Elisa Fiorenza
Università degli studi di Messina
Partiamo da un aneddoto recente. Accendo il pc per fare la mia prima lezione di romeno a distanza. L’insegnante mi sorride e dice: “Salut! Bună seara, Elisa. De unde eşti?”. Io saluto e rispondo correttamente alla domanda, in italiano. Non sono mai stata esposta a questa lingua, eppure sono riuscita a capire tutto ciò che mi è stato detto. Il contesto situazionale ha certamente aiutato (che cos’altro avrebbe mai potuto dirmi l’insegnante se non salutarmi e chiedermi da dove venissi?), ma è anche innegabile che si tratta di parole piuttosto trasparenti per me, perché simili ad altre parole di lingue già disponibili nel mio repertorio linguistico, composto dall’italiano (L1), altre lingue e varietà romanze e un paio di lingue germaniche (L2).
Questa possibilità di comprendere lingue che non si conoscono è fonte di stupore per molte persone, soprattutto quando si considerano lingue percepite come “più straniere” di altre (es. il romeno o il portoghese rispetto allo spagnolo). Eppure, siamo di fronte a un fenomeno estremamente diffuso nel mondo, che si può verificare ad esempio ogni qual volta parlanti di lingue diverse cercano di comunicare utilizzando ciascuno la propria lingua madre.
I linguisti chiamano questo fenomeno “intercomprensione” (IC) e sicuramente i lettori più attenti di Linguisticamente ne hanno già sentito parlare in questo articolo di Sandro Caruana o in questo di Rossana Ciccarelli. Nello specifico, l’IC fa riferimento a una situazione comunicativa in cui i partecipanti all’interazione condividono solo parzialmente il codice e pertanto impiegano una forma di comunicazione plurilingue nella quale chi partecipa all’evento comunicativo comprende la lingua degli altri e si esprime nella lingua o nelle lingue che conosce.
Già oggetto di studio della dialettologia, negli ultimi trent’anni l’IC è tornata alla ribalta nell’ambito dell’educazione linguistica, assumendo una “nuova veste”: oltre al fenomeno in sé, l’IC è ormai riconosciuta come uno dei quattro approcci plurali all’insegnamento delle lingue, assieme alla Didattica Integrata delle lingue, all’Éveil aux langues e all’Approccio Interculturale (cfr. CARAP). Si tratta di approcci didattici che coinvolgono più varietà linguistiche e culturali nel processo di insegnamento/apprendimento e che quindi si distinguono per la speciale attenzione che pongono alla valorizzazione dei repertori plurilingui individuali e alla promozione del multilinguismo.
Sebbene la definizione degli approcci plurali sia piuttosto recente, l’interesse per la natura plurilingue della comunicazione umana è da sempre un tema rilevante per chi si occupa di apprendimento/insegnamento delle lingue: chiunque insegni una lingua straniera si è chiesto almeno una volta se e come la somiglianza tra L1 e L2 possa aiutare l’apprendente nel suo percorso verso la lingua target. Tale interesse è evidente anche nella vasta letteratura scientifica su temi chiave della glottodidattica (es. il transfer, il ruolo delle conoscenze pregresse dell’individuo, la mediazione), così come nei numerosissimi progetti e studi prodotti a livello nazionale (si pensi alle Dieci Tesi GISCEL), europeo (es. le pubblicazioni del Consiglio d’Europa, come il QCER-VC), ed extraeuropeo (es. i recenti lavori sul translanguaging in area statunitense).
Per l’avvio della ricerca teorica e applicata sulla didattica dell’IC sono state fondamentali le intuizioni di due studiose francesi: Claire Blanche-Benveniste, le cui acute riflessioni sono confluite nel progetto EuRom4 (Blanche-Benveniste et al. 1997), poi rinnovato e ampliato in EuRom5 (Bonvino et al. 2011), una delle metodologie più solide e diffuse per l’IC ricettiva; e Luise Dabène, a capo dei progetti Galatea (poi evoluti in Galanet, Galapro e MIRIADI), dedicati allo sviluppo dell’IC interattiva. I gruppi di ricerca si sono ampliati negli anni e sono stati creati molti strumenti per sviluppare l’IC (cfr. Bonvino e Garbarino 2022 per una rassegna aggiornata), all’inizio principalmente dedicati alle lingue romanze, ma poi anche a lingue non romanze (es. il progetto EuroCom per le lingue slave e germaniche), e lingue non imparentate (es. il progetto EU&I). L’IC è stata e continua ad essere oggetto di importanti studi e progetti internazionali, perfino di un’alleanza interuniversitaria (cfr. UNITA), grazie a studiosi che ne hanno esplorato le applicazioni per lo sviluppo della dimensione ricettiva e in interazione, in modalità in presenza e a distanza, con apprendenti con bisogni speciali, con diversi pubblici (da studenti di scuola primaria a universitari), con diverse lingue (nazionali, classiche, minoritarie, ecc.), approfondendo numerosi e affascinanti aspetti (es. i processi e le strategie di IC, la formazione degli insegnanti, la valutazione).
Pur nella loro diversità, i vari strumenti ispirati all’IC condividono gli stessi principi, illustrati da Bonvino e Garbarino (2022) e qui commentati sinteticamente:
- l’associazione delle lingue: nella didattica dell’IC si lavora su più lingue simultaneamente (es. nel progetto EuRom5, su cinque lingue romanze), con l’obiettivo di sviluppare la capacità di notare e sfruttare le somiglianze tra le lingue;
- la trasversalità dell’apprendimento e la vicinanza linguistica: poiché ciò che si conosce in una lingua può aiutare a capire quello che non si sa in un’altra, si fa ricorso a tutto ciò che è già presente nel repertorio individuale – solitamente plurilingue – degli apprendenti (la L1, le L2, i dialetti e tutte le varietà linguistiche conosciute);
- le competenze parziali e la centralità della comprensione: nei percorsi ispirati all’IC tutte le competenze sono importanti, quindi anche quelle parziali (ad esempio, saper anche solo parlare in siciliano può aiutare nella comprensione di un testo scritto in catalano), inoltre l’obiettivo primario è generalmente “parziale”, perché limitato allo sviluppo della sola capacità di comprensione (scritta/orale);
- la riflessione sulle lingue e l’importanza della L1: il lavoro simultaneo su più lingue target non conosciute e la riflessione sulle competenze linguistiche già possedute dall’apprendente sono centrali nei percorsi di IC: ciò permette di potenziare la capacità di riflessione metalinguistica su tutte le lingue, compresa la L1;
- lo sviluppo delle strategie: nella gestione dell’input plurilingue, l’apprendente impara a recuperare e potenziare varie strategie di apprendimento, assumendo un atteggiamento sempre più strategico, consapevole e orientato alla risoluzione dei problemi di comprensione;
- la vaghezza e l’approssimazione: nei percorsi di IC gli apprendenti imparano a gestire informazioni vaghe, incomplete, incerte o contraddittorie, e ciò rappresenta un fattore importante per la buona gestione del processo di comprensione del testo;
- l’apertura e la motivazione: l’IC promuove una prospettiva plurilingue democratica e inclusiva, perché attribuisce valore a ogni lingua (e cultura), indipendentemente dal suo prestigio sociale. Inoltre, la scoperta autonoma delle lingue motiva gli apprendenti a proseguire nel percorso di IC e spesso anche nello studio più approfondito di ulteriori lingue straniere.
Oltre agli indiscutibili aspetti positivi, quando si parla di IC possono emergere alcune perplessità e critiche. Di seguito discutiamo le tre più comuni. La prima la chiameremo ironicamente la “questione dei pesci senza le ali!”. Stiamo parlando del fatto che in genere in un percorso di IC si sviluppano “solo” abilità di comprensione di lingue straniere, come se fosse un difetto di fabbrica. A uno sguardo più attento, però, si scopre che sfruttare e sviluppare competenze parziali di comprensione è proprio la natura dell’approccio. Nessuno ha mai detto che sia un’alternativa allo studio globale di una L2. Per alcune persone raggiungere questo obiettivo è sufficiente; per altri è un primo step prima di approfondire una o più lingue e sviluppare anche abilità di produzione (parlare, scrivere). La parzialità non dovrebbe, pertanto, essere considerata una mancanza. Sarebbe, altrimenti, come dire che un pesce sia limitato perché non ha le ali: le avrebbe, se fosse un uccello.
La seconda questione è la falsa credenza che per guidare gli apprendenti attraverso un percorso ispirato ai principi dell’IC sia necessario essere poliglotti. Ciò può rendere diffidenti i docenti che si vogliono avvicinare alla didattica plurilingue. È chiaro che, se si conoscono più lingue sarà più facile far riflettere gli studenti sulle somiglianze e sulle differenze tra sistemi linguistici. È anche vero, però, che alla base di un percorso di successo in IC c’è la capacità di attivare un’ampia gamma di strategie di comprensione del testo, indipendentemente dal numero di lingue imparate.
Un ultimo aspetto un po’ spinoso su cui vale sicuramente la pena riflettere è il seguente: la didattica dell’intercomprensione è minacciata da ChatGPT e dall’IA? Se chiediamo a uno dei tanti tool di tradurre un testo scritto in una lingua che non conosciamo nella nostra L1, possiamo ottenere un prodotto quasi perfettamente in linea con le nostre aspettative. Trattandosi di macchine, però, è pur sempre necessario “il fattore umano”, sia nella fase di input, che nella fase di controllo dell’output. Non è da escludere che le competenze che si sviluppano attraverso la pratica e l’apprendimento in IC possano essere davvero molto utili in entrambe le fasi. Inoltre, in termini più generali, è piuttosto scontato che l’utilizzo di questi strumenti non potrà mai sostituire ciò che si ottiene ragionando in prima persona sul funzionamento delle lingue, come avviene nei percorsi di IC, attraverso i quali è possibile sviluppare fattori assolutamente centrali per l’apprendimento delle L2 come la consapevolezza metalinguistica e le più varie strategie metacognitive.
Concludiamo con un’ultima domanda, che si riferisce invece al titolo di questo articolo: ha senso parlare di IC in termini di rivoluzione? E perché? Per chi scrive ovviamente sì, per le molte ragioni illustrate nelle righe sopra, ovvero perché l’IC:
- è un concetto che ha vissuto una rivoluzione negli ultimi anni, acquistando nuova forza e nuovi significati, in linea con le sempre maggiori esigenze sociali di contatto, scambio e comunicazione tra le popolazioni del mondo;
- è un approccio didattico che si presenta rivoluzionario sin dalla nascita, perché è tra i primi approcci che hanno puntato l’attenzione sull’opportunità di valorizzare i repertori (sempre più) plurali degli individui, promuovendo modelli per lo sviluppo di fondamentali abilità cognitive e metacognitive;
- conserva il germe della rivoluzione, nonostante l’avanzata delle nuove tecnologie: queste non potranno mai sostituirsi agli stimoli complessi forniti da un simile approccio (ma affiancarlo e potenziarlo probabilmente sì).
Infine, forse l’aspetto più rivoluzionario di un percorso ispirato all’IC rimane la spinta a riconoscere la vicinanza linguistica e culturale tra gli individui: imparando a capire e a ragionare su più lingue simultaneamente si sperimenta in prima persona che comprendersi è possibile e anche che ciò che ci appare straniero non è poi così distante. Ricordarselo può essere un atto rivoluzionario, in questi tempi di facile intolleranza.
Ringraziamenti
Ringrazio Elisabetta Bonvino e Sandro Caruana per i loro preziosi suggerimenti.
Per approfondire
Benucci, Antonella (a cura di). 2015. Intercomprensione. Il contributo italiano. Torino: UTET.
Bonvino, Elisabetta & Sandra Garbarino. 2022. Intercomprensione. Cesena/Bologna: Caissa.
Caddéo, Sandrine & Marie-Christine Jamet. 2013. L’intercompréhension: une autre approche pour l’enseignement des langues. Paris: Hachette.
De Carlo, Maddalena (a cura di). 2011. Intercomprensione e educazione al plurilinguismo. Porto S. Elpidio: Wizarts Editore.
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