Miriam Voghera
Università degli Studi di Salerno
Nelle ultime settimane il Ministro dell’Istruzione e del merito, Valditara, ha anticipato alcuni dei contenuti relativi all’insegnamento dell’italiano delle nuove Indicazioni nazionali e Linee guida per la scuola, che sembra verranno varate al più presto. In un intervento nella trasmissione di Rai 1, Cinque minuti del 17 gennaio, ha sostenuto che è necessario “ridare significato alla grammatica”, che, a suo dire, “negli ultimi cinquant’anni è stata svalutata”, perché “la grammatica è cultura della regola, è sapersi esprimere, entrare in relazione con l’altro”. Qualche giorno dopo, il 26 gennaio, in un articolo del quotidiano Domani abbiamo potuto leggere un’altra affermazione del Ministro, che precisa ancora meglio il suo pensiero: “La cultura della regola inizia dallo studio della grammatica. In particolare, è importante trasmettere all’allievo, fin dall’inizio, la consapevolezza del valore della correttezza linguistica e formale, dell’ordine e della chiarezza nella comunicazione” (link, consultato il 6 febbraio).
A prima vista, le dichiarazioni di Valditara sono banali. Mi pare di poter dire che, secondo il Ministro, un obiettivo prioritario della scuola dovrebbe essere quello di insegnare ad allieve e allievi a sapersi esprimere, entrare in relazione con l’altro e comunicare con chiarezza. Ora, non so quanto il ministro conosca delle attuali Indicazioni nazionali e Linee guida o della pratica didattica effettiva, ma qualcuno avrebbe dovuto informarlo del fatto che questi nuovi obiettivi sono già ampiamente previsti nei documenti in vigore e, direi, condivisi da tutti i docenti. Non solo. Come è facile vedere dall’esuberante editoria scolastica, sia nella scuola primaria sia nella secondaria inferiore e superiore non mancano certo libri di grammatica, che, infatti, sono normalmente adottati nelle classi italiane.
Ma allora perché il Ministero sente il bisogno di insistere su questi punti? L’idea di Valditara, a quanto pare, è che gli obiettivi linguistici enunciati non siano sempre raggiunti perché non si insiste abbastanza sull’insegnamento delle regole grammaticali, che, a loro volta, dovrebbero funzionare da modello per l’insegnamento al rispetto delle regole tout court. Per ragioni di spazio, sorvolerò su quest’ultimo aspetto di natura etica, interessante, ancorché molto discutibile, per concentrarmi su quello linguistico.
Il termine grammatica può indicare almeno due cose: (1) i meccanismi di funzionamento di una lingua che i parlanti interiorizzano fin dalla nascita e che permetteranno loro di parlare e comprendere gli enunciati degli altri; (2) le descrizioni che si fanno di questi meccanismi. Le due accezioni di grammatica vengono spesso confuse una con l’altra o sovrapposte come fossero la stessa cosa, ma il rapporto tra le due accezioni non è evidentemente necessario perché la grammatica (1) di una lingua esiste indipendentemente dall’esistenza di una sua descrizione (grammatica (2)). Ora parrebbe che la convinzione, che è implicitamente sottesa alle affermazioni di Valditara, è che una lingua si impari attraverso un catalogo di regole di grammatica nell’accezione (2). In altre parole, una lingua si impara come le formule per le aree dei poligoni.
Questa visione semplicistica e riduttiva dell’apprendimento linguistico non tiene conto del fatto che la grammatica, nell’accezione (1), è parte della competenza linguistica di ogni bambina e bambino fin dai primi anni di vita. Fin dalla prima infanzia si ha consapevolezza dell’esistenza di meccanismi regolativi della lingua, senza aver mai visto un libro di grammatica. Molto prima che sui banchi di scuola, la funzione metalinguistica si sviluppa e cresce col crescere dell’acquisizione del linguaggio, attraverso i “si dice…” e “non si dice…” dei parlanti più competenti, ma anche dei coetanei, e i “che vuol dire…” dei piccoli. Come ogni altra porzione della facoltà del linguaggio, le abilità metalinguistiche possono crescere, raffinarsi e, soprattutto, applicarsi a livelli di complessità e profondità maggiori: ciò avviene in parte naturalmente man mano che aumenta la quantità e la varietà degli usi linguistici che padroneggiamo, in parte attraverso una riflessione guidata.
È bene ricordare che la riflessione guidata ha le sue origini già nel naturale dialogo che si instaura tra piccoli apprendenti e parlanti più competenti e anch’essa non è appannaggio esclusivo dell’insegnamento scolastico. È questo un punto importante, perché la bambina o il bambino che affronta la sua prima ora di grammatica non va considerato tabula rasa e/o terreno vergine, non solo per l’ovvia considerazione che qualunque uso linguistico presuppone una grammatica, ma perché ha già sviluppato naturalmente delle categorie interpretative di tipo metalinguistico.
Ciò non vuol dire naturalmente che ci si debba fermare alle intuizioni delle bambine e dei bambini, ma dalle numerose esperienze didattiche risulta chiaro che l’osservazione guidata dai docenti di esempi e testi rafforza le competenze metalinguistiche di allieve e allievi e li avvia verso il riconoscimento delle regole. Dall’osservazione guidata si passa alla riflessione guidata che dovrà avviare la costruzione consapevole di un vocabolario tecnico e di una grammatica attiva che non sia, cioè, un catalogo di saperi depositati dalla tradizione, ma che sia capace di crescere col crescere delle esigenze linguistiche e che permetta di inserire ogni nuova esperienza comunicativa in un contesto organico, sfruttando le diverse situazioni comunicative come occasione di un apprendimento permanente.
Questa abitudine all’osservazione e alla riflessione metalinguistica, differenziata a seconda delle età delle alunne e degli alunni, porta al riconoscimento di un’altra differenza tra lingua e matematica. Le formule che calcolano l’area di un quadrato sono sempre valide sia che le usino bambine o bambini della primaria sia adulti, sia che le si usi per calcolare l’area di un appezzamento di terra o quella di una piscina. In questi casi non esiste “l’incertezza della regola”. Nelle lingue le cose sono più complicate.
Esistono alcune aree della grammatica che sono governate da regole non negoziabili; per esempio, nella grammatica dell’italiano il nome governa l’accordo in genere e numero dell’articolo: il cane, le mele, ma non la cane, la mele. Esistono, però, altre aree, molto ampie, in cui coesistono più forme possibili per una stessa costruzione. Un buon esempio è l’espressione del periodo ipotetico dell’irrealtà. Immagino che secondo Valditara esista una regola che garantisce l’uso corretto, ma probabilmente si stupirebbe nello scoprire che fin dalle origini, anche in Dante, Machiavelli, Bembo e altri letterati del passato, sono presenti diversi modi di esprimere il periodo ipotetico dell’irrealtà, come ha ampiamente documentato, tra gli altri, uno studio del presidente dell’Accademia della Crusca, Paolo D’Achille (1990). Possiamo, infatti, trovare: (a) se fossi venuto, avresti visto, trapassato congiuntivo della protasi e condizionale passato dell’apodosi; (b) se venivi, vedevi, imperfetto indicativo sia nella protasi sia nell’apodosi; (c) se venivi, avresti visto, imperfetto indicativo nella protasi e condizionale passato nell’apodosi; (d) se fossi venuto, vedevi, congiuntivo trapassato nella protasi e imperfetto nell’apodosi. A parte la prima, le altre forme vengono normalmente ritenute scorrette e sono sanzionate come casi di errori gravi sia nello scritto sia nel parlato di alunne e alunni. Ma perché allora vengono usate? Come mai proprio queste e non altre?
L’opzione Valditara è quella di imporre la regola secondo cui solo la forma (a) è quella giusta; un’opzione scientificamente motivata è invece quella di spiegare che le forme (b)-(d) si giustificano col fatto che l’imperfetto italiano può funzionare come un modo verbale che esprime ipotesi, irrealtà, indeterminatezza (Bertinetto 1988; Bazzanella 1994). Questo spiega molti altri usi che non vengono ugualmente stigmatizzati: per esempio, in frasi come Dovevamo incontrarci qui, ma non è venuto, in formule di cortesia, “Desiderava?” “Volevo un etto di prosciutto”, negli usi dei bambini quando giocano, Facciamo che per finta eravamo due pirati ecc. Insomma, l’imperfetto può sostituire il congiuntivo e il condizionale in molti contesti tra cui anche il periodo ipotetico dell’irrealtà perché ne condivide alcuni valori modali.
Attenzione! Sappiamo che a questo punto la Professoressa di Didattica e pedagogia speciale Loredana Perla, presidente della Commissione per la riforma delle Indicazioni nazionali e Linee guida, è pronta ad accusarci di incoraggiare, sulla base delle Dieci tesi per un’educazione linguistica democratica, l’abolizione della grammatica, voluta da Tullio De Mauro (link). Ma poiché abbiamo dedicato alla grammatica gran parte dei nostri studi, pensiamo di saperci difendere sulla base di fatti.
In primo luogo, le Dieci tesi non hanno mai nemmeno lontanamente voluto eliminare lo studio della grammatica (1) e mi chiedo come si sia creato questo equivoco. Volendo escludere la malafede, mi chiedo se per caso nella copia delle Dieci tesi a sua disposizione non si siano perse le tesi VIII-X, dalle quali si evince chiaramente che la prospettiva in cui esse si muovono, al contrario, incoraggia uno studio approfondito dei meccanismi grammaticali reali della lingua. Quello che invece si lamenta nelle Dieci tesi è lo scollamento tra la grammatica (1) e le varie grammatiche (2) per la scuola, che allora circolavano.
Tornando al nostro esempio del periodo ipotetico dell’irrealtà, non basterà dare una regola perché le bambine e i bambini si approprino veramente del suo uso. Bisognerà far capire il perché ci possono essere tante forme diverse e quando queste sono o non sono adeguate. La tradizione della scrittura formale ha da sempre privilegiato la forma (a) con il congiuntivo nella protasi e il condizionale nell’apodosi, ed è certamente necessario che ci si impadronisca di quest’uso. Tuttavia, poiché negli usi informali bambine e bambini, adolescenti, insegnanti e, chissà, forse anche il Ministro Valditara e la Professoressa Perla, talvolta usano il doppio imperfetto, sarà necessario spiegare come mai questo è possibile e in quali contesti non è inadeguato: perché essere padroni di una lingua vuol dire saper scegliere in modo consapevole gli usi giusti nel contesto giusto.
Educare alla scelta consapevole è tanto più necessario per quelle bambine e quei bambini o adolescenti che per storia personale hanno avuto esperienze linguistiche limitate e quindi non sono stati abituati alla possibile scelta linguistica. In questi casi la riflessione metalinguistica guidata ha una funzione ancora più importante perché non è solo osservazione del già noto per rivelarne le proprietà e funzioni, ma è anche rivelazione di forme linguistiche nuove, che si deve imparare a conoscere e ad apprendere da zero.
In conclusione, ci pare di poter dire che lo studio della grammatica (1) non solo è utile ma è anche necessario purché non sia un mero apprendimento di regole avulso dalle conoscenze già in possesso delle alunne e degli alunni. La funzione metalinguistica, e le abilità che ne derivano, sono parte della naturale e spontanea crescita linguistica perché per imparare una lingua, anche quella materna, non è sufficiente essere esposti a una pluralità di stimoli verbali: è del tutto evidente che la ricchezza linguistica non è funzione solo della quantità, ma della qualità d’uso. Imparare una lingua non vuol dire infatti aumentare addizionalmente il numero di parole e/o costruzioni note, ma piuttosto ridisegnare continuamente i confini della grammatica della lingua che si sta imparando, in relazione alle diverse situazioni comunicative, cogliendo corrispondenze sistematiche e relazioni non casuali tra gli elementi linguistici e tra questi e il contesto extralinguistico. Solo in tal modo gli stimoli verbali, qualsiasi essi siano, potranno essere funzionalizzati in una rete sistematica di elementi linguistici, contestuali e culturali. Le abilità metalinguistiche sono necessarie per cogliere i confini tra varianza e invarianza nei sistemi linguistici di cui ci si sta impadronendo e ciò vale sia per la lingua madre sia per le lingue che si apprendono successivamente. In altre parole, le abilità metalinguistiche rappresentano il collante tra esperienze linguistiche diverse, poiché è attraverso di esse che i parlanti costruiscono l’intelaiatura necessaria a collocare parole nuove o usi nuovi delle stesse parole in un insieme coerente.
In tal modo è chiaro che per “ridare significato alla grammatica”, come il Ministro vorrebbe, non bisogna adottare affatto la cultura della regola, ma anzi incoraggiare l’osservazione e l’esplorazione della grammatica (1) in atto nei diversi contesti concreti, per arrivare alla scoperta e co-costruzione di una grammatica (2) condivisa, che educhi a scegliere come comunicare in modo chiaro ed efficace. Questo è l’insegnamento di Tullio De Mauro, questo è ciò che è scritto nelle Dieci tesi per un’educazione linguistica democratica.
1 Commento
Sparta Tosti 13 Febbraio, 2025
Semplicemente bellissimo. Grazie grazie
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