Stefania Cavagnoli e Francesca Dragotto
Università di Roma “Tor Vergata”
Si scrive sessismo, si legge la vita segnata dal proprio sesso, fin dalla nascita. Una riflessione sulla parola sessismo e su molti aspetti ad esso collegati, a partire dal ruolo del linguaggio e della lingua nella rappresentazione cognitiva del mondo che ci ha spinte a scrivere questo volume. Il punto di partenza delle nostre riflessioni è proprio stata la parola ‘sessismo’. Con un’analisi dei principali dizionari abbiamo impostato la ricerca, confrontando i diversi lemmi, che descrivono la parola, introdotta nella lingua italiana negli anni Settanta come calco dall’inglese. Ma il concetto di sessismo è intrinseco alla nostra società ben prima della sua registrazione nei dizionari. Il sessismo è una forma di discriminazione fra le persone sulla base del sesso e del genere di appartenenza. È un modo di considerare il mondo in maniera asimmetrica, nella quale il punto di riferimento è l’uomo e la donna un suo ‘completamento’. Oggi parliamo di discriminazione sessista anche verso persone che si considerano non binarie; una discriminazione legata comunque sempre al sesso e al genere. Si tratta di un concetto più facilmente definibile che riconoscibile nelle azioni quotidiane.
La discriminazione si esprime in primo luogo attraverso la lingua, che è una costruzione politica, frutto di relazioni sociali, una convenzione sociale necessaria per una buona comunicazione. Un confine per la comunità linguistica, una sicurezza, ma allo stesso tempo una gabbia se con il tempo ed il mutare delle esigenze sociali non si modifica. Se cambiano i paradigmi di riferimento, i valori condivisi dalla società, cambia necessariamente anche l’espressione linguistica, o la connotazione delle parole. Si pensi al concetto di famiglia oggi e cinquant’anni fa. La parola è rimasta la stessa, ma il significato si è ampliato e differenziato, perché deve essere rappresentativo del mutamento della realtà nel corso degli anni.
Ciò che aiuta il permanere del fenomeno sessista è una ‘visione del mondo’ che attribuisce a una persona non soltanto determinate qualità, ma anche specifici ruoli, in virtù della sua appartenenza a uno dei due generi sessuali. Una visione che si costruisce appena arrivati nel mondo, attraverso gli stimoli del contesto in cui cresciamo.
La riflessione sul ruolo che il linguaggio ha per l’imprinting linguistico che bambine e bambini subiscono dalla nascita porta esempi concreti sulle abitudini e le reazioni dei contesti sociali in cui si usa la lingua. Sia sulla base di fonti scientifiche, sia con esempi concreti presi dall’interazione linguistica, a partire da quella sui media, cerchiamo di mettere in evidenza aspetti che i/le parlanti considerano ‘normali’, scontati, ma che invece non lo sono ed anzi, perpetuano la visione sessista del mondo.
Il primo passo per modificare il sessismo è esserne consapevoli: riconoscerlo, e combatterlo attraverso un uso adeguato della lingua. Benché il sessismo non sia solo un problema linguistico, nel nostro lavoro mettiamo al centro proprio questo aspetto, consce che spesso invece esso viene posto in secondo piano, mentre dal nostro punto di vista è centrale. Cerchiamo così di dimostrare, partendo da esempi concreti di tipologie testuali differenti, come la parola sia centrale nella costruzione di rapporti non sessisti: non solo nei social, ma anche nei testi giuridici, che sostengono la parità e l’uguaglianza di tutte le persone, ma che poi nella realtà, a partire proprio da come sono redatti, ricostruiscono un mondo al maschile. Nel confronto interculturale e interlinguistico a livello internazionale ci si sofferma sui testi normativi che sostengono l’uso del femminile nell’interazione, e che riconoscono il valore della parola nella comunicazione. Anche a livello nazionale i testi giuridici esistono, l’aspetto formale è rispettato; quello che invece manca spesso è l’aspetto sostanziale. E l’aspetto dei diritti e della loro protezione è in continuo movimento e adeguamento; le leggi a partire dallo stalking, per arrivare alla protezione da slut shaming e body shaming ne sono la realizzazione, anche linguistica.
Il discorso sessista quindi come un linguaggio d’odio, sempre più aggressivo, con sempre meno tabù valoriali. L’ausilio del discorso mediatico, che consta anche di un supporto iconografico, con immagini, video, emoticon, contribuisce ad aumentare la violenza che i messaggi concretizzano. Sebbene si tratti di una dimensione scritta, quindi rispondente a determinate caratteristiche di maggior rigore, di maggior riflessività e correttezza ortografica, tali messaggi urlano come se fossero parlati. Con l’evidente protezione data dalla mancanza del corpo dell’emittente, corpo che invece è sempre al centro degli insulti sessisti rivolti alla destinataria.
Che fare per modificare la situazione? Per limitare o cancellare il sessismo? Il punto di partenza è sicuramente l’educazione: educazione familiare e educazione linguistica, nel senso di educazione linguistica democratica. In ciò le scuole, di ogni ordine e grado, sono centrali. Insegnare ad essere nominati/e significa insegnare ad essere rispettati/e, ad esistere, ad avere un posto nel mondo. Crescere consapevoli del peso delle parole e di come esse siano uno strumento formidabile per disegnare la realtà, sulla base di valori democratici significa realizzare le parole, concretizzarle in relazioni positive e rappresentative.
Tale crescita va sostenuta dalla stampa e dalle istituzioni, sia con protocolli e atti normativi, sia, soprattutto, attraverso un esempio costante e coerente di buona lingua, non sessista, e rispettosa delle persone e della comunità sociale. Un esempio di cittadinanza e di democraticità.
Per approfondire
Cavagnoli, Stefania & Francesca Dragotto. 2021. Sessismo. Milano: Mondadori.
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