Chiara Lanzoni
Alma Mater Studiorum – Università di Bologna
Da tempo, grazie alla spinta di associazioni come il GISCEL (Gruppo di Intervento e Studio nel Campo dell’Educazione Linguistica) e delle Dieci Tesi per l’educazione linguistica democratica, il mondo della scuola sta tentando di aprirsi al concetto di variazione linguistica. Questo legame è, almeno nella teoria, chiaramente visibile nei Programmi scolastici. Infatti, a partire da quelli del 1979 per la scuola secondaria di primo grado, fa capolino l’etichetta «educazione linguistica», con il timido ma rivoluzionario intento di muovere la didattica in questa direzione anche nella pratica. Allo stesso modo la normativa vigente, le Indicazioni Nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo del 2012, ribadiscono a più riprese proprio l’importanza della lingua dell’uso vivo e reale e delle sue varietà. Queste premesse, che pure gettano basi importanti per la questione, non tengono conto di quello che, come sempre, è il passaggio dalla teoria alla pratica. Come hanno fatto presente già diversi studiosi, come Serianni (2007) e Sobrero (2019), stiamo vivendo, piuttosto, un momento di regressione verso un modello conservatore e normativo, già caro alla scuola, in cui la variazione non trova spazio se non nella documentazione ufficiale.
Ma quindi… è davvero possibile portare la variazione linguistica in classe? Con la voglia di rispondere positivamente a questa domanda, sono tornata a scuola in una nuova veste. In particolare, all’interno di un tirocinio curricolare svolto in una scuola secondaria di primo grado, ho proposto quattro attività, focalizzate sulla diamesia e sulla diafasia. Per quanto riguarda la diamesia, e quindi, sinteticamente, il canale o il mezzo tramite il quale avviene la comunicazione, ho proposto alle classi terze la rielaborazione di alcuni passi chiave de I Promessi Sposi che i ragazzi hanno riscritto in forma di chat di WhatsApp; alle classi prime, invece, ho proposto la rielaborazione di alcuni testi di miti greci in forma di copioni teatrali. Per quanto riguarda invece la diafasia, e quindi, ancora più sinteticamente, la situazione comunicativa in tutti i suoi aspetti (registro, argomento…), ho proposto alle classi seconde due attività: nella prima abbiamo riscritto il regolamento scolastico controllandone l’indice di leggibilità prima e dopo, mentre nella seconda i ragazzi hanno riconfigurato alcune fiabe tradizionali tenendo conto di alcune modifiche di registro. Tutte le sperimentazioni didattiche hanno seguito una medesima struttura: un modulo teorico iniziale ed introduttivo, la richiesta di un primo feedback sotto forma di piccoli esercizi insieme o questionari, la divisione in gruppi con l’aiuto degli/delle insegnanti per sfruttare il cooperative learning, l’attività vera e propria, la discussione collettiva in cui le classi sono state chiamate a spiegare e giustificare le proprie scelte e, infine, la somministrazione di un questionario di gradimento rispetto al progetto sia per gli studenti che per i professori. La scelta di fare lavorare i ragazzi in piccoli gruppi è nata, soprattutto, nell’interesse di un recupero della socialità in seguito ai lunghi anni di DAD che l’avevano compromessa. Per potere, però, capire la forza anche inclusiva di questo tipo di approccio, lascerei la parola ai ragazzi stessi:
“Sono troppo contento di questo lavoro. Spesso io mi sento stupido perché gli altri prendono bei voti ma io mai, solo sei al massimo. A volte ci piango per sta cosa perché mi sento diverso e non in grado di andare alle superiori… Oggi però è cambiato tutto. Io sono molto bravo con il computer e la tecnologia, mi piace proprio e so tante cose. Di solito non posso sfruttare sta cosa a scuola, ma oggi sì. Grazie al mio lavoro grafico ho fatto trionfare il mio gruppo che ha fatto uno dei lavori best. Sono orgogliosissimo e spero di lavorare ancora a gruppi e con lavori così così non mi sentirò più ‘sfigato’”
“Ero molto emozionata all’idea di lavorare in gruppo. Io sono molto ansiosa e ‘perfettina’ e mi ha tolto molta pressione sapere che il risultato dipendeva da tutti e non solo da me. Mi sono sentita bene perché spesso gli altri mi prendono un po’ in giro perché prendo sempre dieci, ma in questo progetto tutti mi volevano nel loro gruppo”.
In aggiunta ad un sentimento generale evidentemente positivo, anche nelle attività vere e proprie i ragazzi hanno dimostrato di aver compreso appieno gli snodi teorici e variazionistici che venivano loro di volta in volta presentati. I loro lavori sono stati, nella maggior parte dei casi, davvero interessanti e ben realizzati, ma, soprattutto, linguisticamente consapevoli.
In questo senso, vorrei portare ad esempio alcune delle chat realizzate dalle classi terze nel progetto di riscrittura de I Promessi Sposi. Questo lavoro si è prestato particolarmente bene alla rielaborazione da parte degli studenti, la quale ha richiesto un’attualizzazione tanto della lingua (da quella del romanzo all’italiano corrente) quanto del mezzo (dal libro a WhatsApp). Tra gli episodi più apprezzati dagli studenti primeggia la storia di Gertrude, la Monaca di Monza (capp. IX-X). La sua, infatti, è la storia di una bambina il cui futuro era stato deciso dalla famiglia già nella più tenera età: era primogenita, ma femmina, e per questo sarebbe diventata suora. È il racconto di una giovane donna che prova, invano, a cambiare strada, ad uscire dalla vita monastica nella quale non si riconosceva, a trovare l’amore e ad opporsi al suo cinico padre. È, in ultimo, la storia di una monaca che, pur in convento, rimane ribelle: non si veste come le altre, non parla come le altre e, soprattutto, non si comporta come nessun’altra. È proprio a questo episodio che fanno riferimento queste prime chat:
Già queste sole immagini offrono numerosi spunti: intanto, l’idea di creare questo gruppo tra “sorelle” con il quale tenersi in contatto durante l’assenza dal monastero. Infatti, le studentesse sono state in grado non soltanto di realizzare una chat coerente con l’età e le emozioni delle protagoniste, ma hanno anche creato un pretesto narrativo in grado di muovere la storia. Oltre al gergo giovanile ed all’utilizzo di emoji e stickers, le paure e le speranze di ragazze ventenni alle prese con il proprio futuro sono interpretate ed espresse molto bene. Nell’ultima chat è chiaramente visibile come la scrittura tramite applicativi di messaggistica istantanea sia estremamente vicino al parlato, tanto che non si scrive più̀ solo utilizzando la scrittura alfabetica, ma ci sono modi diversi per esprimere un concetto senza necessariamente verbalizzarlo. In particolare, qui vediamo una giovane Gertrude mandare un messaggio ad un padre severo (non a caso la giovane lo salva in rubrica ironicamente: Padre (Quello che mi vuole Monaca)), tanto cinico e autoritario che legge il messaggio e non risponde, barricandosi in un silenzio che per la giovane vale davvero più̀ di mille parole. Volendo, con uno sforzo interpretativo, vestire i panni di qualunque ragazza della stessa età̀ di Gertrude, si raggiungerebbe la consapevolezza di quanto questo «visualizzato senza risposta» sia un messaggio già̀ di per sé chiarissimo. Riscrivere in modo coerente e corretto un brano così famoso non è certo semplice e presuppone una comprensione approfondita di tutti i diversi livelli del testo.
Un altro episodio su cui ci siamo particolarmente soffermati è quello della notte degli imbrogli e dei sotterfugi (cap. VIII): si tratta del momento in cui Renzo e Lucia, frustrati dal rifiuto di don Abbondio di sposarli, decidono, con l’aiuto di alcuni amici e parenti, di organizzare un matrimonio a sorpresa proprio a casa del curato che, preso alla sprovvista, non avrebbe più potuto rifiutare.
Anche nelle chat di questo secondo gruppo ritroviamo un tipo di gergo e di lingua coerente con l’età̀ e con l’estrazione sociale dei personaggi coinvolti. È interessante, ancora una volta, l’idea di creare un gruppo, attività̀ oggi molto comune tra tutti gli utenti delle app di messaggistica per facilitare la comunicazione in simultanea tra più̀ persone. Questo gruppo in particolare nasce per permettere ai protagonisti di organizzare il loro tentativo di matrimonio a sorpresa. Ritroviamo diversi appellativi gergali come ‘vez’ o ‘regas’, geograficamente imprecisi[1], ma adatti al contesto. Molto interessante e ironica l’allusione ad un programma molto seguito dalle signore dell’età di Agnese oggi: «Signorotti e Signorotte», precursore fittizio del celeberrimo format «Uomini e Donne».
Gli ultimi episodi di cui si presenta un esempio si posizionano alla fine del romanzo e riguardano l’arrivo della peste. Il primo è il tradimento di don Rodrigo da parte del Griso (cap. XXXIII). Il capo dei Bravi, infatti, capisce che il padrone si è ammalato e, dopo averlo rassicurato, si accorda con i monatti per farlo portare via e ottenere così le sue ricchezze. Il secondo, invece, è il momento in cui Renzo (cap. XXXIV), nella disperata ricerca di Lucia, bussa ad una porta ma indugia troppo a lungo con le mani sul batacchio e viene accusato dalla folla di essere un untore.
[1] Si tratta infatti di espressioni del gergo giovanile dei ragazzi emiliano-romagnoli e non lombardi come invece erano i protagonisti del romanzo.
Per approfondire
Ballarè, Silvia, Goria Eugenio & Mauri Caterina. 2022. Italiano parlato e variazione linguistica. Teoria e prassi nella costruzione del corpus KIParla. Bologna: Patròn Editore.
Cantoni, Paola & Fresu, Rita. 2020. Altri modelli per l’insegnamento della variazione: riflessioni teoriche e proposte didattiche. Italiano LinguaDue (1).991-1006.
Comoglio, Mario & Maini Pierpaolo. 1995. Il cooperative learning a scuola. Orientamenti pedagogici (42). 461-490.
De Mauro, Tullio. 2018. L’educazione linguistica democratica. Bari-Roma: Laterza.
Dieci Tesi per l’educazione linguistica democratica. In De Mauro, Tullio. 2018. L’educazione linguistica democratica. Bari-Roma: Laterza. 269-280.
MIUR. 2012. Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e della scuola del primo ciclo, a norma del DPR 89 del 20 marzo 2009. Firenze: Le Monnier.
Perissinotto, Alessandro (a cura di). 2003. I Promessi Sposi. Con espansione online. Torino: Paravia.
Serianni, Luca. 2014. L’italiano a scuola. In Cantoni, Paola & Tatti, Silvia (a cura di), Lettere in classe. Percorsi didattici del TFA di area letteraria della Sapienza. Roma: Sapienza Università̀ Editrice. 15-26.
Sobrero, Alberto. 2019. Norma e variazione, nella società e nella classe. In Moretti, Bruno et al. (a cura di), Le tendenze dell’italiano contemporaneo rivisitate – Atti del LII Congresso Internazionale di Studi della Società Linguistica Italiana. Milano: Officinaventuno. 369-383.
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