Miriam Voghera
Università degli Studi di Salerno
Da qualche settimana è iniziata la scuola, croce e delizia di molti giovani, insegnanti e famiglie. Nelle comunità scolastiche un ruolo centrale è occupato dalle lingue parlate da tutti i soggetti coinvolti perché, benché non si entri in relazione con gli altri solo attraverso il linguaggio verbale, esso è certamente lo strumento più potente a disposizione degli esser umani per comunicare. Eppure, di lingua si parla poco, male e solo per criticare lo stato di ignoranza delle ragazze e dei ragazzi e i limiti della scuola. Si dice la scuola non insegna più a scrivere, non insegna più a leggere, esiste un lassismo diffuso, ah quando si leggevano i classici! quant’era bello quando il maestro sedeva in cattedra e insegnava tanta grammatica! e via con le critiche e i consigli, basati più che altro su ciò che la scuola dovrebbe essere secondo l’intervistato di turno.
Ma la scuola è una cosa seria, di cui bisogna parlare con competenza e non basandosi su osservazioni episodiche e fantasie nostalgiche. In queste pagine, allora, anziché unirci al coro di critiche, ci sembra più utile e sensato proporre la lettura di un testo che introduce ad alcuni principi teorici e didattici irrinunciabili sull’insegnamento e apprendimento linguistico, le Dieci tesi sull’educazione linguistica democratica scritte da Tullio De Mauro nel 1975, ma elaborate collettivamente dai soci del Giscel (Gruppo di intervento e studio nel campo dell’educazione linguistica).
L’interesse per questo testo nasce dalla sua straordinaria capacità di esprimere in modo chiaro una visione innovativa dell’apprendimento/insegnamento linguistico basato sullo sviluppo armonico di tutte le abilità espressive e di tutte le lingue conosciute dalle allieve e dagli allievi.
Lo sviluppo delle capacità verbali va promosso in stretto rapporto reciproco con una corretta socializzazione, con lo sviluppo psicomotorio con la maturazione ed estrinsecazione di tutte le capacità espressive e simboliche. (Tesi VIII, 1)
L’educazione linguistica inserisce l’insegnamento delle lingue in una prospettiva ampia, che tiene conto di tutti gli elementi che contribuiscono alla crescita degli allievi, non ultimi quelli materiali:
Un bambino sradicato dall’ambiente nativo, che veda poco o niente genitori e fratelli maggiori, che sia proiettato in un atteggiamento ostile verso i compagni e la società, che sia poco e male nutrito, inevitabilmente parla, legge, scrive male. Per parafrasare Bertolt Brecht diremo: «Prima la bistecca e la frutta, e dopo Saussure e le tecnologie educative». (Tesi II)
Tra i fattori determinanti per un buon successo educativo vi è la conoscenza da parte degli insegnanti del vissuto linguistico degli allievi, come uno dei punti di partenza di un’azione educativa inclusiva:
La scoperta della diversità dei retroterra linguistici individuali tra gli allievi dello stesso gruppo è il punto di partenza di ripetute e sempre più approfondite esperienze ed esplorazioni della varietà spaziale e temporale, geografica, sociale, storica, che caratterizza il patrimonio linguistico dei componenti di una stessa società: imparare a capire e apprezzare tale varietà è il primo passo per imparare a viverci in mezzo senza esserne succubi e senza calpestarla. (Tesi VIII, 4)
L’insegnamento linguistico tradizionale ha solitamente ignorato la storia linguistica degli studenti, dando per scontato che la classe fosse un tutto omogeneo e, nel caso fossero presenti allieve e allievi con lingue madri diverse dall’italiano, dialetti o altre lingue, si preferiva ignorarlo; si arrivava a credere che gli allievi dovessero addirittura dimenticare le lingue native per far posto all’italiano.
Oggi, molte ricerche scientifiche confermano pienamente ciò che affermano le Dieci Tesi: ostracizzare l’uso della lingua madre non è utile perché essa costituisce un ponte verso le altre lingue, tanto che i parlanti multilingue possono essere favoriti e non ostacolati nel processo di apprendimento. Del resto, il contatto con altre lingue non è un fenomeno eccezionale, ma la norma per la maggior parte dei parlanti del mondo. Basti pensare alla diffusione dei dialetti in Italia e al fatto che ancora oggi esiste un 14% di persone dialettofone esclusive e un 30% che alterna abitualmente l’uso del dialetto e dell’italiano. Dal punto di vista didattico, inoltre, la presenza di allievi di madre lingua diversa dall’italiano può essere una fonte preziosa di confronto, che può essere usato per riflessioni di tipo culturale oltre che linguistico e metalinguistico.
Ma il riconoscimento di tutte le lingue materne presenti in una classe ha un valore che va al di là degli aspetti puramente linguistici perché equivale a dare piena cittadinanza a tutte le culture degli allievi della classe. Solo questo garantisce il rispetto dell’articolo 3 della nostra Costituzione, citato nelle Dieci Tesi:
La pedagogia linguistica efficace è democratica (le due cose non sono necessariamente coincidenti) se e solo se accoglie e realizza i principi linguistici esposti in testi come, ad esempio, l’articolo 3 della Costituzione italiana, che riconosce l’eguaglianza di tutti i cittadini «senza distinzioni di lingua» e propone tale eguaglianza, rimuovendo gli ostacoli che vi si frappongono, come traguardo dell’azione della «Repubblica». (Tesi IV)
Ciò può avvenire, però, solo se il focus dell’azione didattica si sposta dall’insegnamento della lingua come oggetto astratto dei libri di grammatica alla lingua nei suoi usi concreti anche nel contatto con altre lingue. In altre parole, l’educazione linguistica alza gli obiettivi da raggiungere, perché imparare ad usare una lingua non vuol dire aumentare addizionalmente il numero di parole e/o costruzioni, ma modificare l’uso che se ne fa in relazione alle diverse esperienze comunicative, cogliendo differenze e corrispondenze sistematiche tra gli elementi verbali e contestuali in senso lato.
La vecchia pedagogia linguistica era imitativa, prescrittiva ed esclusiva. Diceva: «Devi dire sempre e solo così. Il resto è errore». La nuova educazione linguistica (più ardua) dice: «Puoi dire così, e anche così e anche questo che pare errore o stranezza può dirsi e si dice; e questo è il risultato che ottieni nel dire così o così». La vecchia didattica linguistica era dittatoriale. Ma la nuova non è affatto anarchica: ha una regola fondamentale e una bussola; e la bussola è la funzionalità comunicativa di un testo parlato o scritto e delle sue parti a seconda degli interlocutori reali cui effettivamente lo si vuole destinare, ciò che implica il contemporaneo e parimenti adeguato rispetto sia per le parlate locali, di raggio più modesto, sia per le parlate di più larga circolazione. (Tesi VIII, 10)
A tal fine, gli studenti devono poter parlare delle lingue e riflettere sulle lingue facendo affidamento ad un insieme di saperi metalinguistici che devono, però, essere appresi dalle allieve e dagli allievi come necessari per allargare il proprio raggio di azione linguistica sia come parlanti e scrittori sia come ascoltatori e lettori. L’educazione linguistica, infatti, non esclude affatto la riflessione grammaticale dal proprio orizzonte, anzi la include come strumento essenziale per capire i confini tra ciò che possibile e ciò che non lo è, a seconda dei contesti, delle modalità, degli obiettivi della comunicazione. La grammatica in tal modo non è più una conoscenza immobile e imparata una volta per tutte, ma cresce col crescere degli usi e diventa uno dei motori dell’apprendimento linguistico.
In conclusione, le Dieci Tesi insistono tanto sull’allargamento degli usi linguistici da proporre a bambine e bambini, ragazze e ragazzi quanto sull’arricchimento delle attività riflessive. L’obiettivo è quello di accrescere le competenze e i saperi linguistici rendendo gli allievi in grado di padroneggiare quanta più lingua e lingue possibili in quanti più contesti possibili: dagli usi familiari e informali a quelli formali e formalizzati. Solo in tal modo i nostri allievi diventeranno parlanti veramente competenti e cittadini capaci di agire linguisticamente in modo consapevole. L’educazione linguistica ha dunque necessariamente una vocazione democratica perché ha il compito di permettere a tutti e tutte di usare le parole giuste non solo per partecipare alla vita familiare e scolastica, ma soprattutto per essere partecipi della vita sociale, civile e politica del proprio Paese.
1 Commento
Elda Padalino 20 Ottobre, 2022
Grazie Miriam!
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