Vera Gheno
La questione dei nomi professionali, o meglio, dei nomina agentis declinati al femminile (ministra, avvocata, redattrice), è oggetto di accesi dibattiti. Privilegerò, in questa sede, l’aspetto linguistico, riservando alle questioni sociali, culturali e politiche, che in questo particolare caso non sono affatto secondarie, un secondo intervento.
Parto con due premesse per contestualizzare l’argomento.
La prima è di tipo ‘geografico’: il dibattito su un linguaggio rispettoso nei confronti delle questioni di genere, molto più ampio dei soli femminili professionali, non è un’esclusiva italiana, ma è in corso a livello internazionale.
Osservando le varie lingue in ambito europeo, possiamo identificare tre tipologie linguistiche:
- le lingue prive di genere grammaticale (genderless languages): né i sostantivi né i pronomi hanno maschile, femminile o neutro. Sono per esempio così l’ungherese e il finnico;
- le lingue con genere naturale (natural gender languages): i sostantivi non hanno genere grammaticale, ma i pronomi sì. Così sono il danese o l’inglese;
- le lingue con genere grammaticale (grammatical gender languages): ogni sostantivo è maschile o femminile (oppure, in alcune lingue, anche neutro), come pure i pronomi. Sono così il francese, il tedesco, lo spagnolo e ovviamente l’italiano.
Le varie tipologie linguistiche adottano – prevedibilmente – approcci differenti rispetto alle questioni di genere. Intanto, notiamo che anche nei primi due gruppi esiste, sovente, la possibilità di esprimere in qualche modo il genere semantico, che significa riferirsi ‘al femminile’ a una persona (o a un animale) di sesso femminile; questo accade per esempio attraverso l’impiego di suffissi (come -nő in ungherese, che significa ‘donna’: doktor ‘dottore’, doktornő ‘dottoressa’). Ciononostante, in queste lingue le strategie di genere possono muovere nella direzione di una ‘neutralizzazione’ delle differenze quando e dove non è necessario esplicitarle, per esempio con termini neutri sia grammaticalmente sia semanticamente (spokesperson invece di spokesman o spokeswoman; l’uso del pronome neutro they invece di he o she). Nelle lingue del terzo gruppo le strategie sono – per forza di cose – differenti, come vedremo per l’italiano.
La seconda premessa è cronologica. L’esistenza dei femminili non è una novità; casomai, si può dire che sia diventata solo recentemente argomento di discussione pubblica. Ma i femminili non nascono con Laura Boldrini, come molti sembrano credere, e nemmeno con le Raccomandazioni per un uso non sessista della lingua italiana (1987) di Alma Sabatini, che fu tra le prime a compiere una ricerca sistematica sull’argomento per l’italiano.
A partire dal latino, emerge piuttosto che i nomina agentis al femminile occorrono regolarmente nella storia della nostra lingua: per fare qualche esempio, all’epoca era in uso ministra accanto a minister ‘domestica, domestico’, ma anche gubernatrix accanto a gubernator ‘reggitore, reggitrice’ e patrona con patronus ‘padrona/padrone che ha affrancato uno schiavo’. Il loro impiego risulta conseguente alla presenza di donne in determinati ruoli professionali o cariche. D’altro canto, la storia è disseminata di regine, zarine, imperatrici o giudicesse (oltre che sarte, serve e, più recentemente, cassiere).
Passiamo all’aspetto morfologico. La questione maschile-femminile non si esaurisce con il mettere una -a in fondo alle parole (o magari, di converso, creare dei maschili inesistenti come *guardio o *pediatro). È necessario sapere che in italiano si identificano quattro tipi di coppie maschile/femminile:
- nomi di genere fisso: maschile e femminile sono termini completamente diversi, che non hanno radici comuni, come fratello-sorella, marito–moglie o, per gli animali, toro-mucca;
- nomi di genere comune: i termini sono di fatto ambigeneri, cioè, in sostanza, basta cambiare l’articolo: il/la pediatra, il/la custode, il/la cosmonauta, il/la preside, il/la docente. Quindi, come non serve *il pediatro, così non occorre coniare *la custodessa;
- nomi di genere promiscuo: la definizione si riferisce a nomi di animali che hanno un’unica forma, come tasso o tigre, così che il genere opposto si forma aggiungendo un descrittore, come il tasso femmina o il maschio della tigre. Potremmo includere in questa categoria, con una piccola forzatura, anche i termini riferiti a esseri umani che hanno un’unica forma grammaticamente non ambigenere, come vittima o pedone, e anche i sostantivi che sono femminili anche se riferiti tradizionalmente a soggetti maschili (la guardia, la vedetta, la sentinella, la spia). Sono un’eccezione, dunque, che non mina in nessun modo il sistema nel suo complesso;
- nomi di genere mobile: sono gli unici che si declinano in base alle regole morfologiche previste dall’italiano. Ne esistono di vari tipi: rettore-rettrice (e minatore-minatrice), maestro-maestra (e ministro-ministra), sarto-sarta (e avvocato-avvocata), infermiere-infermiera (e ingegnere-ingegnera). Altre coppie sono irregolari, come abate-badessa, dio-dea o eroe-eroina: per questo, in caso di dubbi, conviene verificare la forma più corretta e più usata in un dizionario sufficientemente aggiornato. Lo Zingarelli, per esempio, registra quasi un migliaio di femminili (sotto al corrispettivo maschile) dall’edizione del 1994.
Dunque, l’approccio più logico alla questione dei femminili dovrebbe partire dall’identificazione della categoria di appartenenza del sostantivo con cui si ha a che fare. Successivamente, si potrà procedere a individuare l’eventuale femminile più corretto.
Un appunto sui femminili in -essa: studentessa, professoressa, dottoressa, soldatessa, poetessa. Queste forme sono entrate nell’uso in un momento in cui si riteneva di dover esplicitare il femminile tramite un suffisso oggi considerato un po’ ingombrante, anche perché originariamente denotava spesso una moglie o una figlia (dogaressa, contessa) o era usato in modo scherzoso (generalessa, diavolessa). Per tale motivo, se gran parte dei linguisti non incoraggia l’intervento su forme già ampiamente acclimatate nell’uso (anche se la studente, la professora, la dottora, la soldata, la poeta sarebbero morfologicamente accettabili), dall’altra consiglia di preferire le forme a suffisso zero nei casi in cui il femminile è relativamente nuovo nell’uso: dunque, avvocata è meglio di avvocatessa come la presidente di la presidentessa (*presidenta, invece, non esiste in italiano, ed è un’invenzione giornalistica usata per screditare le posizioni di Boldrini).
Una questione meno linguistica e più sociale riguarda i casi in cui si percepisce una netta differenza di status tra i due generi: maestro/maestra d’orchestra, direttore/direttrice di un quotidiano, segretario/segretaria di stato. Non di rado, le donne stesse faticano a usare tali femminili perché li sentono come svilenti rispetto al corrispettivo maschile (la maestra fa venire in mente quella di scuola primaria, la direttrice quella del collegio, la segretaria è quella che scrive le lettere). Premesso che nessuno dei tre lavori summenzionati sarebbe comunque da considerare svilente, ricordiamo che la ‘percezione’ delle parole è legata alla loro ‘connotazione’, non al loro significato in senso stretto. Di conseguenza, invece che usare il maschile sovraesteso o introdurre forme alternative (come *direttora), occorrerebbe forse insistere a usare i femminili regolari (o preesistenti), in modo da favorire il cambio di connotazione. Si noti che, in alternativa ad architetta, a molti indigesto per l’assonanza con tetta, è stato proposto sia *un’architetto sia architettrice, che però è il femminile storico dell’oggi disusato architettore. In questi casi, la superfetazione di forme femminili ‘alternative’ concorre, a mio avviso, all’indebolimento dell’istanza stessa.
Dopo la disamina puramente linguistica, dovrebbe essere chiaro che i nomina agentis femminili non sono una novità e non introducono nessuna ‘stranezza’ nell’italiano, ma sono forme previste dal nostro sistema morfologico. Tuttavia, la veemenza del dibattito sulla questione dimostra che all’aspetto meramente linguistico si intrecciano implicazioni sociali, culturali e politiche, che richiedono un’analisi a parte.
Per approfondire
Bellucci, Patrizia. 2014. Il femminile di questore e prefetto. Consulenza Linguistica dell’Accademia della Crusca, 17 marzo.
Gheno, Vera. 2019. Femminili singolari. Il femminismo è nelle parole. Firenze: EffeQu.
Robustelli, Cecilia. 2013. Linee guida per l’uso del genere nel linguaggio amministrativo. Firenze: Regione Toscana.
Robustelli, Cecilia. 2017. Donne al lavoro (medico, direttore, poeta): ancora sul femminile dei nomi di professione. Consulenza linguistica dell’Accademia della Crusca, 21 febbraio.
Robustelli, Cecilia. 2018. Lingua italiana e questioni di genere. Riflessi linguistici di un mutamento socioculturale. Roma: Aracne.
Scaglione, Francesco. In stampa. Il presidente / la presidente, il ministro / la ministra: ideologia e genere negli appellativi professionali. Uno sguardo dentro e fuori il parlamento. In Teresa Fernández Ulloa & Miguel Soler Gallo (a cura di), Discorsi al margine. Voci dimenticate nella lingua, letteratura e cinema spagnolo e italiano contemporanei/Discursos al margen. Voces olvidadas en la lengua, literatura y cine español e italiano contemporáneos. Palermo: UNIPA Press.
Setti, Raffaella. 2003. Femminile dei nomi in –tore e –sore. Consulenza linguistica dell’Accademia della Crusca, 14 marzo.
Telve, Stefano. 2011. Maschile e femminile dei nomi di professione [prontuario]. In Enciclopedia dell’italiano. Roma: Istituto della Enciclopedia Italiana G. Treccani.
Zarra, Giuseppe & Claudio Marazzini. 2017. Quasi una rivoluzione. I femminili di professioni e cariche in Italia e all’estero. Firenze: Accademia della Crusca.
10 Commenti
Pat 26 Luglio, 2020
La mia dirigente scolastica continua ad appellarsi con “il dirigente scolastico+firma”… A me sembra avvilente.
Sam 30 Luglio, 2020
Mi scusi, architetto non potrebbe essere un termine promiscuo? se guardia o spia non hanno un corrispettivo maschile perchè architetto o avvocato devono avere il corrispettivo femminile? Lo chiedo per capire e approfondire, non per polemizzare… grazie 🙂
Vera Gheno 01 Agosto, 2020
L’attribuzione al “gruppo” lessicale pertinente avviene tramite criteri morfologici ed etimologici della parola. Non è, quindi, arbitraria, ma è conseguente alla forma che ha la parola (e che la parola ha assunto nel corso dei secoli; è legata, quindi, in maniera inscindibile, alla sua storia). Non è un’attribuzione arbitraria e non dipende dalle scelte del linguista o del lessicografo. In sostanza, chi studia la parola può dire, in base alla sua forma e alla sua storia, a quale insieme appartenga. E ogni termine fa un po’ storia a sé.
Sam 01 Agosto, 2020
Grazie 🙂
Serena 05 Gennaio, 2021
Grazie per questo utilissimo contributo. Vorrei sapere in quale fonte possiamo trovare, per ciascun nome di agente, l’attribuzione al gruppo lessicale esatto?
ANNA ANTONINI 04 Agosto, 2020
vERA SEI BRAVISSIMA!
Silvia 10 Agosto, 2020
Avvocato (ma anche architetto e altre professioni) non possono essere nomi promiscui come pediatra ?
Vera anagrafica Gheno 23 Novembre, 2020
Non è una decisione che si prende “a tavolino”, ma che dipende dalla morfologia della parola e dalla sua storia. Per cui no, avvocato/a si comporta come maestro/a, non può essere messo tra i nomi promiscui e nemmeno tra gli epiceni.
Guido 30 Marzo, 2021
A questo punto resta la domanda: esistono nomi maschili promiscui di professioni? Si possono avere degli esempî? (Una risposta risolverebbe tante polemiche…). Il “pedone” non è chiaramente un mestiere, mentre secondo la Treccani il “medico” è proprio uno di questi esempî [1] (dunque non sarebbe necessario e forse nemmeno opportuno dire “la mia medica di famiglia”). Altre fonti, direi, dissentono [2] e, se avessero ragione queste ultime, un esempio di nome di professione promiscuo e maschile potremmo dire che continua a mancare all’appello. È curioso.
[1] https://www.treccani.it/enciclopedia/genere-promiscuo_(La-grammatica-italiana)/
[2] https://www.ilpost.it/ludovicalugli/2019/11/05/perche-il-femminile-di-medico-suona-tanto-male/#:~:text=Tra%20le%20altre%20cose%20Robustelli,la%20desinenza%20%E2%80%9C%2Do%E2%80%9D.
Roberta 29 Novembre, 2023
Grazie
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