Francesca Strik-Lievers
Università di Genova
Tutti noi lo abbiamo sperimentato: quando abbiamo il naso “tappato” per il raffreddore non solo non sentiamo, ovviamente, gli odori, ma il cibo sembra avere tutto lo stesso sapore, e può non essere facile distinguere un boccone di pollo da uno di salmone o di formaggio. Questo perché nella formazione del sapore di quello che mangiamo l’olfatto ha un ruolo fondamentale, e averlo momentaneamente fuori uso può impedirci di riconoscere e apprezzare ciò che abbiamo in bocca. Può essere d’aiuto vedere il cibo, sentirne la consistenza e persino il rumore che fa quando lo mastichiamo. Quello del cibo è infatti un tipico esempio di esperienza multisensoriale. Più in generale, i sensi spesso interagiscono nel formare la nostra percezione del mondo che ci circonda, cooperano e si influenzano a vicenda.
Se l’interazione fra sensi è la norma, alcune persone esperiscono connessioni sensoriali atipiche: si tratta delle persone che presentano una condizione chiamata sinestesia, dal greco syn ‘con, insieme’ e aisthesis, ‘percezione’. Esse, per esempio, vedono un certo colore quando sentono una certa nota musicale, o provano specifiche sensazioni tattili quando sentono specifici sapori (vanno sotto il nome di sinestesia anche connessioni atipiche non esclusivamente sensoriali, come la percezione di colori innescata da lettere dell’alfabeto, numeri, giorni della settimana).
Questo ci porta a parlare di fatti linguistici. Perché è proprio dalla rara condizione della sinestesia che, all’inizio del ventesimo secolo, prende il nome la sinestesia che si studia a scuola nel novero delle figure retoriche: in entrambi i casi si ha a che fare con connessioni fra sensi, anche se su piani diversi, quello percettivo nel primo e quello linguistico nel secondo. In linguistica, è infatti chiamata sinestesia un tipo di metafora caratterizzata dal combinare, tipicamente attraverso una relazione attributiva come quella fra nome e aggettivo, espressioni linguistiche che si riferiscono a diverse modalità sensoriali (vista, olfatto, tatto, ecc.).
Usa metafore sinestetiche, per esempio, Eugenio Montale quando scrive di un’amara oscurità (Stanze 39-40, ne Le occasioni), un’oscura voce (Mediterraneo, VIII, 12-13, in Ossi di seppia), un acre sibilo (Vecchi versi, 36, ne Le occasioni). Con amara oscurità Montale parla di un’esperienza visiva (oscurità) qualificandola con un aggettivo relativo al gusto (amara). Usando una terminologia diffusa negli studi sulle metafore, possiamo dire che la vista è il dominio sensoriale target, quello su cui l’espressione amara oscurità verte, e che viene descritto attingendo al gusto come dominio sensoriale sorgente: la direzione del trasferimento metaforico è dunque gusto → vista. In oscura voce la direzione è vista → udito, e in acre sibilo è gusto → udito.
Alcune correnti letterarie hanno fatto un uso particolarmente intenso e creativo di sinestesie. È il caso del Romanticismo inglese, nella cui poetica le questioni sensoriali erano centrali, al punto che John Keats, in una lettera del 1817 all’amico Benjamin Bailey, dichiarava di auspicare “una vita di sensazioni anziché di pensieri”. Anche i testi pubblicati nell’ambito di molte avanguardie, come il futurismo, evocano frequentemente esperienze percettive e intrecciano sensi diversi, come quando Marinetti descrive l’aurora con una molteplicità di espressioni sinestetiche che associano percezioni visive e uditive: fanfare di carminio, scoppi di scarlatto, tamtam di azzurro, giallo reboante, rombo d’oro (Sì, sì, così, l’aurora sul mare, 1925).
Le metafore sinestetiche non si trovano tuttavia soltanto in poesia, ma anche nel lessico che usiamo comunemente per parlare di ciò che esperiamo con i nostri sensi. Una voce, se può essere coerentemente descritta con aggettivi uditivi come stridula o melodiosa, è spesso qualificata anche in modo sinestetico con aggettivi che fanno riferimento ad altre modalità sensoriali: il gusto (dolce, aspra), il tatto (morbida, graffiante), la vista (limpida, scura). Il blu è un colore freddo mentre il giallo è un colore caldo; un certo verde è acido; se i colori dei vestiti sono troppo squillanti potrebbero essere chiassosi.
Se proviamo a pensare ad aggettivi tattili per descrivere una percezione uditiva (a formare quindi sinestesie tatto → udito) possono venirci in mente vari esempi: abbiamo già menzionato una voce morbida o graffiante, ma possiamo pensare a un suono vellutato, o a una musica calda. Se cerchiamo invece aggettivi uditivi per descrivere una percezione tattile (quindi sinestesie udito → tatto), avremo probabilmente maggiore difficoltà. È normale che sia così. Una caratteristica particolarmente interessante delle metafore sinestetiche, siano esse vive e creative o pienamente convenzionali, è infatti che sembrano esserci delle preferenze relativamente a quali modalità sensoriali si combinano con quali altre modalità sensoriali: anche se le sinestesie possono in linea di principio connettere qualsiasi senso con qualsiasi altro senso, di fatto alcune combinazioni sensoriali sono usate molto più frequentemente di altre.
Il primo linguista che ha messo in luce queste preferenze, studiandole in modo sistematico, è stato Stephen Ullmann (1914-1976). In una serie di saggi pubblicati fra la fine degli anni ’30 e gli anni ’50, Ullmann ha analizzato moltissimi testi letterari di autori ungheresi, francesi e inglesi, raccogliendo così centinaia di esempi di metafore sinestetiche in base ai quali ha formulato le seguenti generalizzazioni:
- Le metafore sinestetiche tendono ad avere come sorgente sensi “bassi” (tatto, olfatto, gusto) e come target sensi “alti” (udito, vista) piuttosto che l’opposto. Quindi, per esempio, tatto → udito e gusto → vista sono più frequenti di udito → tatto e vista → gusto.
- Il tatto è il senso che compare più spesso come sorgente.
- L’udito è il senso che compare più spesso come target.
Sulla scia di Ullmann, nei decenni successivi sono stati condotti molti studi quantitativi, su lingue diverse (l’italiano, il tedesco, il giapponese, il cinese, il coreano, e varie altre) e non solo su testi letterari. In particolare, in anni recenti sono stati analizzati grandi corpora da cui gli esempi di sinestesie sono stati estratti in modo parzialmente o completamente automatico: questo ha permesso di raccogliere più facilmente dati quantitativi su una figura relativamente poco frequente. E, sia pur con alcune variazioni a seconda della lingua e dello studio, le principali generalizzazioni di Ullmann hanno trovato conferma. Per esempio, fra le circa 15.000 sinestesie che Winter (2019) ha estratto dal COCA, un grande corpus di inglese americano bilanciato per generi testuali, quelle costituite da nomi uditivi modificati da aggettivi tattili (come l’italiano voce morbida), e che dunque sono conformi a tutte e tre le generalizzazioni di Ullmann, sono ben 1.677, mentre solo 7 hanno la struttura speculare, cioè nomi tattili modificati da aggettivi uditivi.
Queste preferenze nella combinazione dei sensi non sono state riscontrate solo tramite l’analisi della frequenza di occorrenza nei testi, ma anche attraverso studi sperimentali, come quelli condotti da Yeshayahu Shen e colleghi a partire dagli anni novanta del secolo scorso. Shen e Aisenman (2008), per esempio, hanno osservato che i partecipanti al loro studio giudicavano come più naturali e ricordavano più facilmente le sinestesie linguistiche conformi alle generalizzazioni viste sopra, rispetto alle sinestesie che se ne discostavano. Si noti che quelle usate negli esperimenti erano sempre espressioni sinestetiche “nuove”, non convenzionali, e che quindi i partecipanti non erano abituati a sentire o leggere: per esempio, a parità di non-convenzionalità, un silenzio liscio (tatto → udito) è generalmente considerato più naturale di una liscezza silenziosa (udito → tatto).
I risultati relativi alla frequenza nei testi di diverse lingue del mondo e quelli degli studi sperimentali sembrano dunque confermare che, nelle sinestesie linguistiche, certe combinazioni di sensi sono preferite ad altre. Rimangono da comprendere le motivazioni per queste preferenze, verosimilmente almeno in parte legate alle caratteristiche della percezione umana e alla sua multisensorialità, ma anche a fattori linguistici e comunicativi ancora in larga parte da esplorare.
Per approfondire
Shen, Yeshayahu & Ravid, Aisenman. 2008. ‘Heard melodies are sweet, but those unheard are sweeter’: synaesthetic metaphors and cognition. Language and Literature 17(2), pp. 107–121.
Strik-Lievers, Francesca. 2023. Synesthesia and language. In Mark Aronoff (ed.), Oxford Bibliographies in Linguistics. New York: Oxford University Press. doi: 10.1093/OBO/9780199772810-0307
Ullmann, Stephen. 1957. The principles of semantics. 2nd edn. Oxford: Blackwell; trad. it. di Maria Mayer Modena e Anna Maria Finoli. 1977, Principî di semantica. Torino: Einaudi.
Winter, Bodo. 2019. Sensory linguistics. Language, perception and metaphor. Amsterdam: John Benjamins.
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