Franco Fanelli
Per una migliore valutazione della rivoluzione infotelematica che caratterizza la fase attuale dei nostri processi sociali può essere utile qualche riflessione su tecnologie apparentemente sorpassate come la tipografia. La novità delle nuove tecnologie è stata così prorompente ed eccezionale che taluni studiosi, soprattutto nel campo della didattica, si sono spinti a contrapporre la validità e l’efficacia dei nuovi strumenti multimediali ai noiosi libri fatti solo di parole. In questo articolo cercheremo di mostrare, allora, che non c’è alcuna frattura tra vecchio e nuovo e che anzi si tratta di processi in pacifica continuità.
Negli ultimi decenni antropologi culturali e storici della cultura soprattutto di origine anglosassone hanno realizzato studi di notevole interesse dedicati alla scrittura e alla stampa per esaminare le modalità con cui gli strumenti del conoscere hanno influenzato i processi e i prodotti della conoscenza. In tale ambito di studi un discorso a parte merita certamente la straordinaria ricerca condotta da Elizabeth L. Eisenstein (1983) sulla tipografia. Ci riferiremo a essa innanzitutto per capire meglio come valutare lo smisurato aumento del contatto ‘più diretto’ con persone, luoghi, oggetti, eventi e opere d’arte, che i mezzi di riproduzione visiva e sonora oggi permettono e che le tecnologie digitali amplificano. Non c’è dubbio che l’ondata di informazioni che si sta abbattendo sulla società darà luogo ad uno sviluppo straordinario delle nostre conoscenze. Ma ciò è assolutamente in linea con quanto già accaduto molti secoli or sono.
Le rivoluzioni del libro
L’invenzione della stampa da parte di Johannes Gutenberg intorno al 1450 ha certamente avuto ripercussioni in campo culturale, sociale, economico e politico, ma secondo Eisenstein il lavoro degli studiosi per molto tempo non ha tenuto in sufficiente conto come in concreto la stampa abbia influenzato molti eventi storici. Ad esempio, mentre è stata normalmente accreditata la relazione tra la stampa e l’affermarsi nel XVI secolo della Riforma protestante, non tutti riuscivano a vedere nello specifico che l’impatto vertiginoso e l’incredibile diffusione delle famose Tesi di Wittenberg, redatte da Martin Lutero, fu dovuto proprio alla possibilità di riprodurle in un considerevole numero di copie, di tradurle e stamparle in lingue locali; né che tutto ciò creò una circolazione delle informazioni e una pubblicità delle idee luterane del tutto inedite.
Tra le ricadute che si verificarono in campo culturale vi è l’abitudine alla lettura e la conseguente profonda modificazione della memoria collettiva che non ebbe più bisogno di ausili mnemonici sia fonico-acustici (come le rime o la versificazione) sia visivo-immaginativi (come i cosiddetti ‘luoghi della memoria’). La vita degli studiosi, poi, venne radicalmente mutata dall’improvviso maggiore accesso ad un numero di libri impensabile prima. Un intellettuale, stando alcuni mesi comodamente seduto in casa propria, avrebbe potuto studiare più libri di quanti ne avrebbe potuti leggere un dotto medievale in un’intera vita di viaggi alla ricerca di documenti. . Qui non ci occuperemo delle numerose rivoluzioni indotte dall’avvento della stampa. Ne approfondiremo solo un aspetto che ci collega fortemente all’attualità e che Eisenstein cita più volte: la modificazione del rapporto testo/immagine. Esso fu cruciale per il progresso delle conoscenze e della ricerca scientifica perché introdusse all’interno della cultura occidentale un nuovo e più avanzato processo comunicativo.
Il seguente passo lo illustra in modo esemplare:
Le scienze di osservazione furono in tutte le età degli amanuensi continuamente danneggiate dalla separazione delle parole dalle immagini e delle definizioni dalle cose. L’incertezza su quale stella, pianta o organo umano erano designati da un dato diagramma o trattato – come il problema di quale linea costiera era stata avvistata da una nave in mare – tormentò gli studiosi per tutta l’età degli amanuensi (Eisenstein 1995, p. 214)
In sostanza la precedente cultura amanuense era incessantemente minacciata dall’incertezza della relazione tra ciò che si diceva e ciò di cui si parlava. Nell’epoca della riproduzione manuale dei testi spesso nelle trascrizioni i termini del discorso venivano alterati, ma soprattutto non vi era alcuna garanzia che una qualunque illustrazione potesse essere riprodotta con esattezza. I sistemi di riproduzione, basati su matrici di legno, erano molto primitivi e la decadenza delle immagini era maggiore di quella dei testi. In pratica le mappe, le tavole, le illustrazioni dell’età pre-tipografica hanno sempre sofferto dell’impossibilità di essere trasmesse attraverso tecniche di comunicazione efficaci.
Per tutto il Medioevo il problema non fu semplicemente la scarsa qualità delle immagini con le quali si tentava di riprodurre la realtà, ma l’incertezza che la loro scarsa qualità provocava in rapporto al discorso che si voleva fare.
Contrariamente a quanto talvolta si dice, gli studiosi medievali avevano un reale interesse per i fenomeni naturali, ma semplicemente mancavano di adeguati strumenti che consentissero loro di capitalizzare le osservazioni fatte e di confrontare le diverse opinioni sullo stesso oggetto o evento.
Secondo Eisenstein la correlazione costante fra commento e illustrazione costituisce uno dei fattori propulsivi della rivoluzione scientifica del ‘500 ed è ancora largamente sottovalutata anche per discipline come la geografia.
Solo con l’era tipografica la perizia di abili disegnatori fu sfruttata per produrre e riprodurre mappe e disegni. È emblematico il fatto che tutte le circa 600 carte geografiche, prodotte tra il 300 e il 1300 e sopravvissute fino ai giorni nostri, non risultano iscrivibili in un processo di sviluppo. Solo dopo l’inizio dell’era tipografica la correlazione costante tra la descrizione del luogo e la sua riproduzione consentì la raccolta sistematica dei dati, la loro progressiva correzione e, quindi, la realizzazione di un’immagine veritiera del mondo. Un meccanismo analogo a quello che abbiamo visto per la geografia innescò lo stesso circolo virtuoso in tutte le scienze della natura. Fu possibile, cioè, cominciare ad elaborare repertori di animali, piante, luoghi etc. nei quali l’illustrazione svolgeva un suo specifico ruolo di fonte informativa autonoma e, nello stesso tempo, di referente certo di un discorso ad essa associato. infatti, nessuna definizione verbale di una pianta o di un animale potrebbe metterci nelle condizioni di riconoscerli in natura meglio di una loro fedele riproduzione visiva.
La stampa, dunque, permise che nei testi si esprimesse una correlazione certa tra discorso e referente. E questa fu la spinta principale che condusse alla Rivoluzione scientifica e al Rinascimento.
Per concludere diciamo allora che la stampa è stata una prima manifestazione di ‘multimedialità’, intesa come possibilità di riprodurre tecnicamente aspetti diversi della realtà e riproporli sotto forma di messaggi nei quali linguaggi eterogenei (verbali e iconici) potevano integrarsi tra loro.
Un mondo di sole parole?
Se con la stampa la relazione tra definizioni e oggetti è potuta divenire costante e condivisa da molti, se si è sviluppato un modo più oggettivo di osservare il mondo ed è potuta nascere la scienza moderna, come si è potuta diffondere l’idea che i libri costituiscano solo un universo di parole che rimandano a parole?
La convinzione che i testi scritti siano inutili e verbosi si presenta in maniera ricorrente e ha dato luogo ad una contrapposizione pretestuosa e fuorviante tra l’efficacia comunicativa dei mezzi multimediali e la presunta vacuità delle pagine di testo. Già negli anni Settanta dello scorso secolo con l’avvento e la diffusione delle tecnologie audiovisive si sono cominciati a denigrare i libri, tacciati spesso di scarsa efficacia comunicativa.
Simili considerazioni provengono certamente da una valutazione parziale del ruolo che la stampa ha giocato nella costruzione di una visione del mondo più oggettiva e aderente ai fatti, ma non si può negare che alla loro base vi sia un fondamento reale. Non dobbiamo dimenticare, infatti, che la costanza delle correlazioni che si istituisce grazie alla stampa non riguarda solo il rapporto testo/immagini, ma anche il rapporto testo/testo. Spesso in un libro stampato, a conforto di una affermazione si porta non un’illustrazione o un fatto osservato, ma un altro testo.
Ora, se altre parole stampate possono essere utilizzate come dimostrazione per una tesi che si vuole sostenere, ciò è dovuto essenzialmente al fatto che il libro stampato ha acquisito nel tempo un’autorità sempre maggiore, in quanto la sua informazione è pubblica, costante, controllabile.
Sennonché l’eccezionale espansione dell’universo della ricerca scientifica in campi disciplinari sempre più numerosi fa sì che non tutte le osservazioni riportate nei libri vengano sottoposte agli opportuni riscontri. Perciò, accade sempre più frequentemente che vi siano citazioni di osservazioni che hanno acquisito validità per il solo fatto di essere state stampate. Dunque, il meccanismo della citazione bibliografica è un’arma a doppio taglio: se non viene usato con la dovuta accortezza getta discredito sull’autore del libro e sulla stampa in generale.
Un esempio molto pertinente di come la stampa possa contribuire a dare validità ad un’errata interpretazione dei fatti e al perpetuarsi nel tempo di un errore è illustrato in maniera esemplare in un articolo di A.A. Hill (1952) riguardante le opinioni errate sulle lingue primitive che per molto tempo linguisti e antropologi hanno sostenuto.
Il grande glottoantropologo Giorgio R. Cardona (1985: 44) segnala e riassume così l’interessante ricerca di Hill:
La sopravvivenza delle idee preconcette sulle lingue primitive è dovuta al fatto che esse si ripetono da un autore all’altro senza che nessuno senta il bisogno di verificare sui dati a lui disponibili la veridicità dell’affermazione. (…). Ancora in un libro del 1951 S. Ullmann ripete che il cherokee ha termini per ‘lavarsi’, ‘lavare qualcun altro’ etc…, ma non per il solo ‘lavare’. Ullmann prende l’esempio da un manuale di O. Jespersen (1922) ma evidentemente senza controllarlo (…). Jespersen attingeva da un’opera di divulgazione del Sayce (1874) (…). Sayce cita la sua fonte, che è Pickering che aveva pubblicato un articolo in proposito tra il 1820 e il 1830; al Pickering le forme venivano, tramite un amico, dal reverendo G.S. Buthrick (1789-1851), e qui la catena, che è stata pazientemente ricostruita da A.A. Hill si ferma.
In pratica per effetto di cinque rimandi bibliografici si passa da osservazioni sulla lingua dei Cherokee fatte dal missionario Buthrick all’inizio dell’Ottocento ai commenti del noto linguista ungherese Stephen Ullmann della metà del Novecento. Il risultato è che in questo modo si è tramandata per 130 anni la falsa idea che la lingua dei Cherokee non possedesse termini generali ed astratti e che questo fosse il riflesso di una ‘mentalità pre-logica’ che veniva così surrettiziamente attribuita a quella popolazione indiana.
Cardona cita questo esempio per dimostrare come in etnolinguistica vi sia stato un ritardo nello sviluppo dell’osservazione empirica dei fatti linguistici. Se invece si esamina l’evento sotto il profilo che ci interessa, si può comprendere come proprio da dinamiche di questo genere possa prendere le mosse l’idea che una cultura che si nutra solo di testi stampati nel tempo possa generare distorsioni profonde nell’interpretazione della realtà.
La tipografia è una tecnologia multimediale
Anche se la cultura tipografica ha esaltato la funzione della scrittura e spesso si è proposta in una chiave decisamente solo monomediale, non è giusto valutare il ruolo della stampa all’interno della storia e del sistema delle nostre comunicazioni a partire dalle degenerazioni a cui può, in certe circostanze, aver dato luogo.
Infatti, nonostante talvolta la credibilità delle notizie e delle affermazioni presenti in testi stampati venga meno, come dimostra l’esempio appena riportato, possiamo dire con certezza che grazie alla stampa si è sviluppata una nuova esperienza del mondo. La riproducibilità tecnica, che essa incorpora, ha prodotto per la prima volta una forma di accertamento della realtà da cui è conseguita la fabbricazione dei primi mattoni di un universo virtuale tuttora in costruzione. In altri termini, la stampa ha contribuito in modo decisivo a costruire l’immagine di quel mondo di cui noi abbiamo un’esperienza solo indiretta ma della quale non dubitiamo minimamente. Anche se fisicamente non siamo mai stati in Polinesia, nessuno di noi, anche prima dell’avvento di Google Earth, ha mai dubitato della sussistenza di tale arcipelago; anche se non abbiamo mai incontrato un giaguaro o visto un baobab attribuiamo a questi esseri lo stesso tipo di realtà dell’albero collocato davanti alla nostra casa quando non lo stiamo osservando.
Dunque, la stampa è stata la prima grande tecnologia della conoscenza che ha permesso a un vasto pubblico di avere un’idea precisa e circostanziata del mondo e dei suoi processi attraverso la mediazione della parola e dell’immagine.
Insomma, nella stampa è insita una multimedialità che fa parte del nostro modo di concepirla. Essa ha nel tempo costituito, anche attraverso istituti come gli archivi e le biblioteche, quel sistema di rimandi che è parte integrante del nostro universo conoscitivo. La facilità e l’economicità con cui oggi le tecnologie digitali consentono di effettuare riproduzioni visive e sonore si istituisce nel solco di questa tradizione e culturalmente si tratta dell’amplificazione di un fenomeno in atto da secoli.
Dunque, nonostante la stampa abbia dato luogo alla creazione di milioni di libri, quindi a fiumi di parole e nonostante, proprio per questo, sia talvolta tacciata dai propugnatori delle nuove tecnologie di aver costituito un mondo fatto solo di parole che rimandano a parole, ha dato in realtà un gigantesco impulso ad una conoscenza più diretta del mondo, a una conoscenza cioè non mediata da parole. O meglio, non solo da parole, giacché, come si sa, delle parole proprio non si può fare a meno.
Per approfondire
Cardona, Giorgio R. 1985. Introduzione all’etnolinguistica. Bologna: il Mulino.
Eisenstein, Elizabeth L. 1995. Le rivoluzioni del libro. L’invenzione della stampa e la nascita dell’età moderna. Bologna: il Mulino [ed. orig. The printing revolution in early modern Europe, Cambridge, Cambridge University Press, 1983].
Hill, Archibald A. 1952. A note on primitive language. International Journal of American Linguistics 18. 172-177.
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