Vito Pirrelli
Istituto di Linguistica Computazionale “A. Zampolli” (ILC) – CNR, Pisa
La morfologia è quella parte della linguistica che studia la struttura delle parole (Scalise & Bisetto 2008). In italiano, le forme di un verbo ‘cambiano’ (più tecnicamente ‘si flettono’) in funzione del soggetto grammaticale (io dormo, lui dorme), dell’oggetto diretto (l‘ho vista), del tempo (dormirò), del modo (dormirebbe), e ancora del punto di vista da cui guardiamo l’azione (sta dormendo), del tipo di azione (si è addormentato) e del contesto emotivo dell’enunciato (dormicchiavo). Lo stesso vale per le forme di un nome (gatto, gatta, gatti e gatte e gattina), o per quelle di un aggettivo (bello, bella, belli, belle e belline), in funzione di tratti come il genere, il numero o il contesto emotivo.
Diversamente da una famiglia di forme flesse (detta ‘paradigma’), una famiglia di ‘derivati’ comprende tutti quei nomi, aggettivi, verbi e avverbi che condividono una stessa forma di base modificandone in vario modo il significato: forma, formare, deformare, riformare, riforma, formale, formante, formalizzare, formativo, formazione, formalizzazione, informe, informale, informalmente, informare, informazione, informatico, informativo, informatizzare, informatizzazione ecc. Alla base è solitamente attaccato un elemento aggiuntivo, ad esempio un prefisso, un suffisso o una loro combinazione. Il processo può essere ripetuto a cascata. In questo modo, un derivato può diventare la base per un altro derivato.
Analogamente, una famiglia di composti comprende sequenze di due o più parole concatenate tra loro senza l’uso di preposizioni, articoli o congiunzioni, che si comportano sintatticamente come una parola sola: capo cuoco, capo stazione, capo treno, capo classe, capo bastone ecc. Tipicamente, l’elemento lessicale condiviso dai membri di una famiglia svolge la medesima funzione nell’interpretazione del composto finale.
Altre combinazioni di parola possono essere annoverate tra le strutture lessicali complesse dell’italiano (ad es. espressioni come giacca a vento o prendere di mira).
Qui ci limitiamo a osservare che derivati e composti formano classi ‘aperte’ a parole sempre nuove, che a loro volta si flettono per formare nuovi paradigmi. È questo un aspetto fondamentale della nostra competenza lessicale. Indipendentemente dalla lingua che parliamo, il lessico non è un semplice contenitore di parole, ma un sistema dinamico che si autogenera. La natura di questo processo è questione ancora molto dibattuta in morfologia teorica (Audring & Masini 2018). Ad esempio, secondo alcuni linguisti il parlante applica processi lessicali produttivi a radici lessicali irriducibili come cant- o dorm-. Per altri, le parole sono il prodotto di una specie di ‘Lego lessicale’, i cui mattoncini, detti ‘morfemi’, contribuiscono al risultato finale ciascuno col proprio significato.
Morfemi o morfomi?
Scomporre una forma lessicale nei suoi sotto-costituenti è un procedimento analitico molto usato in morfologia. Ad esempio, in canterà possiamo dire che cant- è la radice del verbo ed –erà il suffisso della terza persona singolare del futuro semplice. In alternativa, canter- è il “tema verbale” del futuro, ottenuto dalla radice del verbo con l’aggiunta di –er, mentre –à è il suffisso della terza persona singolare. Stiamo dicendo la stessa cosa in due modi diversi?
Nelle forme spagnole canta-re-mos (‘canteremo’) e canta-ria-mos (‘canteremmo’) i tratti di persona e numero sono realizzati dal suffisso –mos, mentre re- e ria– hanno il ruolo di marcatori di modo e tempo (rispettivamente indicativo futuro e condizionale presente). In canteremo e canteremmo, invece, le terminazioni della prima persona plurale non sono uguali, e l’ampliamento tematico -er (-ir per i verbi della terza coniugazione) si ripete identico. Non si tratta di una semplice coincidenza. Anche forme verbali altamente irregolari come saremo e saremmo condividono lo stesso tema (sar-), e questo vale per tutti i verbi italiani, praticamente senza eccezioni (Pirrelli & Battista 2000). Possiamo dunque considerare forme come canter- e sar– come un unico costituente, che viene usato in italiano sia nell’indicativo futuro sia nel condizionale presente.
Mark Aronoff (1994) ha chiamato questi costituenti multifunzionali ‘morfomi’, per distinguerli dai morfemi, che hanno per definizione un proprio significato specifico. Questa analisi illustra il vantaggio di guardare alla struttura interna delle parole dal punto di vista delle relazioni che ogni forma ha con l’insieme di tutte le altre forme della sua famiglia. L’approccio morfomico porta in primo piano le parole piene, svuotando i sotto-costituenti lessicali della loro funzione segnica. Forme senza significato, i morfomi esprimono relazioni di similarità tra forme flesse, che il parlante sfrutta per produrre nuove forme, comprese quelle più irregolari. È la famiglia di parole, tuttavia, a legittimare l’uso dei morfomi, e non viceversa, come accade per i morfemi.
Le parole nel cervello
Il campo di indagine della morfologia si è progressivamente allargato per includere lo studio di come un parlante percepisce, riconosce e produce le parole (Pirrelli et al. 2020). Da questo punto di vista, una domanda fondamentale è se una forma flessa come cantando sia memorizzata dai parlanti come un’unità semplice e indivisibile, o piuttosto scomposta nei suoi sotto-costituenti (siano essi morfemi o morfomi).
Molti psicolinguisti sono inclini a credere che le parole siano memorizzate per intero. Da un punto di vista funzionale, è senza dubbio più efficiente avere una forma flessa già pronta in memoria, piuttosto che doverla scomporre e ricomporre ogni volta che dobbiamo riconoscerla o produrla. Questa ipotesi spiega perché riconosciamo o produciamo parole ad alta frequenza più velocemente di parole rare. È un effetto della memoria. È noto infatti che ricordiamo più distintamente gli stimoli ai quali siamo esposti ripetutamente. È dunque ragionevole pensare che le parole che conosciamo siano memorizzate nel nostro lessico mentale come forme intere, altrimenti la nostra memoria non potrebbe essere sensibile alla loro frequenza.
In lingue dalla flessione particolarmente ricca, tuttavia, la grandezza dei paradigmi sembra sfidare qualsiasi capacità di memorizzazione. In italiano, ogni verbo presenta poco più di 50 forme diverse, ma le stime più conservative sul verbo turco parlano di circa 2.000 forme flesse (ed alcune stimano un numero complessivo di quasi 2.000.000 di forme derivate da una sola radice!). È improbabile che un parlante nel corso della sua vita possa sentirle e memorizzarle tutte, ammesso che ci sia spazio sufficiente per farlo.
In modo analogo, nessun parlante potrà mai memorizzare tutti i composti della sua lingua, se non altro perché, come abbiamo visto, non ha senso imporre un tetto massimo al numero delle parole composte. Infine, sin dai primissimi anni di vita, i bambini tendono a regolarizzare le parole che imparano, come nel caso di *aprito per aperto. La nostra memoria lessicale deve pertanto essere sostenuta da un meccanismo che consenta ai parlanti di comprendere e produrre parole che non hanno mai sentito, e che quindi non sono disponibili in memoria.
Il futuro della morfologia
Il dibattito sulla struttura e organizzazione delle parole è ancora aperto, ma l’idea di un lessico costruito assemblando mattoncini di varie taglie ha ormai pochi epigoni tra i morfologi. Scomporre una parola morfologicamente complessa è un esercizio relativamente semplice, ma ricostruirla rimettendone insieme i pezzi è il più delle volte impossibile. Le proprietà del lessico sono certamente legate a quelle dei suoi sotto-costituenti, ma non sono riducibili a esse. Come in ogni sistema complesso, il passaggio da un livello di rappresentazione a un livello superiore introduce nuove proprietà e dinamiche specifiche.
È stato osservato (Baayen 2007) che alcune tra le metafore più diffuse in (psico)linguistica risalgono all’informatica degli anni ’50. L’idea tradizionale di lessico riflette il concetto di memoria di massa, e il motore di regole che le combina ricorda da vicino il processore di un computer. L’architettura del cervello umano non è però quella di un computer. I neuroni possono avere forma, struttura e funzioni molto diverse tra loro, ma spesso si comportano simultaneamente come unità di elaborazione e di memoria. Un gruppo di neuroni attivato ripetutamente da uno stesso stimolo si specializza per rispondere sempre più rapidamente a quello stimolo. Il risultato di questo processo adattivo è una traccia ‘stabile’, una sorta d’impronta indelebile dello stimolo stesso: la sua memoria neurale. Se anche il lessico mentale si basasse su un analogo dualismo funzionale, allora le rappresentazioni lessicali in memoria sarebbero le stesse unità che si attivano quando il cervello elabora le parole stimolo corrispondenti.
Possiamo dunque immaginare una famiglia morfologica come un insieme di circuiti lessicali, le cui parti ‘condivise’ sono il correlato neurale di ciò che i linguisti chiamano morfemi (o morfomi). Queste sotto-strutture sarebbero emergenti perché si specializzano attivandosi ripetutamente, e svolgerebbero contestualmente un ruolo importante nell’elaborazione lessicale. Al tempo stesso, la loro attivazione avrebbe luogo sempre e soltanto all’interno dei circuiti lessicali che le contengono, cioè all’interno di quelle che chiamiamo parole.
L’impressione è che l’attuale dibattito teorico sulla struttura delle parole sia ormai pronto ad adottare le nuove metafore delle neuroscienze e delle scienze della complessità.
Per approfondire
Aronoff, Mark. 1994. Morphology by itself. Stems and inflectional classes. Cambridge: The MIT Press.
Audring, Jenny & Francesca Masini (a cura di). 2019. The Oxford Handbook of Morphological Theory. Oxford: Oxford University Press.
Baayen, R. Harald. 2007. Storage and computation in the mental lexicon. In Gary Libben & Gonia Jarema (a cura di), The mental lexicon: Core perspectives, 81-104. Brill.
Pirrelli, Vito, Ingo Plag & Wolfgang U. Dressler (a cura di). 2020. Word knowledge and word usage. A cross-disciplinary guide to the mental lexicon. Berlino: Mouton De Gruyter.
Scalise, Sergio & Antonietta Bisetto. 2008. La struttura delle parole. Bologna: il Mulino.
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