Luca Lorenzetti
Università della Tuscia
La Repubblica ha avviato di recente sul proprio sito la pubblicazione di una serie di brevi video intitolata Parole in corso. In ogni puntata Stefano Massini, prolifico e premiato scrittore fiorentino, autore teatrale e monologhista televisivo, racconta per due o tre minuti l’origine o la storia di una parola italiana per lui particolarmente interessante. Progetto intelligente e plausibile: l’etimologia è forse il settore più travagliato della divulgazione linguistica, e sicuramente quello in cui la differenza tra affermazioni fondate e fantasie bislacche è la più difficile da percepire da parte dei non specialisti. Idea interessante, anche, per le implicazioni pratiche che la scelta dell’esposizione parlata impone al testo: abbandono delle informazioni minute trasmissibili solo attraverso lo scritto, ad esempio i dettagli sui suoni delle parole coinvolte, e di conseguenza scelta di parole di cui chi vede il video possa apprezzare la storia anche senza leggerla. Infine ma non da ultimo, idea che sarebbe utilissima – tocca passare al condizionale – anche sul piano della prima informazione: come sanno non solo gli specialisti, ma chiunque abbia letto un’introduzione all’etimologia italiana, in rete non esiste un repertorio affidabile di etimologie. Ne esiste bensì uno inaffidabile, il Vocabolario etimologico della lingua italiana del senatore Ottorino Pianigiani, disponibile, con annesso motore di ricerca, a www.etimo.it. E ne esiste uno abbastanza affidabile (il Grande dizionario della lingua italiana di Salvatore Battaglia, digitalizzato e offerto da Utet a www.gdli.it), che però ha sezioni etimologiche molto sintetiche, inutilizzabili quindi come fonte immediata per narrazioni distese e accattivanti.
Ottima iniziativa dunque, che meriterebbe in teoria un sincero benvenuto. Un grande editore incarica una persona esperta, aggiornata sullo stato dell’arte e in grado di consultare criticamente repertori e bibliografia specialistica, di scegliere storie di parole interessanti e di presentare al grande pubblico, in modo nuovo e gradevole, notizie che sarebbe impossibile trovare altrove in rete.
Poi uno guarda i video, e capisce che in pratica è successo altro. Massini (oppure l’autore dei suoi testi, due figure che qui assumeremo coincidere) ha scelto come fonte preferita proprio il Pianigiani. Forse perché è passato del tempo dai suoi esami di storia della lingua italiana, filologia romanza o glottologia, gli saranno sfuggiti i giudizi di Dino Pieraccioni (“malsicuro spesso, quando non errato ed arbitrario”), Carlo Battisti (“inadoperabile”) e Carlo Tagliavini (“dilettantesco e infido”). Forse per il livello introduttivo ed elementare, deve aver trascurato anche il bel volumetto di Alessandro Parenti, intitolato Etimologie, uscito a marzo 2020 per il Corriere della sera: “Il suo Vocabolario etimologico della lingua italiana, del 1907, ha ogni tanto qualche buona intuizione, ma in generale è un lavoro approssimativo, oltre che nato già vecchio. La sua immissione nella rete (http://www.etimo.it) oggi probabilmente lo rende la prima fonte di informazione etimologica per l’italiano. Per finalità un minimo serie si raccomanda di cercare sempre una seconda fonte”.
Parenti ha ragione: escludiamo pure apriori che Massini consideri men che serie le finalità del proprio lavoro, ma certo una seconda fonte gli avrebbe evitato parecchi granchi. Il latino amor, da cui l’it. amore, non deriva, come ripete Massini, “da un’antica radice della lingua sanscrita, della lingua indoeuropea, che era in qualche modo la radice kam-”. A parte il fatto che sanscrito e indoeuropeo non sono la stessa cosa (il Pianigiani diceva, meglio, “dalla radice sanscrito-zenda”, lasciando da parte la protolingua), i laureati in lettere antiche, ai quali Massini appartiene, imparano a lezione di glottologia che se una parola indiana inizia con k– il suo corrispondente latino inizierà di regola con c- e quello germanico con h- (la regola è più complicata, ma qui non serve altro). E infatti la radice che ha dato in antico indiano kama ‘amore, desiderio’ in latino ha dato carus ‘amato’ e in tedesco Hure ‘puttana’. È falso, quindi, che la parola amore abbia la stessa origine della parola Kamasutra, come invece racconta il relativo video. Con buona pace dello spunto narrativo, che peraltro come si vede non mancherebbe certo se si partisse dalla realtà (aspettiamo magari il video su carezza). Il latino latro, da cui it. ladro, non “deriva in realtà da un’antica radice della lingua sanscrita che ha qualcosa a che fare col bottino, con la preda”: com’è ovvio, non esistono parole latine che provengano dal sanscrito. Né il lat. latro (e quindi ladro) ha qualcosa a che fare con lat. lucrum (e quindi con lucro, come pure si dice nel video su ladro): è uno dei tanti errori ripetuti dal Pianigiani, e bastava – ma serviva – saper leggere un dizionario etimologico latino per correggerlo.
Ci sono poi casi meno netti, ai quali chi ha giudizio dovrebbe applicarlo. Se una parola non ha un’origine certa, forse in un video sul web sarà meglio non raccontarla. Se tutti gli etimologici aggiornati scrivono che il lat. pestis (da cui l’it. peste) è “di etimo ignoto”, “di origine incerta”, “privo di confronti sicuri”, forse sarà meglio non rilanciare in rete l’idea di una sua affinità con peior e pessimus, anche se essa si trova su fonti accreditate (benché invecchiate). Meglio forse essere prudenti ed evitare di confondere i ginnasiali con un ipotetico pestus ‘ciò che è tendente alla rovina, ciò che ti danneggia, ciò che ti porta alla morte o al tramonto di ciò che hai’ (il significato, così complesso ed embricato, è un’illazione originale del nostro autore). Soprattutto se di questo presunto sinonimo regolare di malus non c’è traccia in latino; e almeno il Pianigiani avvertiva trattarsi di parola “inusitata”. Ma per giudicare, come si diceva, sarebbe necessario consultare criticamente bibliografia specialistica, cosa che Massini, con tutta evidenza, non ha fatto, coi risultati che si sta dicendo. (Per completezza, va detto che non tutte le etimologie dei video sono errate; e comunque Massini sbaglia qua e là anche senza l’aiuto del Pianigiani: non ha preso da lì, ad esempio, la nota favola secondo cui l’espressione a ufo deriverebbe dalla sigla AVF “ad urbis fabricam”, scritta sui carretti che portavano materiali alla fabbrica di San Pietro).
È bene a questo punto chiarire una questione importante. Qui non stiamo recensendo un lavoro scientifico. Il nostro autore, ormai è chiaro, non è uno studioso né un esperto di storia linguistica o di etimologia, e non avrebbe senso criticare nel dettaglio le affermazioni che lui si limita a ripetere come può. Stiamo criticando, invece, il fatto che affermazioni del genere siano presentate per buone in una rubrica divulgativa, o aspirante tale. Il tema, in altre parole, è la qualità minima della divulgazione linguistica, e in questa chiave proviamo a concludere il nostro discorso con qualche spunto di discussione.
Il fatto che uno scrittore, laureato in lettere antiche e attivo e apprezzato nelle lettere moderne, possa pensare in buona fede di essere all’altezza di un lavoro specialistico, per cui non è qualificato, non dovrebbe essere liquidato in toto come un episodio marginale di pressappochismo, un mero inciampo nella storia professionale di un singolo. In un certo senso Massini è un sintomo, non solo una concausa del problema. Egli rappresenta in maniera esemplare una serie di idee, evidentemente piuttosto diffuse, che è opportuno cercare di oggettivare prima di valutarle come positive o negative e di proporre eventuali rimedi.
Innanzitutto, ovviamente, c’è l’idea generale che per parlare di temi umanistici non serva conoscere il mestiere, cioè la singola materia specifica, ma basti saper trovare le informazioni. La nostra vicenda mostra, se non altro, che il mestiere consiste anche nel saper distinguere le informazioni buone da quelle stantie. C’è da dire che relativamente alla linguistica questa idea non è nuova, e non è nuova nemmeno la sede editoriale che la manifesta: della “linguistica della «Repubblica»” parlò quindici anni fa Michele Loporcaro, in un articolo che purtroppo pare ancora attuale.
Connessa con la precedente è l’idea che si possa parlare di lingue, parole e storia senza prima andare in biblioteca, senza sfogliare fisicamente pagine di libri. Sappiamo tutti bene che lavorare in remoto, leggendo testi di ogni epoca sul computer, è molto più facile oggi di quanto non fosse ancora dieci anni fa. Eppure, i controlli che sono serviti per scrivere le righe più su sono stati fatti in buona parte su libri digitali (l’etimologico di Nocentini e Parenti, ad esempio), ma in non piccola parte, e inevitabilmente, anche su volumi di carta. (Sento già vociare di pandemia e biblioteche serrate, col che si torna al punto precedente: se gli anni non hanno portato sugli scaffali di casa tua una decina di dizionari etimologici, forse non sei la persona giusta per divulgare etimologie). Che non ci sia un impedimento teorico alla digitalizzazione universale non significa poi che manchino impedimenti pratici, a cominciare dalla convenienza economica. Sia come sia, il caso in questione mostra bene anche il danno che comporta, per le nostre materie, pensare oggi di poter fare a meno di libri e biblioteche.
Ma più insidiosa e forse più centrale nel provocare le conseguenze di cui si sta discorrendo è l’idea che tutto sommato la storia delle parole sia un campo aperto, libero da recinti, che le opinioni personali possano scorrazzarvi indisturbate, e che si possa continuare a credere al motto attribuito a Voltaire: l’etimologia è quella scienza in cui le vocali non contano niente e le consonanti valgono ben poco. Le cose non stanno più così. In quasi due secoli di onorato servizio la glottologia ha elaborato una solida serie di test, che ci permettono di limitare le ipotesi fantasiose e di ricostruire invece la storia e l’origine remota di molte parole con un certo rigore.
Tuttavia, questa falsa percezione resiste, mentre la realtà dei fatti appena esposta non riesce a imporsi al di fuori delle cerchie degli specialisti: non si insegna affatto a scuola, si insegna sempre più raramente all’università, per ragioni che meriterebbero un discorso a parte. Tra l’altro, non esiste per la grammatica storica quella dimensione normativa che invece, purtroppo, resta preponderante nella grammatica scolastica e, di conseguenza, nella percezione comune di ciò che può considerarsi ‘corretto’ in fatto di lingua. Sospetto che se Massini avesse usato nelle sue schede un “piuttosto che” congiuntivo, se gli fosse scappato nei titoli “un’errore” di ortografia, sarebbe venuto giù il Twitter. Se invece le infarcisce di errori di storia, se ne accorgono in pochi e in fondo non interessa a nessuno.
Perché il punto è questo: qui di errori si tratta, non di opinioni personali, più o meno indifferenti ed equiprobabili. Da una parte abbiamo enunciati scientifici, corroborati da una serie nutrita di osservazioni empiriche e consegnati a repertori autorevoli e aggiornati, a cui fanno riferimento – all’occasione anche per discuterli e migliorarli – non solo gli specialisti ma tutti gli studiosi seri. Dall’altra abbiamo una serie di affermazioni fantasiose e infondate, del tutto false in molti casi, invecchiate e quindi superate (di secoli, non di mesi) in molti altri. Immaginiamo di cliccare su un video in cui ci si vuole convincere, seriamente, che la terra è piatta e il sole ci gira intorno. Guarderemmo subito il prossimo video, certo, ma per continuare a ridere, non per imparare qualcosa.
Mostrare al grande pubblico che l’etimologia e la storia delle parole sono discipline affascinanti e rigorose, e affascinanti perché rigorose, sarebbe un ottimo programma editoriale. Le Parole in corso di Repubblica restano, per adesso, molto al di sotto del compito. Mentre scrivo (20 settembre 2020) le schede pubblicate sono 45: non poche in assoluto, ma una goccia nel mare vasto del lessico italiano. C’è da sperare per il futuro.
7 Commenti
Lucilla Lijoi 30 Settembre, 2020
Anche su Instagram esistono alcune belle pagine dedicate all’etimologia! Significato Radicale, Dolcemare Etymology, Etimologicamente…
Luca Lorenzetti 09 Ottobre, 2020
Grazie mille del commento e dei suggerimenti, che confesso non conoscevo: belli tutti, alcuni – a prima vista – anche abbastanza aggiornati. Tuttavia, forse non ancora propriamente accessibili al cd. “grande pubblico”?
In ogni caso, da «ab ‘da’» a «ēryngē/ēringion ‘eringio’» il problema di chi non ha biblioteche a disposizione, o voglia di andarci, è risolto da ieri: i cinque volumi A-E finora pubblicati del “Lessico etimologico italiano” sono consultabili online a http://www.lei-digitale.org/.
Risolto per modo di dire s’intende: il dizionario è ordinato per basi latine e non per parole italiane (o dialettali), quindi non è immediato da consultare anche per chi è pratico della faccenda. Tuttavia, almeno per quella sezione alfabetica il salto in avanti per l’etimologia italiana in rete è enorme.
Astraftis 30 Settembre, 2020
Eccellente articolo! Siamo di nuovo di fronte sostanzialmente a un caso di dilettante allo sbaraglio, come ben spieghi. La cosa che mi lascia sempre basito comunque è che, pur il Pianigiani dicendo chiaramente “parallelo a”, “corrispondente a”, eccetera, non c’è niente da fare, automaticamente tutte le parole sono “derivate dal sanscrito”. Cosa che trovo allucinante, perché mi sembra che ci siano proprio problemi di comprensione del testo.
Una domanda: mi sapreste consigliare qualche fonte che fa una disamina del Pianigiani? Io l’ho sempre usato in parallelo con altre fonti, ma devo dire che lo trovo usabile cum grano salis (ma la cosa più bella rimangono le definizioni delle parole in quell’italiano antiquato ).
Luca Lorenzetti 09 Ottobre, 2020
Grazie!
Quanto al Pianigiani, al di là del gusto antiquario che dici direi che ormai non abbia più niente da offrire, e che invece possa ancora far molto danno, come s’è visto. Il grano di sale puoi usarlo se hai davanti almeno un’alternativa seria, il che nella maggior parte dei casi in quel vocabolario non succede. (Della novità del LEI in rete dico nel commento a Lucilla qui sopra).
Bruno Mazzoni 05 Ottobre, 2020
Un esempio eloquente di approssimazione, in cui sia il committente, sia il soggetto che riceverà un qualche compenso, si lanciano avventurosamente nel vuoto.
Luca Lorenzetti 09 Ottobre, 2020
Proprio così. Personalmente più che l’esecutore, che pure qualche responsabilità ce l’ha, mi preoccupa il committente, che ha ben altro peso nell’orientare il discorso pubblico e che, come hai visto, sul tema specifico è tenacemente recidivo.
Nicolò 04 Novembre, 2022
Salve. Bell’articolo.
In due anni non mi pare sia cambiato molto.
Sono un super dilettante d’etimologia e sono anni che mi chiedo come mai non esista un sito decente che contenga un dizionario moderno di etimologia italiana o, per lo meno, delle voci sintetizzate sulla base di fonti attendibili.
È un problema di diritti?
O più semplicemente non c’è nessuno competente che abbia voglia di farlo?
In inglese c’è https://www.etymonline.com/: per carità, sicuramente sarà un sito dilettantistico, ma in ogni caso molto utile per orientare il grande pubblico.
Possibile che in Italia non si riesca a produrre nulla anche solo allo stesso livello? Con tutti gli umanisti che abbiamo?
Qual è la vostra opinione?
Grazie
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