funziona come dovrebbe: questo perché gli elementi fonoforici non sono mai stati degli indicatori troppo precisi e i suoni della lingua sono cambiati molto da quando è stata fissata questa forma dei caratteri, ormai due millenni fa. Così, troviamo il fonoforico 支 zhī anche in caratteri come 技 jì ‘abilità’. Tuttavia, il fatto che i caratteri siano costituiti di tratti e componenti ricorrenti, ordinati secondo dei principi (per quanto imperfetti), aiuta molto la memorizzazione e l’uso della scrittura.
Ci sono numerosi altri aspetti della lingua cinese, per così dire, ‘confortanti’, come il fatto che le parole sono tendenzialmente invariabili (ad esempio 去 qù ‘andare’ vale per vado, andiamo, andavano, ecc.), così come molti altri che possono invece contribuire a confermare l’immagine di una lingua difficile, come l’ordine delle parole spesso speculare rispetto all’italiano (ad esempio aggettivo-nome, frase relativa-nome, ecc.). Come nella parabola dei ciechi e dell’elefante, molto nota in Cina (盲人摸象 máng rén mō xiàng), la maggiore o minore difficoltà del cinese dipende perlopiù da che parte dell’‘elefante’ si tocca.
Per approfondire
Abbiati, Magda. 2008. Guida alla lingua cinese. Roma: Carocci.
Abbiati, Magda. 2012. La scrittura cinese nei secoli. Roma: Carocci.
Arcodia, Giorgio Francesco & Bianca Basciano. 2016. Linguistica cinese. Bologna: Pàtron.
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