Pietro Celo
Università di Parma
Introduzione: la LIS e le sue strutture
Per meglio comprendere i temi della traduzione letteraria ed in particolare della traduzione dell’opera dantesca in Lingua dei Segni Italiana (LIS), è importante premettere alcune importanti questioni circa lo status della Lingua dei Segni Italiana, e la natura della traduzione intersemiotica.
La Lingua dei Segni Italiana, la cui lessicalizzazione dall’acronimo è LIS, è una lingua naturale e storico-culturale; storica perché nasce, nella sua forma attuale, nel periodo storico dell’istituzionalizzazione dei sordomuti negli istituti residenziali tra la fine dell’Ottocento e gli anni Ottanta del secolo successivo, naturale perché frutto di una Comunità di persone, spesso minori, che l’hanno codificata e tra loro condivisa: la Lingua dei Segni Italiana, è noto, viene agita attraverso un canale visivo-manuale, cioè espressa con le mani e recepita con la vista. La Lingua dei Segni Italiana non è assimilabile ai gesti, in quanto le relazioni tra significante e significato sono arbitrarie, inoltre non è mimo pur avendo aspetti di maggiore iconicità rispetto ai segni linguistici che appartengono alle lingue storico-naturali che utilizzano invece un canale acustico-vocale.
Riflettere sulla dimensione materica delle lingue segnate rispetto a quelle vocali ci permette di meglio comprendere anche la natura della traduzione di cui fra poco parleremo. Le lingue vocali sono fatte, nella loro essenza materica, di aria vibrante, mentre le lingue segnate sono fatte di fotoni, cioè particelle composte da energia, senza massa, che viaggiano creando un’onda elettromagnetica: la luce. Ne consegue che chi usa la Lingua dei Segni Italiana ha una diversa percezione del “silenzio”, della dimensione espressiva della lingua, del suo articolarsi nello spazio e nel tempo, del suo diventare forma scritta.
Queste premesse generiche sulla Lingua dei Segni Italiana, sulla sua struttura e matericità introducono il tema della traduzione dalle lingue segnate a quelle vocali e viceversa, argomento che da pochi anni, una ventina, è emerso nel dibattito linguistico, artistico e culturale. Chiariamo, se fosse necessario, la distinzione tra interpretazione e traduzione giocata essenzialmente sui fattori “tempo” e “scrittura”. Nel primo caso intendiamo che la brevità necessaria dell’interpretazione simultanea o consecutiva non è paragonabile al tempo della traduzione, tempo dilatato di ricerca e riflessione, di ripensamento e modifica costante del testo tradotto. Nel caso dell’apparato scritto, la Lingua dei Segni Italiana non ha un codice simbolico grafico di scrittura, o per lo meno non definitivo, e questo la rende flessibile e fragile nell’evoluzione linguistica, ne rende più complessa la tramandabilità diacronica e diatopica e affida agli interpreti e ai traduttori di Lingue dei Segni la responsabilità, in parte, delle conseguenze evolutive e conservative delle lingue segnate. La comunità dei Sordi ma anche quella degli interpreti di lingue segnate reputano spesso, a torto, queste lingue interpretabili ma non traducibili.
Non vorremmo partire da troppo lontano, ma il concetto di traduzione intersemiotica, definito sulla scorta delle riflessioni del linguista Jakobson, ci pare fondamentale. Lo schema tripartito: parafrasi o traduzione intralinguistica, traduzione interlinguistica, tra lingue diverse appunto, e traduzione intersemiotica fra lingue vocali e linguaggi non verbali (quali musica, balletto, film, ecc.), pone il problema del trasferimento di significati tra sistemi simbolici non solo diversi nella forma ma anche nella materia dell’espressione. Nel caso della traduzione fra lingue vocali e lingue segnate, appare chiaro si tratti sì di una interpretazione interlinguistica ma nel contempo intersemiotica avendo le lingue dei segni caratteristiche linguistiche semioticamente e matericamente differenti dalle lingue vocali.
I differenti canali sensoriali d’espressione obbligano il traduttore di Lingue dei Segni a tener conto da un lato degli aspetti morfo-sintattici della linearità linguistica (in entrambe le lingue), dall’altro della tridimensionalità delle lingue segnate che hanno duplice natura: lineare e sequenziale, ma al medesimo tempo cinematica e multimodale.
Ne consegue che la traduzione intersemiotica è l’unica forma possibile di traduzione fra lingue che non condividono lo stesso piano dell’espressione, lo stesso ‘canale dell’espressione’.
La traduzione intersemiotica
La particolare forma di traduzione intersemiotica di cui stiamo parlando non è né una semplice operazione di transcodifica parola per parola, o meglio “parola per segno”, e viceversa, si tratta invece di una forma d’azione transculturale dinamica e complessa, ovvero una traduzione sempre in bilico fra due punti di vista ontologici (essere e vivere da sordo non è come essere e vivere da udente); una forma d’azione traduttiva in equilibrio tra la fedeltà al testo di partenza e la necessità di trasformazione di questo in un’altra forma espressiva in un altro piano dell’espressione, in un altro canale sensoriale diverso di relazione col mondo che sviluppa un sistema cognitivo e psicologico anch’esso differente dall’altro.
Per chiarire, è soprattutto sul piano dell’espressione che la traduzione intersemiotica si trova spesso a dover operare scelte azzardate come l’uso di vere e proprie creazioni di nuovi segni o l’uso di strutture visive di trasferimento. In questo modo, operando tali scelte (“azzardi interpretariali”, appunto) l’interprete-traduttore finisce per creare, come abbiamo detto, una possibile fonte di rinnovamento per la lingua di arrivo.
Si pone qui il problema del passaggio materico, del cambiamento di canale comunicativo nell’atto del tradurre. Abbiamo provato a definire la traduzione e l’interpretazione verso e dalle lingue segnate come intramorfica. Mutuando il concetto di interlingua, cioè il passaggio da lingua nativa a lingua target per l’acquisizione delle lingue straniere, abbiamo coltivato la suggestione di un territorio fluido tra la lingua di entrata e quella di uscita, uno spazio mentale che è traduttivo e interpretativo, dove la trasformazione si attua per cambiare la materia stessa di cui le lingue (vocali e segnate) sono fatte.
La commedia di Dante
Oggi è il Dantedì 2025, il giorno che ricorda il sommo poeta ma, per noi traduttori, è anche il giorno della sfida traduttologia, titanica impresa da “far tremare le vene e i polsi” (If. I, 90). Pochi sono i traduttori di Lingua dei Segni Italiana che si sono cimentati nella traduzione professionale delle opere di Dante, meno ancora sono i testi danteschi affrontati.
Abbiamo radunato all’Università di Parma cinque traduttori, me compreso, che nel loro tempo, recente tempo, si sono dedicati alla traduzione di almeno un canto della Divina Commedia:
Graziana De Mola[1] (Interprete e traduttrice), Nicola Della Maggiora[2] (Interprete e traduttore) ed Enrico Dolza (Direttore Istituto dei Sordi di Torino) che si sono cimentati nel canto I dell’Inferno; Valentina di Leva[3] (Attrice, Interprete e traduttrice) con il canto di Paolo e Francesca (If.V); Zena Vanacore[4] (Interprete e traduttore, collaboratore di RAI Accessibilità) con uno squarcio sul canto finale (XXXIII) del Paradiso; Pietro Celo[5] (Ricercatore di Lingua dei Segni Italiana, DUSIC, Università di Parma, autore di questo intervento) con la traduzione del canto XXVI dell’Inferno, Ulisse e il suo folle volo. Anche Filippo Calcagno[6] (“Con voce nuova” è il titolo dell’opera teatrale sull’Inferno) e Francesca Viceconti[7] si sono occupati di traduzioni, riscritture (se così possiamo dire) e rivisitazioni della Commedia.
Il dibattito interessante riguarda la naturalità o l’estraneità della traduzione, l’essere vicini al testo di partenza, il prototesto, o reinterpretare “oltre le parole” il senso non solo della lettera ma anche del significato delle parole dantesche. Il valore del testo resta ineludibile nella traduzione, specie in quella tra le lingue vocali e scritte verso quelle segnate. Dire quasi la stessa cosa (direbbe Eco), non vuol dire esprimere quasi un’altra cosa.
Torna qui il problema della fedeltà al testo o al senso, o meglio alla sensazione che il testo tradotto restituisce al lettore (in Italiano) o al visore (in LIS).
Gli approcci traduttivi sono diversi, alla base resta il problema della matericità delle due lingue e della trasferibilità del senso della scrittura dantesca; per quello che mi riguarda ho Ad esempio:
“Nel mezzo del cammin di nostra vita”
VIVERE NOSTRO, ETÀ SCORRERE, IO CAMMINO
Nel processo intramorfico ho utilizzato queste glosse per iscritto in una sorta di gobbo vicino alla telecamera che ha filmato la mia traduzione. La traduzione poetica dall’Italiano alla lingua dei segni si basa spesso su un’alterazione delle regole grammaticale d’espressione della LIS; sappiamo che la norma prosodica del segnato, il suo ritmo, è spesso rotto da rallentamenti e accelerazioni repentine dei segni, l’iconicità è più evidente, la disposizione dei segni simmetricamente scelta. Nel nostro caso però la traduzione azzarda solo pochi elementi di allitterazione, il ritmo del segnato è piano, lineare; viene utilizzata la tecnica del trasferimento di persona (impersonamento) tanto caro alla narrazione e alla poesia in LIS. Il risultato è un racconto del viaggio dantesco, quasi fedele al testo originario, ma forzatamente diverso nella sua materia profonda.
[1] If: Canto I. https://www.youtube.com/watch?v=dE9dTF5XTgM
[2] Oltre all’Inferno https://www.raiplay.it/video/2023/03/Inferno-c5ed4418-2ba0-4345-9557-69a3670aff97.html Della Maggiora ha tradotto parte del Purgatorio https://www.raiplay.it/video/2023/03/Purgatorio-9b71932b-f33f-48cc-90fb-09990c11d884.html.
[3] If. Canto V https://www.facebook.com/watch/?v=958807961883577 La traduttrice ha lavorato anche sul testo del Canto XXVI dell’inferno.
[4] Pd. Canto XXXIII https://www.facebook.com/RaiAccessibilita/videos/1058472002258337
[5] L’autore cura una pagina Youtube chiamata DanteLIS https://www.youtube.com/channel/UCxlwWH168_isCo0CNm5Rr-A dove sono caricati sei canti della Commedia tradotti (una per ogni Dantedì degli ultimi 5 anni): If. I, V, XXVI, XXXIII; Pg. I, Pd. III.
[6] https://www.facebook.com/watch/?v=1015341385275503
[7] Nella pagina Facebook della Setta dei poeti estinti: https://www.facebook.com/watch/?v=214356200685484
Per approfondire
Bertone, Carmela. 2023. La poetica del silenzio. Milano: Franco Angeli ed.
Celo, Pietro. 2015. I segni del tradurre. Roma: Aracne Editore.
Raniolo, Elena. 2023. Sul senso, sui sensi. Tradurre la poesia in lingue dei segni. Lugano: Agorà &Co.
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