Guglielmo Inglese
Università di Torino
La categoria grammaticale del tempo, di cui abbiamo parlato in questo articolo, da sola non rende pienamente conto della varietà di forme che troviamo nel paradigma del verbo dell’italiano. Per esempio, perché accanto alle forme di passato lessi/ho letto esiste anche la forma dell’imperfetto leggevo? Come parlanti di italiano intuitivamente sappiamo che queste forme non hanno esattamente lo stesso significato, né le useremmo negli stessi contesti (per esempio, il passato prossimo in una frase come ‘mentre ho letto questo articolo’ suona probabilmente fuori posto). Come approfondiremo di seguito, la differenza tra ho letto e leggevo va cercata piuttosto nel tipo di ‘aspetto grammaticale’ che queste forme veicolano.
Immaginiamo, dopo una lunga passeggiata, di essere in cima a una altura e osservare il paese sottostante. Da lontano, vedremmo tutti gli edifici nella loro interezza, sebbene rimpiccioliti. Ogni casa sarà chiaramente distinguibile dalle altre e potremmo in un colpo d’occhio apprezzarne l’insieme degli elementi che la compongono: la porta, i muri esterni, il tetto, le finestre. Se però prendessimo un cannocchiale, e lo puntassimo su una di queste case, ecco che davanti ai nostri occhi vedremmo soltanto la sequenza continua dei mattoni che compongono il muro esterno della casa, di cui, a causa della visuale ravvicinata, non potremmo distinguere né l’inizio né la fine.
La metafora della lente (ripresa da Givón 2001: 289) è particolarmente appropriata per introdurre la categoria grammaticale dell’aspetto, se si pensa che il termine stesso, ‘aspetto’, è entrato a far parte della terminologia della linguistica moderna come una traduzione del corrispettivo termine russo vid, per l’appunto ‘aspetto, visione’. Infatti, sia il tempo sia l’aspetto, in quanto categorie grammaticali, hanno a che fare con come pensiamo, rappresentiamo e comunichiamo gli eventi (e la loro struttura) nel tempo. Tuttavia, mentre il tempo riguarda la collocazione degli eventi sull’asse temporale, l’aspetto ha piuttosto a che fare con il modo in cui i parlanti decidono di ‘visualizzare’ la struttura temporale interna degli eventi.
Ritornando all’esempio dell’italiano ho letto e leggevo, abbiamo notato che, dal punto di vista temporale, entrambe le forme verbali si riferiscono al passato; a questo punto, possiamo però spiegare quale sia la differenza tra le due. Riprendendo lo scenario della passeggiata, la forma ho letto consente di visualizzare a occhio nudo l’evento indicato dal verbo da lontano, come una singola unità dai limiti ben chiari, con un inizio e una fine, es. ‘ieri pomeriggio ho letto dalle 4 alle 6’; al contrario, l’imperfetto della forma leggevo funziona come una lente di ingrandimento, che focalizza la nostra attenzione su una fase particolare dell’evento che viene presentata nel suo svolgimento, senza necessariamente visualizzare il suo momento di inizio e di fine, es. ‘ieri pomeriggio leggevo’. Definiamo i due modi di visualizzare l’azione aspetto ‘perfettivo’ e aspetto ‘imperfettivo’, rispettivamente.
In italiano, come in numerose altre lingue europee, l’aspetto svolge un ruolo minore nella struttura del sistema verbale e questo perché in italiano l’aspetto non può essere espresso disgiuntamente dal tempo. L’unica distinzione aspettuale obbligatoria nel sistema verbale dell’italiano riguarda il passato del modo indicativo, caso in cui i parlanti devono necessariamente scegliere tra una forma imperfettiva (leggevo) e delle forme perfettive (lessi, ho letto). Alcuni autori, come per esempio Bertinetto (1986), preferiscono parlare nel caso dell’italiano di un unico sistema ‘tempo-aspettuale’, poiché ogni forma verbale che porta un’indicazione relativa all’aspetto esprime contemporaneamente anche qualche tipo di riferimento temporale.
È importante notare come le lingue spesso abbiano diverse strategie per esprimere l’aspetto grammaticale. In italiano, ad esempio, abbiamo detto che, all’interno del paradigma verbale, si ha una distinzione perfettivo/imperfettivo solo al tempo passato, nell’opposizione tra passato prossimo/remoto e imperfetto. Negli altri tempi, è possibile esprimere l’aspetto imperfettivo mediante particolari perifrasi come, ad esempio, stare facendo, andare chiamando, essere solito uscire etc. (Squartini 2015).
In italiano, si ha dunque un legame molto stretto tra tempo e aspetto. Questa situazione, tuttavia, non è l’unica attestata nelle lingue del mondo. Esistono infatti non solo lingue prive della categoria grammaticale dell’aspetto, come per esempio il tedesco, ma anche lingue in cui, al contrario, l’aspetto è in parte svincolato dal tempo, e anzi costituisce un elemento molto più rilevante nella flessione verbale. Una lingua di questo tipo è il greco antico, il cui sistema verbale è strutturato intorno alla distinzione tra forme verbali del cosiddetto tema del presente e tema dell’aoristo (Napoli 2006). In greco, presente e aoristo altro non sono che il riflesso grammaticale di una distinzione tra aspetto imperfettivo (es. imperfetto égraphon ‘scrivevo’) e aspetto perfettivo (es. aoristo égrapsa ‘scrissi’). Un’altra lingua in cui l’espressione obbligatoria dell’aspetto è pervasiva è il russo (come del resto le lingue del gruppo slavo in generale), in cui troviamo una sistematica opposizione tra forme imperfettive e perfettive del verbo, queste ultime tipicamente indicate tramite l’aggiunta di un particolare elemento posto prima del verbo, es. pisat’ ‘scrivere (imperfettivo)’ vs. na-pisat’ ‘scrivere (perfettivo)’ (Tomelleri 2008).
L’aspetto perfettivo e l’aspetto imperfettivo possono essere considerati come due macro-contenitori, al cui interno collochiamo tutta una serie di funzioni aspettuali più specifiche. Per esempio, l’imperfetto italiano può esprimere diversi valori: l’aspetto progressivo, che consiste nella visualizzazione di un evento nel pieno del suo svolgersi, es. ‘mentre preparavo il pranzo, mi ha chiamato mia sorella’, o l’aspetto abituale, che esprime il ripetersi di un’azione in modo sistematico nel tempo, es. ‘quando ero piccolo andavo a scuola con il bus’. L’aspetto perfettivo per eccellenza è anche noto come aspetto aoristico (dall’omonima e già menzionata forma verbale del greco antico) ed è quello che consente la visualizzazione di un evento come una singola entità, come ad es. ‘ieri ho corso per due ore’. Un tipo particolare di aspetto perfettivo è l’aspetto compiuto o anteriore (in alcune tradizioni anche noto come ‘perfetto’). Esso indica un evento compiuto nel passato, le cui conseguenze sono ancora valide al momento in cui si sta parlando; questa è la lettura tipica del present perfect inglese del tipo she has worked here for some time ‘lavora qui da qualche tempo’. In origine, è probabile che questa fosse anche la funzione specifica del passato prossimo in italiano, soprattutto se confrontato col passato remoto. Troviamo una lettura di questo tipo in frasi come ‘Mario è arrivato a Torino da due giorni’, in cui il passato prossimo è arrivato non solo colloca l’evento nel passato ma suggerisce anche che l’evento sia ancora rilevante, cioè che Mario sia ancora a Torino. Osserviamo però come questa connotazione, cioè la componente di significato relativa alla rilevanza presente dell’evento, si sia in parte persa in alcune varietà di italiano (come anche in altre lingue romanze, es. in francese), in cui il passato prossimo ha di fatto rimpiazzato il passato remoto come unica strategia per indicare il passato perfettivo in quasi tutti i contesti (Squartini & Bertinetto 2000).
Abbiamo fin qui tentato di spiegare come l’aspetto grammaticale consenta di visualizzare la struttura interna di un medesimo evento con diversi gradi di dettaglio. Da questo punto di vista, l’aspetto è perciò distinto dal tempo, che ci consente invece di collocare gli eventi in ordine cronologico. Ci rimane ancora da spiegare la ragione che spinge i parlanti a scegliere di volta in volta una particolare forma aspettuale, cioè una particolare visualizzazione. L’ipotesi più accreditata è che, grazie all’aspetto, siamo in grado di presentare certi eventi come più o meno rilevanti al nostro interlocutore. Per esempio, quando raccontiamo una storia, o riportiamo un aneddoto, non tutti gli eventi hanno la stessa importanza, ma alcuni servono a fare da sfondo a quelli che invece costituiscono i punti salienti della narrazione. Osserviamo le forme perfettive e imperfettive in questo breve testo:
‘mentre preparavo il pranzo suonò il citofono. Lasciai i fornelli e risposi: era mia sorella che chiamava dall’ufficio’.
In questo testo, vediamo bene come gli eventi che scandiscono la narrazione e su cui vogliamo soffermare l’attenzione del nostro ascoltatore sono espressi da verbi all’aspetto perfettivo (squillò, lasciai, risposi), mentre la visualizzazione imperfettiva ci consente di tenere altri eventi sullo sfondo, per fornire informazioni secondarie e arricchire la narrazione (preparavo, era, chiamava). Non è un caso, poi, che i verbi imperfettivi si trovino spesso in frasi subordinate (nell’esempio appena fatto vediamo forme di imperfetto in una frase temporale introdotta da mentre e in una frase relativa), dal momento che è proprio la funzione delle frasi subordinate quella di fornire informazioni sul contesto in cui avvengono gli eventi narrati.
Per approfondire
Bertinetto, Pier Marco. 1986. Tempo, aspetto e azione nel verbo italiano: il sistema dell’indicativo. Firenze: Accademia della Crusca.
Napoli, Maria. 2006. Aspect and Actionality in Homeric Greek: A Contrastive Analysis. FrancoAngeli.
Squartini, Mario. 2015. Il verbo. Roma: Carocci.
Squartini, Mario & Pier Marco Bertinetto. 2000. The Simple and Compound Past in Romance languages. In Östen Dahl (ed.), Tense and Aspect in the Languages of Europe, 403–444. Berlin & New York: de Gruyter.
Tomelleri, Vittorio S. 2008. L’aspetto verbale slavo fra tipologia e diacronia. In Nicoletta Marcialis, Alberto Alberti, Stefano Garzonio & Bianca Sulpasso (eds.), Contributi italiani al XIV Congresso Internazionale degli Slavisti, vol. 7, pp. 11–61. Firenze: Firenze University Press.
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