Giorgia Albertin, Gloria Gagliardi, Rema Rossini Favretti & Fabio Tamburini
Alma Mater Studiorum – Università di Bologna
Le demenze sono patologie neurodegenerative che comportano un declino cognitivo che progressivamente compromette la vita quotidiana dell’individuo, sino alla perdita totale dell’autonomia e al decesso. Con il termine declino cognitivo s’intende la perdita graduale di alcune funzionalità del sistema nervoso, che sono di fondamentale importanza nel corso della nostra esistenza. Nella sindrome d’Alzheimer, ad esempio, l’abilità cognitiva maggiormente compromessa è la memoria, in particolare la componente denominata episodica, che ci permette di richiamare eventi e informazioni legati ad uno specifico contesto temporale e spaziale (ad esempio il ristorante dove sono andato a cena dieci giorni fa, in quale occasione ho conosciuto un certo collega, oppure un appuntamento preso).
Alcuni tratti che caratterizzano gli stadi iniziali delle demenze potrebbero sembrare non molto differenti da quelli che accompagnano l’invecchiamento “normale”, che avviene in perfetta salute cognitiva: capita a tutti, con l’avanzare degli anni, di avere delle difficoltà nel ricordare i fatti accaduti. Dal punto di vista clinico e diagnostico, perciò, riconoscere i primi segnali della demenza non è un processo scontato: quelli che possono sembrare comportamenti naturalmente legati all’età possono rivelarsi invece i sintomi di una patologia gravemente invalidante per l’individuo, soprattutto dal punto di vista sociale, e altrettanto problematica nella sua gestione da parte delle famiglie di chi ne soffre.
Negli ultimi cinquant’anni, l’innalzamento dell’età media della popolazione mondiale ha causato un aumento dell’incidenza delle patologie neurodegenerative legate all’invecchiamento. Nel 2019, l’Associazione Internazionale Malattia di Alzheimer ha stimato un numero globale di casi di Alzheimer superiore ai 50 milioni, cifra che si ritiene destinata a triplicare per il 2050. A fronte di quella che rischia di diventare una vera e propria emergenza sanitaria, le spese sostenute dalla collettività per lo sviluppo di cure adeguate sono elevate. Tuttavia, le terapie spesso mostrano un’efficacia molto ridotta: ad oggi non esiste un trattamento efficace (e sicuro) in grado di rallentare la progressione della malattia (Livingston et al. 2020). Il motivo risiede in larga parte nell’esordio insidioso della malattia, che rende difficoltoso ottenere una diagnosi medica precisa e repentina: il processo di deterioramento neuronale ha infatti inizio molto prima della manifestazione esplicita dei sintomi.
La fase preclinica – cioè lo stadio intermedio tra l’invecchiamento normale e la vera e propria demenza – viene indicata dai neurologi con il termine Mild Cognitive Impairment (MCI): il paziente vive uno stato di fragilità cognitiva che però non si ripercuote nello svolgimento delle sue attività quotidiane. Quando compaiono i primi sintomi evidenti della malattia (che nel caso della sindrome d’Alzheimer spesso si manifestano in improvvisi vuoti di memoria e disorientamento), ormai il processo neurodegenerativo è giunto ad uno stadio avanzato. La diagnosi, quindi, arriva troppo tardi perché le cure possano avere gli effetti sperati. Sembra dunque evidente che, tra le possibili direzioni da intraprendere nella lotta alle demenze, si debbano impiegare risorse scientifiche e tecnologiche per individuare tempestivamente il declino cognitivo, al suo esordio: la comunità scientifica è infatti ottimista rispetto alla possibilità di sviluppare in un prossimo futuro interventi terapeutici e farmacologici (es. anticorpi monoclonali) che siano realmente in grado di rallentare o influenzare in maniera significativa il decorso della patologia se somministrati nelle fasi iniziali, con conseguente miglioramento della qualità di vita del paziente e di chi se ne prende cura.
In anni recenti, tra i canali preferenziali attraverso cui individuare precocemente il declino cognitivo, è emerso il linguaggio. Disturbi verbali di varia natura sono infatti attestati tra i sintomi di molte patologie neurodegenerative, tra cui il morbo di Parkinson e le demenze, fin dal loro esordio. Per quanto riguarda la sindrome di Alzheimer, la pronunciata compromissione della memoria causa, ad esempio, difficoltà evidenti a livello lessicale, accompagnati da velocità di eloquio rallentata, frequenti esitazioni, produzione di frasi corrette ma più brevi rispetto a quelle di un individuo sano e difficoltà generalizzate nella comprensione del contenuto del discorso. Deficit linguistici sono stati osservati caratterizzare anche negli stadi preclinici del disturbo.
In particolare, nei soggetti affetti da MCI si riscontrano difficoltà generalizzate nell’uso del linguaggio a scopo comunicativo (ambito che in linguistica viene chiamato pragmatico) e nella costruzione del discorso, che si presenta povero di significato, incoerente e confuso.
I test neuropsicologici standardizzati che vengono somministrati per diagnosticare la demenza comprendono delle batterie dedicate all’analisi del linguaggio. Tuttavia, i compiti tradizionali sono poco sensibili a lievi cambiamenti dello stadio cognitivo del paziente, indagano solo alcuni aspetti del linguaggio e sono molto dispendiosi in termini di tempo e denaro, fattori che non li rendono degli strumenti pienamente affidabili (Gagliardi & Tamburini 2021).
Nell’ambito della ricerca linguistica, gli studi computazionali (o Trattamento Automatico della Lingua – TAL), un settore all’incrocio con l’Intelligenza Artificiale che sfrutta l’impiego di tecnologie informatiche e statistiche per elaborare il testo scritto o parlato ai diversi livelli di analisi, hanno visto uno sviluppo eccezionale, grazie a nuove metodologie di Machine e Deep Learning. I compiti che si possono svolgere con queste tecniche sono molti, tra cui la traduzione automatica, il riconoscimento e la sintesi vocale, la creazione di sistemi di dialogo persona-macchina e molti altri ancora.
Le tecnologie del TAL presentano numerosi vantaggi che le rendono impiegabili anche in ambito clinico nell’analisi del linguaggio patologico (Beltrami et al. 2018). Innanzitutto, permettono di condurre l’analisi automatica della conversazione spontanea del paziente con un interlocutore, una situazione comunicativa percepita decisamente più naturale rispetto alla somministrazione di un test neuropsicologico. Sono inoltre in grado di monitorare un’ampia gamma di parametri che rilevano impercettibili modificazioni del flusso sonoro, non intercettabili dai test (ad esempio, variazioni nell’intonazione o nella qualità della voce) e, in generale, dall’orecchio umano (ad esempio, variazioni nella durata delle vocali o delle consonanti), lievi cambiamenti tramite cui discriminare lo stadio cognitivo di un soggetto MCI rispetto ad un coetaneo “sano”. Infine, si tratta di strumenti a basso costo e potenzialmente impiegabili nelle visite di controllo dai medici di base (Gagliardi & Tamburini 2021).
L’impiego delle tecnologie del linguaggio per lo screening preclinico delle patologie neurodegenerative ha visto una crescente diffusione negli ultimi anni, soprattutto in lingua inglese. Per quanto riguarda l’italiano, alcuni studi sono stati condotti presso l’Alma Mater Studiorum – Università di Bologna in collaborazione con l’IRCSS – Arcispedale S. Maria Nuova di Reggio Emilia.
Ad oggi, la ricerca ha coinvolto un gruppo di 96 soggetti di età compresa tra i 50 e i 75 anni: metà della coorte è composta da pazienti con diagnosi di MCI oppure demenza precoce, l’altra metà da coetanei con normale invecchiamento cognitivo. I partecipanti sono stati sottoposti ad un’intervista suddivisa in tre parti: la descrizione di una figura, il racconto di una tipica giornata lavorativa e il racconto di un sogno. Le sessioni di test sono state registrate e successivamente analizzate utilizzando una pipeline computazionale, ovvero una catena sequenziale di algoritmi finalizzati all’estrazione automatica di indici oggettivi (“Digital Linguistic Biomarker”) dello stato cognitivo del parlante. Il software è in grado di estrarre – direttamente dal file audio – 87 parametri linguistici (acustici, lessicali, ritmici, di leggibilità e sintattici) e demografici (età e anni di scolarizzazione). I dati risultanti sono infine stati impiegati per addestrare dei classificatori automatici con il compito di discriminare gli individui “sani” da quelli con uno stadio di deterioramento cognitivo in fase iniziale.
I risultati ottenuti sono molto promettenti: gli algoritmi riescono infatti a distinguere correttamente i soggetti con MCI nel 75% dei casi (Calzà et al. 2021). Inoltre la metodologia può essere applicata non solo per la rilevazione precoce delle demenze, ma anche per l’identificazione di disturbi del neurosviluppo (es. Disturbo Primario di Linguaggio e Autismo) oppure psichiatrici come l’Anoressia Nervosa (Cuteri et al. 2021; Gagliardi & Tamburini 2022).
Tuttavia, allo stato attuale delle ricerche, alcuni problemi restano ancora aperti. La priorità è sicuramente la raccolta di una quantità elevata di dati, per raffinare le analisi già condotte e soprattutto per integrare nel sistema algoritmi di classificazione più complessi, come, per esempio, le reti neurali profonde, attualmente impiegate in sistemi informatici all’avanguardia in moltissimi settori. Dal punto di vista linguistico, inoltre, vi sono numerosi altri parametri da poter potenzialmente prendere in considerazione: ad esempio, si potrebbe tentare di “quantificare” la coesione la pertinenza delle informazioni contenute nei testi prodotti dai pazienti, oppure esplorare le micro-alterazioni che interessano la voce fin dalle prime fasi della patologia.
L’applicazione delle tecnologie del linguaggio per la rilevazione del declino cognitivo è quindi un ambito che promette interessanti sviluppi: gli esperti del settore sono ottimisti che in un futuro non troppo lontano l’uso dei sistemi di classificazione automatica possa entrare a far parte della prassi medica per supportare il personale medico nella diagnosi precoce.
Per approfondire
Beltrami Daniela, Gagliardi Gloria, Rossini Favretti Rema, Ghidoni Enrico, Tamburini Fabio, Calzà Laura. 2018. Speech analysis by Natural Language Processing techniques: a possible tool for very early detection of cognitive decline? Frontiers in Aging Neuroscience, 10. 369.
Calzà Laura, Gagliardi Gloria, Rossini Favretti Rema, Tamburini Fabio. 2021. Linguistic features and automatic classifiers for identifying Mild Cognitive Impairment and dementia. Computer Speech & Language, 65. 101-113.
Cuteri Vittoria, Minori Giulia, Gagliardi Gloria, Tamburini Fabio, Malaspina Elisabetta, Gualandi Paola, Rossi Francesca, Moscano Milena, Francia Valentina, Parmeggiani Antonia. 2021. Linguistic feature of anorexia nervosa: a prospective case–control pilot study. Eating and Weight Disorders – Studies on Anorexia, Bulimia and Obesity. 27. 1367–1375.
Gagliardi Gloria, Tamburini Fabio. 2021. Linguistic biomarkers for the detection of Mild Cognitive Impairment. Lingue e linguaggio, 20(1). 3-3.
Gagliardi Gloria, Tamburini Fabio. 2022. The Automatic Extraction of Linguistic Biomarkers as a Viable Solution for the Early Diagnosis of Mental Disorders. Proceedings of the Thirteenth Language Resources and Evaluation Conference. 5234-5242.
Livingston Gill, Huntley Jonhatan, Sommerlad Andrew, Ames David, Ballard Clive, Banerjee Sube, Brayne Carol, Burns Alistair, Cohen-Mansfield Jiska, Cooper Claudia, Costafreda G. Sergi, Dias Amit, Fox Nick, Gitlin N. Laura, Howard Robert, Kales C. Helen, Kivimäki Mika, Larson B. Eric, Ogunniyi Adesola, Orgeta Vasiliki, Ritchie Karen, Rockwood Kenneth, Sampson L. Elizabeth, Samus Quincy, Schneider S. Lon, Selbæk Geir, Teri Linda, Mukadam Naaheed. 2020. Dementia prevention, intervention, and care: 2020 report of the Lancet Commission. Lancet. 396(10248). 413-446.
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