Giuliana Fiorentino
Università del Molise
Grammatica è una parola tanto avversata – dai più – quanto abusata. Molti di noi hanno ricordi non piacevoli associati a questa disciplina scolastica, ma allo stesso tempo in diversi campi del sapere la parola grammatica si usa per riferirsi alle nozioni di base, alle conoscenze che servono per l’avviamento a una qualunque disciplina o competenza: si parla di grammatica della musica, grammatica dell’economia, grammatica della cucina, grammatica della fantasia e così via.
In origine la parola grammatica in unione con tecnica (grammatikḕ technē), significava tecnica delle lettere, cioè tecnica del saper annotare le lettere per comporre la scrittura; è passata poi a significare la conoscenza delle regole per l’uso corretto della lingua in generale (e così la usiamo quando diciamo o scriviamo grammatica italiana, g. francese, g. russa; da come scrivi si capisce che non conosci bene la grammatica!). Per i linguisti la grammatica non indica solo l’insieme di regole da conoscere e applicare per usare in modo corretto una lingua (regole descritte nei libri di grammatica come una prescrizione a cui attenersi), ma più estesamente è l’insieme dei principi di funzionamento delle lingue, i quali sono acquisiti e applicati nel parlato in modo inconsapevole: ad esempio un bambino applica la grammatica della sua lingua materna, ricavandola dall’ascolto dei discorsi altrui, anche prima di andare a scuola e di apprendere la grammatica scolastica.
Dunque dobbiamo abituarci a concepire la grammatica delle lingue come più complicata di quanto non venga indicato in un libro di grammatica. Ad esempio, nessuna grammatica dell’italiano scrive esplicitamente che l’italiano – a differenza di altre lingue – utilizza estesamente il numero (singolare/plurale) e il genere (maschile/femminile) come caratteristiche da esplicitare sui nomi (per cui distinguiamo un nome singolare fiore e un nome plurale fiori, oppure un nome femminile giornata e un nome maschile tavolo) e che a partire dal numero e/o genere del nome si accordano di conseguenza l’aggettivo e/o l’articolo che a quel nome si riferiscono (una giornata invernale, i tavoli quadrati). Queste regole infatti sono applicate abbastanza facilmente da un madrelingua esposto con sistematicità alla lingua italiana. Se però confrontiamo l’italiano con l’inglese, ci rendiamo conto che l’accordo non è una ‘regola’ universale per tutte le lingue: l’inglese ad esempio non assegna il genere ai nomi, e non assegna né il genere né il numero all’articolo e agli aggettivi: a wintry day ‘una giornata invernale’, the squared tables ‘i tavoli quadrati’; ma anche wintry days ‘giornate invernali’, the squared table ‘il tavolo quadrato’.
Se accettiamo questa complessità, non sarà difficile scoprire anche altre particolarità in una lingua, e cioè che non esiste LA lingua italiana, unica e immutabile, ma che le lingue sono composte da diversi strati, che possiamo chiamare ‘varietà’ di quella lingua, e che strati differenti possono rispondere a principi di funzionamento diversi, quindi presentare delle grammatiche differenti. La nozione di grammatica che stiamo applicando è quella di descrizione di come funziona una varietà di lingua; varietà diverse possono mostrare regole diverse rispetto a quelle applicate nell’italiano standard, e le regole si ricavano dall’analisi di come i parlanti usano la lingua.
Ad esempio l’italiano parlato comunemente in contesto poco pianificato e poco sorvegliato, detto ‘varietà dell’italiano colloquiale’, può presentare particolarità grammaticali diverse rispetto alla ‘varietà dell’italiano scritto’ usato nei testi scientifici e di studio: una di queste è la preferenza accordata ad una frase relativa introdotta da che in tutti i casi (maledetto il giorno che ti ho incontrato; una persona che gli dai fiducia, poi ti aspetti che ti sia amica), laddove la lingua scritta distingue una relativa introdotta da che (Mario è la persona che vorrei presentarti; Il padre ha chiamato suo figlio, che è subito arrivato) e una relativa introdotta da cui preceduto da preposizione (il giorno in cui smetterò di aver fiducia in te, non ti farò guidare; la persona a cui occorre rivolgersi è l’assistente sociale). Da notare che nella seconda frase relativa introdotta da che dell’italiano parlato colloquiale (una persona che gli dai fiducia…) abbiamo utilizzato un altro elemento tipico di questo ‘strato della lingua’, e cioè il pronome maschile gli per riferirsi a un nome femminile (persona), laddove nello scritto useremmo le, o meglio ancora scriveremmo ti aspetti che una persona a cui dai fiducia poi ti sia amica. Nell’italiano colloquiale inoltre si preferisce ricorrere a un nome per racchiudere in una parola ‘statica’ il senso di un verbo (la correzione del tiro, la dimostrazione del problema, il possesso della palla) invece di utilizzare un’altra risorsa possibile in italiano (il correggere gli altri mentre parlano, il dimostrare che siamo tutti uguali, il possedere una casa al mare) e cioè l’infinito preceduto dall’articolo, che invece si incontra più facilmente nella varietà scritta. Allo stesso modo l’italiano colloquiale ammette, più spesso di quanto non faccia l’italiano scritto, un accumulo di elementi: si può trattare di congiunzioni – come nel ben noto caso delle due avversative ma però – oppure di concetti espressi doppiamente nel significato del verbo e nel significato di un avverbio aggiunto: entra dentro, sali su; oppure la ridondanza si osserva nella ripetizione di un elemento nella frase mediante un pronome: regalamela a me la tua macchina vecchia; telefonagli tu a Giampiero!
La coesistenza di diverse ‘grammatiche’ nell’italiano si manifesta anche molto chiaramente nel confronto tra lingua comune e varietà speciali o settoriali: un esempio molto evidente di distanza dalla lingua comune è quello della lingua giuridica (che comprende sia i testi normativi sia le scritture di chi svolge le professioni legali), una varietà di lingua che gode di lunga tradizione anche perché tipicamente è uno strato della lingua che si è sviluppato nella pratica scrittoria. Nella lingua giuridica si sono create delle regole di funzionamento che non potrebbero essere esportate facilmente in altre varietà dell’italiano. Innanzitutto si osservano ordini delle parole diversi da quelli normali: il participio passato con valore aggettivale viene spesso a trovarsi prima del nome: l’impugnata sentenza, l’avvenuto ricorso; il verbo viene collocato prima del soggetto: osserva il Collegio; ritiene la Corte; e anche altri aggettivi vengono posti prima del nome a cui si riferiscono: manifesta ubriachezza, generale divieto, il legale rappresentante laddove nella lingua ordinaria più spesso li troveremmo in posizione postnominale (opposizione manifesta, sciopero generale, ora legale). Il verbo nella lingua giuridica si trova più spesso alla forma impersonale (si stabilisce, si osserva), e spesso anche con la forma pronominale posposta e attaccata alla forma verbale (trattasi, vedasi). Sempre nell’ambito dei verbi, costituisce un’altra particolarità della grammatica della lingua giuridica l’uso del participio presente con pieno valore verbale, dimostrato dal fatto che il participio lega a sé un complemento (il fatto costituente reato; l’avente diritto, ricomprendente anche il p.m.), laddove la lingua comune usa il participio presente come nome (il presidente, il cantante) o come aggettivo (assente, presente, ubbidiente).
Infine possiamo considerare come effetto della applicazione e della coesistenza di grammatiche plurime nell’italiano l’esistenza di pronunce molto diverse della lingua parlata standard, pronunce che si colorano di tinte locali, regionali, e che ci consentono di riconoscere un milanese da un siciliano, un friulano da un veneto e da un toscano, un romano da un napoletano. In qualche caso si tratta del modo di realizzare le vocali, più o meno aperte, soprattutto la /o/ e la /e/ (ad esempio nelle parole cosa, foto, verde), in altri di una consonante che si distingue per una pronuncia particolare (si pensi alla pronuncia toscana della ‘c’ in Coca Cola), in altre infine nella pronuncia semplice invece che doppia delle consonanti o viceversa doppia di consonanti semplici (ad esempio guera, tera invece di guerra, terra oppure subbito invece di subito, accellerare invece di accelerare). Le particolarità regionali sono anche riconoscibili in alcuni tratti ricorrenti: l’uso dell’articolo davanti ai nomi propri si ritrova nella grammatica delle varietà settentrionali (ho invitato anche la Giulia e la Maria), mentre in varietà meridionali si osserva un altro tratto tipico, cioè l’uso della preposizione a davanti a un complemento oggetto se costituito da essere vivente (ho invitato anche a Giulia e a Maria). È interessante infine sottolineare che talvolta le regole diverse che si applicano in uno specifico strato della lingua, in contrasto con le regole della varietà più accettata, il cosiddetto standard, sono regole in altre lingue: in spagnolo standard, ad esempio, il complemento oggetto animato è regolarmente preceduto da a: José llama a Pedro y a sus amigos ‘José chiama Pietro e i suoi amici’.
Tutte queste considerazioni, ancorché rapide, ci invitano a osservare con maggiore attenzione e tolleranza la variabilità linguistica in cui siamo immersi e ci spingono a domandarci di volta in volta in quale varietà di lingua ci siamo imbattuti: la capacità di cogliere e usare varietà diverse di una stessa lingua è un buon esempio di sensibilità e ricchezza linguistiche.
Per approfondire
Berruto, Gaetano & Massimo Cerruti. 2019. Manuale di sociolinguistica. Nuova edizione. Torino: UTET.
Fiorentino, Giuliana. 2018. Variabilità linguistica. Temi e metodi della ricerca. Roma: Carocci.
Mortara Garavelli, Bice. 2001. Le parole e la giustizia. Divagazioni grammaticali e retoriche su testi giuridici italiani. Torino: Einaudi.
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